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04-12-2016, 15:46
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#1
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Esperto
Qui dal: Dec 2014
Ubicazione: Milano
Messaggi: 5,746
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http://unaparolaalgiorno.it/significato/I/indolente
Forse non tutti hanno mai riflettuto sull'etimologia di questa parola.
Che a mio avviso descrive in maniera affascinante un male comune a molti.
L'indolente è pigro perché non soffre il dolore della noia, né quello della preoccupazione futura.
E così indulge, continua a procurarsi male, con attività che riconosce nocive ma dalle quali invece trae una masochistica autogratificazione.
Si indulge sul barattolo della nutella, sul forum o facebook. Nella non ricerca del lavoro o nel non impegno verso lo stesso. E soprattutto, visto il tema del forum, nella non ricerca di socialità, quando si sente di avere bisogno della stessa.
Meglio una serie tv, qualche messaggio via chat con amici visti di rado o addirittura mai, e la consapevolezza che sarà sempre così, e impareremo sempre di più a sopportare questo stato di cose, senza vergognarcene o farcene colpe. Sempre più in-dolenti.
Forse quindi la chiave sarebbe concentrarsi sul dolore, su quanto ci procura nocumento continuare a rimandare i nostri doveri, a viver da cicale, a non attivarci nell'espletazione di quegli sforzi che in prospettiva eliminerebbero il dolore, e anzi ci permetterebbero una corretta, produttiva e piacevole alternanza tra ozio e negozio.
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04-12-2016, 17:14
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#2
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Esperto
Qui dal: Aug 2013
Ubicazione: Roma
Messaggi: 28,050
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sono precisamente come hai scritto, anche se il dolore della noia lo soffro e anche la preoccupazione futura, ma nonostante tutto, a parte piccole cose, rimango indolente.
la mia vita è lavoro fatto in modo automatico e svogliato, faccende di casa fatte frettolosamente, 40min di corsa a settimana e poi il nulla di nulla.
sono indolente perché tutto è un dovere, tutto è uno sforzo, anche dormire è diventato un dovere
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04-12-2016, 17:21
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#3
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Esperto
Qui dal: Nov 2012
Ubicazione: Toscana
Messaggi: 5,034
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Posso dire di ritrovarmi in questa descrizione, è un problema che ho sempre avuto ma è limitato ad alcuni ambiti della mia vita, mentre a lavoro sono considerato una persona che si impegna ed è abbastanza veloce nello svolgere le sue mansioni, nella vita privata la musica cambia.
L'indolenza nel mio caso si manifesta soprattutto nella gestione del tempo libero, ed è in qualche modo certificata e sublimata dal forum, ricerco la socialità qua dentro piuttosto che fare lo sforzo di mettermi in gioco là fuori.
E' molto difficile da combattere almeno nel mio caso perché ha la caratteristica di "diluire" il dolore nel tempo e ciò rende apparentemente preferibile abbandonarvisi, piuttosto che fare lo sforzo di socializzare, sforzo che senza dubbio mi crea difficoltà più intense ed immediate.
In realtà lo sforzo che fai per socializzare quasi sempre finisce per ripagarti e magari col tempo ti permette di sentire meno le difficoltà, l'abbandonarsi all'immobilità invece prima o poi ti presenta il conto e a volte realizzi che è troppo tardi per rimediare.
Il fatto che questa discussione dopo quasi due ore non abbia commenti secondo me la dice lunga, perché ammettere di essere indolenti non è facile, significa assumersi in parte o in toto la responsabilità della propria condizione.
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04-12-2016, 17:27
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#4
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Banned
Qui dal: Dec 2015
Messaggi: 1,327
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Soffro la solitudine e il non futuro che mi attende, ma ci soffro in maniera relativa perché non ho nessuna voglia di far parte di questo tritacarne e per far parte del tritacarne dovrei diventare insensibile e vuoto e opportunista e un sacco di cose che non ho mai imparato a essere per sopravvivere...
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04-12-2016, 18:57
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#5
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Esperto
Qui dal: Dec 2014
Ubicazione: Milano
Messaggi: 5,746
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Quote:
Originariamente inviata da Yamcha
Soffro la solitudine e il non futuro che mi attende, ma ci soffro in maniera relativa perché non ho nessuna voglia di far parte di questo tritacarne e per far parte del tritacarne dovrei diventare insensibile e vuoto e opportunista e un sacco di cose che non ho mai imparato a essere per sopravvivere...
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Ma così facendo, cioé non facendo, non finiamo per diventare più insensibili di quanto diventeremmo se fossimo parte attiva nel mondo?
Anche se comprendo come, afflitti dalla nostra sensazione frustrante di non essere capaci neanche minimamente di influenzare in positivo ciò che ci circonda, forse diventa conveniente dal punto di vista del nostro bilancio psichico autoisolarci convincendoci che niente potrà mai essere fatto.
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04-12-2016, 18:58
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#6
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Esperto
Qui dal: Jun 2016
Ubicazione: Roma
Messaggi: 1,239
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Quanto hai ragione,io pensavo di essere pigra e menefreghista,ma in realtà sono indolente,per quanto a volte sto male e mi sento sola e ho paura che il mio futuro non sarà molto diverso dal mio presente attuale fatto di casa-lavoro,lavoro-casa,niente mi smuove dal cambiare la situazione!
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04-12-2016, 23:54
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#7
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Super Moderator
Qui dal: Jan 2012
Messaggi: 3,544
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Sono molto indolente, allora.
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05-12-2016, 00:46
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#8
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Banned
Qui dal: Nov 2016
Messaggi: 249
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Sostanzialmente è la stessa definizione di accidia nel catechismo cattolico, quindi è un concetto che contiene un giudizio etico di condanna. La formica ha ragione e la cicala ha torto. Ma quanto sarebbe brutto un mondo in cui si vive solo da formica?
A me queste paternali non fanno un grande effetto. Se certe cose non mi fanno soffrire e altre invece sì, perché dovrei stravolgere i miei stili di vita e sottopormi alla sofferenza? Perché, per la società che ha stabilito che la timidezza, la lentezza nei ritmi di vita, la riflessività sono delle COLPE, allora bisogna che i colpevoli si sentano tali.
Io ho una vita casa-lavoro, vivo coi genitori a quasi 40 anni, non ho amici, non ho ragazza (e ultimamente non me le faccio più neanche presentare). Anni fa l'avrei pensata come te. Invece, adesso ho visto che c'è dall'altro lato e ho capito che nella mia vita attuale, in realtà, ci sto benissimo, ed anzi non voglio più cercare nulla che rompa l'equilibrio che ho faticosamente trovato, e che anzi molte persone che "si sono date da fare", si sono fatte una famiglia e hanno mille impegni mi invidiano (e me lo hanno detto). Lo so, non durerà per sempre, ma quale equilibrio dura per sempre? L'unico equilibrio definitivo, per tutti noi, è quello che ci porterà a dormire sotto due metri di terra. Anche chi ha una vita super-attiva e piena. Perciò non rimane che vivere il poco tempo che abbiamo, e soprattutto i pochi periodi davvero sereni, nella maniera che più ci aggrada.
Non c'è un modo giusto e uno sbagliato di vivere. Se io stasera voglio gustarmi un bel barattolo di nutella, che faccio di male? Basta non mangiarne tanta da stare male, quello sì è veramente da stupidi. Ma il problema è solo se uno vive una vita che NON vuole vivere. Allora sì, bisogna impegnarsi a cambiarla, e però mettere in conto tanta e tanta sofferenza, per un obiettivo che magari non sarà mai raggiunto; perché poi la nostra società ci propina quotidianamente il modello della persona che ce la fa, sul lavoro, nelle relazioni sociali, con l'altro sesso... ma nasconde pietosamente i 999 che non ce la fanno, magari proprio per causa di quell'unico che ce l'ha fatta. Perché poi siamo stati indottrinati così, ci è stato insegnato che una vita tranquilla e senza grandi sussulti è sprecata; ma è impensabile che 7 miliardi di persone vivano TUTTE una vita piena. Laureatevi tutti e diventerete tutti managers e dirigenti, ci dicevano da ragazzini, ma poi in realtà i posti in cui serve un laureato sono così pochi... e hanno creato una massa di disoccupati condannati alla povertà. E allora è un modello (peraltro, a mio modo di vedere, propinato anche dagli strizzacervelli che dovrebbero aiutarci) che condanna quasi tutta l'umanità all'infelicità, all'insoddisfazione per la propria vita, alla totale svalutazione di se stessi.
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05-12-2016, 01:00
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#9
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Banned
Qui dal: Dec 2015
Messaggi: 1,327
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Quote:
Originariamente inviata da assiolo
Sostanzialmente è la stessa definizione di accidia nel catechismo cattolico, quindi è un concetto che contiene un giudizio etico di condanna. La formica ha ragione e la cicala ha torto. Ma quanto sarebbe brutto un mondo in cui si vive solo da formica?
A me queste paternali non fanno un grande effetto. Se certe cose non mi fanno soffrire e altre invece sì, perché dovrei stravolgere i miei stili di vita e sottopormi alla sofferenza? Perché, per la società che ha stabilito che la timidezza, la lentezza nei ritmi di vita, la riflessività sono delle COLPE, allora bisogna che i colpevoli si sentano tali.
Io ho una vita casa-lavoro, vivo coi genitori a quasi 40 anni, non ho amici, non ho ragazza (e ultimamente non me le faccio più neanche presentare). Anni fa l'avrei pensata come te. Invece, adesso ho visto che c'è dall'altro lato e ho capito che nella mia vita attuale, in realtà, ci sto benissimo, ed anzi non voglio più cercare nulla che rompa l'equilibrio che ho faticosamente trovato, e che anzi molte persone che "si sono date da fare", si sono fatte una famiglia e hanno mille impegni mi invidiano (e me lo hanno detto). Lo so, non durerà per sempre, ma quale equilibrio dura per sempre? L'unico equilibrio definitivo, per tutti noi, è quello che ci porterà a dormire sotto due metri di terra. Anche chi ha una vita super-attiva e piena. Perciò non rimane che vivere il poco tempo che abbiamo, e soprattutto i pochi periodi davvero sereni, nella maniera che più ci aggrada.
Non c'è un modo giusto e uno sbagliato di vivere. Se io stasera voglio gustarmi un bel barattolo di nutella, che faccio di male? Basta non mangiarne tanta da stare male, quello sì è veramente da stupidi. Ma il problema è solo se uno vive una vita che NON vuole vivere. Allora sì, bisogna impegnarsi a cambiarla, e però mettere in conto tanta e tanta sofferenza, per un obiettivo che magari non sarà mai raggiunto; perché poi la nostra società ci propina quotidianamente il modello della persona che ce la fa, sul lavoro, nelle relazioni sociali, con l'altro sesso... ma nasconde pietosamente i 999 che non ce la fanno, magari proprio per causa di quell'unico che ce l'ha fatta. Perché poi siamo stati indottrinati così, ci è stato insegnato che una vita tranquilla e senza grandi sussulti è sprecata; ma è impensabile che 7 miliardi di persone vivano TUTTE una vita piena. Laureatevi tutti e diventerete tutti managers e dirigenti, ci dicevano da ragazzini, ma poi in realtà i posti in cui serve un laureato sono così pochi... e hanno creato una massa di disoccupati condannati alla povertà. E allora è un modello (peraltro, a mio modo di vedere, propinato anche dagli strizzacervelli che dovrebbero aiutarci) che condanna quasi tutta l'umanità all'infelicità, all'insoddisfazione per la propria vita, alla totale svalutazione di se stessi.
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Date una medaglia a quest'uomo
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05-12-2016, 14:50
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#10
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Esperto
Qui dal: Sep 2013
Ubicazione: Infinitamente nel tuo pensiero.
Messaggi: 3,213
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Quote:
Originariamente inviata da assiolo
Sostanzialmente è la stessa definizione di accidia nel catechismo cattolico, quindi è un concetto che contiene un giudizio etico di condanna.
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Esatto.
Lo vedo piuttosto come un pregiudizio verso persone che vivono una vita senza emozioni con disinteresse per la realtà, cioè nell'indolenza.
E' un termine negativo per la maggior parte delle persone nonostante è stato presentato come parola neutrale.
Vivere nell'apatia non è una gran cosa è conseguenza di disagio mentale esso porta a disinteresse verso l'esterno con dolore e sofferenza verso l'interno, verso i fantasmi e gli incubi interiori.
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05-12-2016, 15:23
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#11
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Esperto
Qui dal: Dec 2014
Ubicazione: Milano
Messaggi: 5,746
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Quote:
Originariamente inviata da assiolo
Sostanzialmente è la stessa definizione di accidia nel catechismo cattolico, quindi è un concetto che contiene un giudizio etico di condanna. La formica ha ragione e la cicala ha torto. Ma quanto sarebbe brutto un mondo in cui si vive solo da formica?
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Ma quanto è brutto vivere solamente come cicale?
Ci vogliono gli equilibri, e non a caso ho parlato di ozio e negozio a capothread.
E non mi sembra che nel mondo ci sia un complotto per farci vivere solo come formiche. Semplicemente, la prospettiva distorta di alcuni fa loro credere che sia tutto una fatica, e non ci sia nessun premio.
Succede anche a me.
A proposito di catechesi, si dice che è nei dettagli che si nasconde il diavolo. E che se lentamente accettiamo quest'atteggiamento e ci assoggettiamo ad esso, diventa sempre più facile accedere a livelli di indolenza crescenti.
Finché non smettiamo di muoverci. Che è come dire: smettiamo di vivere.
Scrivevo, anni fa:
Quote:
Originariamente inviata da Marco Russo
[cut] tutto sommato mi sta bene così.
la verità è che non mi pesa poi così tanto questa condizione. So che a lungo termine mi renderà triste e solo, so che invece a lungo termine se investo energie ne ricaverò qualcosa: amicizie profonde, flirt con ragazze, magari una storia d'amore; e poi, soddisfazione al lavoro, energia per la giornata.
persino un fabbisogno di ore di sonno diminuito, quando sei felice l'energia la ricavi più facilmente da dentro.
ma tutto sommato mi sta bene così.
praticamente mi sto suicidando, solo che ho scelto un metodo lento: guardo l'orologio.
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Perché è quello che si fa, minuto per minuto, quando si sceglie di non scegliere, di non fare, di non significare la propria esistenza.
Ad esempio: quando optiamo per perdere tempo.
Si inizia con un giochino sul cellulare per ingannare il tempo sui mezzi. Si diventa bravini, si battono i record.
Solo che poi è il tempo a ingannare noi. Quando prendiamo il cell in mano per giocare anziché fare qualcosa che sia utile a noi stessi.
Tra 5, 10, 15, 20 anni, ricorderai qualcosa della partita al giochino? Forse sì, forse no. Io ti dico che tendenzialmente, per me la risposta è "no". Perché non è una cosa che si fa per piacere.
Solo per attendere.
E quindi, per suicidarsi lentamente.
A questo punto, dico io, non vale la pena farlo sul serio? Per dire, eh. Ma dal pdv logico ha più senso.
Anche se avrebbe ancora più senso dire: questo giochino mi piace perché... boh, perché mi mette alla prova e mi dà soddisfazioni quando ci riesco? Allora perché anziché perdere tempo con esso non mi sfido con qualcosa di più utile? Non so, imparare una nuova lingua straniera.
A mio avviso siamo chiamati a una missione, tutti noi. Dare un significato alla nostra esistenza, o almeno tentarci. L'alternativa è perire senza lasciare alcuna traccia. Solo allo scopo di servire un astratto sistema osteggiandolo passivoaggressivamente con maggior o minor efficacia.
E cercando di diventare sempre più in-dolenti, perché dobbiamo illuderci che tutto ciò non ci procuri sofferenza.
Quando in realtà dovremmo gridare e urlare manco fossimo avvolti fra le fiamme del nostro inferno.
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05-12-2016, 19:03
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#12
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Esperto
Qui dal: Jul 2016
Messaggi: 1,412
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Quote:
Originariamente inviata da Marco.Russo
Forse quindi la chiave sarebbe concentrarsi sul dolore, su quanto ci procura nocumento continuare a rimandare i nostri doveri, a viver da cicale, a non attivarci nell'espletazione di quegli sforzi che in prospettiva eliminerebbero il dolore, e anzi ci permetterebbero una corretta, produttiva e piacevole alternanza tra ozio e negozio.
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Secondo me è una chiave, se non sbagliata, incompleta. Parlo per la mia situazione almeno. Cioè mi sembra che sia importante concentrarsi sulla gioia più che sul dolore. Anche se sono solo scintille qua e là, sento che è attorno a quelle che mi farebbe bene "soffiare" di più per uscire dall'impasse. E 'ste scintille le trovo sempre in un contesto di relazione, che quando funziona sembra quasi un universo perpendicolare rispetto a quello dei doveri, del fare, dell'ottenere, dell'utilità. Anche dello stesso dovere alla relazione, che è forse il più brutto. E degli altri doveri che scandiscono la mia vita e da anni mi tengono in un ciclo di indolenza, rese dei conti dolorose, altra indolenza, ecc.
L'ozio promesso dagli sforzi che mi si richiedono sembra vuoto, come quello delle formiche, con cosa lo riempirei? La favola non lo dice. Con la gioia?, ma appunto non riesco a vederla come il polo di una corretta produttiva piacevole alternanza, è un qualcosa a sé. La storia della cicala e della formica in effetti non la contempla nemmeno, è tutta centrata sulla bontà del sacrificio e del premio. Neanche alla cicala viene riconosciuta la gioia, solo l'indolenza e la negazione del dovere in fondo, per questo forse ti è venuto naturale usare l'espressione "viver da cicale".
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05-12-2016, 22:03
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#13
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Banned
Qui dal: Jan 1970
Messaggi: 1,907
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Questo e un problema abbastanza comune nelle persone con una personalita evitante. Alla base c'e un incapacita di capire o di vivere le proprie emozioni. Ho particolare difficolta anche a fragmentizzare i sentimenti.Ogni cosa che vivo e come se venisse risucchiato in grande vortice di sentimenti e li non si capisce piu niente.Non so cosa puo aiutare.Ho notato anche che spesso anche i dialoghi interiori non sono molto diretti e non hanno una natura molto descrittiva forse su questo si puo intervenire.
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06-12-2016, 03:14
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#14
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Esperto
Qui dal: Dec 2014
Ubicazione: Milano
Messaggi: 5,746
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Quote:
Originariamente inviata da onisco
Secondo me è una chiave, se non sbagliata, incompleta. Parlo per la mia situazione almeno. Cioè mi sembra che sia importante concentrarsi sulla gioia più che sul dolore. Anche se sono solo scintille qua e là, sento che è attorno a quelle che mi farebbe bene "soffiare" di più per uscire dall'impasse. E 'ste scintille le trovo sempre in un contesto di relazione, che quando funziona sembra quasi un universo perpendicolare rispetto a quello dei doveri, del fare, dell'ottenere, dell'utilità. Anche dello stesso dovere alla relazione, che è forse il più brutto. E degli altri doveri che scandiscono la mia vita e da anni mi tengono in un ciclo di indolenza, rese dei conti dolorose, altra indolenza, ecc.
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sono assolutamente d'accordo che non sia completa. Certamente anche la gioia serve, e in pari misura, quando l'esistenza è vissuta con relativo equilibrio. Ciò ci permette per l'appunto di non abbandonarci all'abbruttimento totale, senza tuttavia sovraccaricarci neanche dai doveri di formica a tal punto da perdere di vista il fatto che la vita non si può ridurre a una descrizione utilitaristica.
Quello di cui parlo però è un'altra cosa. Ti spiego meglio sotto.
Quote:
Originariamente inviata da onisco
L'ozio promesso dagli sforzi che mi si richiedono sembra vuoto, come quello delle formiche, con cosa lo riempirei? La favola non lo dice. Con la gioia?, ma appunto non riesco a vederla come il polo di una corretta produttiva piacevole alternanza, è un qualcosa a sé. La storia della cicala e della formica in effetti non la contempla nemmeno, è tutta centrata sulla bontà del sacrificio e del premio. Neanche alla cicala viene riconosciuta la gioia, solo l'indolenza e la negazione del dovere in fondo, per questo forse ti è venuto naturale usare l'espressione "viver da cicale".
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Qua invece credo che il problema posto sia più soggettivo. Preciso, ti capisco, vivo le medesime sensazioni.
Ma la mia esperienza è che questo otium sembra vuoto solo quando ne abusiamo a tal punto da non saperne godere. Di conseguenza ci desensibilizziamo tanto al dolore quanto al piacere.
In più, riempiamo il tempo dedicato a questa piacevole incombenza in maniera qualitativamente scadente, ad esempio perdendo giornate su internet.
La mia idea è che con un equilibrio più appropriato si riesca più facilmente e istintivamente a capire come dare un maggior valore al nostro tempo libero, e questo potrebbe arricchirci anche dal lato delle emozioni positive.
Ad esempio, ricordo che nel periodo dei 22 anni per un (breve) periodo ho preso la passione per lo jogging. Mi ci dedicavo tutti i giorni, e raggiunta la capacità di correre per un'ora, ho constatato come il mio tempo buttato in attività improduttive come la navigazione senza meta sul web si era radicalmente ridotto.
Il punto però, ed è qui che ti spiego la mia riflessione sull'ipotetica utilità del dolore, è che bisogna iniziare da uno sforzo per poi conseguirne un premio. Il contrario non funziona, proprio perché siamo sfiduciati, stanchi cronici o sonnolenti, delusi, disillusi, forse anche un po' paranoici. In effetti nulla ci vieta di celebrare la vittoria prima di lottare per conquistarla. Ma riusciremmo a farlo davvero? E riusciremmo a non lasciarci sedurre dalla tentazione dell'auto-indulgenza (un'altra bella parola), coccolati da consolanti giustificazioni come "tanto sono un fallito" o "tanto qualsiasi cosa faccia non serve a niente", che servono solo a non farci sentire accidiosi come in realtà dovremmo avere il coraggio di definirci?
(ovviamente parlo al plurale ma mi rivolgo prevalentemente a me, e solo in secondo luogo a chi ritiene di riconoscersi nelle mie frasi, nella speranza questa riflessione sia stata d'aiuto o per lo meno d'interesse a qualcuno).
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