Frequentavo il terzo anno del liceo classico. Quell'anno ci venne assegnato un nuovo professore di letteratura italiana, piuttosto giovane, poco più che trentenne. Aveva l'aria da ex sessantottino e ci teneva a dimostrarlo a giudicare dalla lunga barba e dalla folta chioma che campeggiavano sul volto. Inoltre, da come si vantava spesso con il professore di educazione fisica, aveva un passato da pallanuotista.
Eravamo piuttosto entusiasti dall'idea. Un professore giovane sicuramente sarebbe stato più vicino alla mentalità di noi studenti e molte compagne di classe, avendolo visto cosí alto e prestante, si erano innamorate di lui a prima vista.
Tuttavia, sin dalla prima lezione avemmo modo di capire che il nostro nuovo insegnante, a differenza di quanto voleva dare a vedere, non era affatto così pieno di energia vitale come ci aspettavamo e non era affatto diverso dai suoi colleghi più esperti e maturi. Quasi sembrava odiare il suo lavoro a giudicare dal modo sprezzante in cui ci guardava mentre spiegava la letteratura italiana esprimendosi in un linguaggio troppo complesso e contorto per dei ragazzi ancora troppo giovani. Odiava la semplicità. Non tollerava la benché minima inflazione durante le sue lezioni.
Man mano che i mesi passavano si mostrava sempre più freddo e sprezzante. Le sue interrogazioni erano impossibili, faceva di tutto per metterci in difficoltà, quasi ci godeva nel farci sentire inferiori a lui intellettualmente. Non potevamo fare altro che accettarlo.
Ma ci eravamo accorti che il suo passato fosse stato segnato da sogni infranti, sogni d'oro tramutatisi in incubi, speranze vanificare, passioni e illusioni erano inesistenti. Veniva, faceva la sua lezione e poi tornava a casa.
Arrivò poi una mattina, dopo la ricreazione, in cui però una mia compagna di classe disse finalmente quello che noi tutti, lei in primis, pensavamo di lui. Era la nostra rappresentante di classe, bravissima ragazza, con un ottima media in tutte le materie che però quel bellimbusto le stava rovinando. Era sempre stata rispettosa con tutti gli insegnati e noi la canzonavamo dicendole che fosse la cocca dei professori.
Il nostro insegnante, seduto alla cattedra con le braccia conserte, sembrava essere più infastidito del solito dal modo in cui parlava e ci guardava, quasi digrignando i suoi denti. Ci trattatava con più sufficienza del solito. Spiegava Leopardi esprimendosi con espressioni e termini troppo intricati, quasi avesse intenzione di non farci capire cosa stesse dicendo per poi farci scontare tutto durante un'interrogazione o dopo un compito in classe.
Ad un tratto, non riesco a spiegarmi come, un mio compagno di classe, spinto da chissà quale spirito ribelle, dopo essersi alzato, cominciò a recitare una poesia che aveva composto quella mattina e, dopo qualche verso, con un ghigno di soddisfatto cinismo, il professore lo invitò a lasciare l'aula e lo stesso fece con il suo compagno di banco.
I due uscirono sotto lo sguardo di ghiaccio del professore che riprese a spiegare. Dopo qualche secondo, tuttavia, dovette di nuovo interrompersi. Due miei compagni, un ragazzo ed una ragazza, furono fatti uscire dall'aula dal professore perché stavano giocando a scacchi. I due uscirono portandosi la scacchiera con sé. Fu poi il turno di altri due che avevano cominciato a mangiare un panino.
La lezione proseguì e, mentre spiegava, il professore disse ciò che pensava di noi, non solo come classe ma anche come persone. Gli facevamo veramente schifo.
Allora il professore incrociò lo sguardo della nostra rappresentate di classe che, con tono molto calmo ma deciso, ebbe finalmente il coraggio di dirgli cosa tutti noi pensavamo di lui. Il professore, dopo aver ammesso che si divertiva molto nel maltrattarci, ascoltò il severo giudizio che la mia compagna di classe esprimeva sul suo conto. Lo accusò di essere un arido e gli disse, molto decisa, di disprezzarlo.
L'insegnante tacque.
In quel momento, vicino alla sua sedia dietro la cattedra, si era formato un vasto cono d'ombra e, quasi sentendosi ferito dal giudizio della ragazza, vi si adagiò all'interno. Lanciò un'ultima occhiata verso di noi prima di tacere per tutto il resto dell'ora di italiano.