Altra notte, altra birra.
Temo che farò la fine di Charles Bukowski : ogni tot pagine, per il buon “Henry Chinaski”, equivalevano a tot bicchieri di alcol.
O Modigliani, perché no: ogni quadro era una bottiglia intera di alcol. Era lui stesso a chiedere la bottiglia ai committenti.
Neanche un quadro ha dipinto da sobrio. Non uno.
Povere anime recluse che avevano bisogno di un po’ di alcol per sciogliersi.
Giravo nei post. C’era quello “cosa state ascoltando in questo momento?”.
Vi entro e m’imbatto in un video dei Soundgarden: Il cantante, Chris Cornell, è morto suicida esattamente un anno fa, proprio a Maggio. A distanza di qualche mese, sempre per suicidio, è stato seguito da Chester Bennington, il cantante dei Linkin Park. Pare che i due fossero amici.
Mi chiedevo come si fa, con tanta bellezza e capacità in corpo, a togliersi la vita. Quello che si ha o che si è raggiunto non basta? Oppure è quello che si è vissuto prima a non fartelo bastare?
Non lo so. Non conosco le risposte a queste domande, ma conosco il sapore che ti lascia il suicidio di una persona.
Poco più di 10 anni fa ho lavorato presso una casa di riposo.
Ho fatto dapprima le pulizie, e dopo l’assistente. Insomma: prima pulivo i cessi, e poi sono passato a pulire i culi ai vecchi. Prendevo di più, ok, ma la mansione non mi sapeva tanto di promozione. Ma il lavoro “sporco” qualcuno lo deve pur fare in questo mondo, no?
Tema lavorativo a parte, lavorando in un posto con più di 90 ospiti ( i vecchi della casa ) e 70 dipendenti, finivi inevitabilmente per affezionarti a qualcuno.
Quel posto era l’anticamera della morte. Trascorrevano le giornate a far fare attività ai vecchi. A farli giocare e cantare.
Poi qualcuno di loro scompariva, così, dall’oggi al domani, e il suo vuoto veniva sostituito da un foglio affisso sulla bacheca dell’ingresso ad annunciarne il decesso a tutta la “comunità”.
Quando schiattava qualcuno di loro, i vecchi erano tutti taciturni.
Camminavano già di loro sempre lungo il muro, ma quando schiattava qualcuno sembrava che col muro ci flirtassero proprio.
Musi lunghi per i corridoi, condannati al loro breve destino.
Ai tempi delle pulizie, quando ancora non pulivo i culi, la mattina ero addetto a dover cambiare le lenzuola e i piumini sporchi con quelli puliti. Si: facevo i letti a tutti i vecchi della casa.
E in certe stanze c’erano dei veri e propri cacatoi. Il cesso di un autogrill si sarebbe vantato di non essere in quello stato.
In una di queste stanze, sempre pulita e ordinata, c’era una signora di 92 anni suonati, ma ancora bella tesa e pimpante, se non fosse stato per essere sorda all’80%.
Era un tipo pignolo ma non bigotto. Ogni volta mi parlava come una nonna, e prima di andarmene , dopo averle fatto il letto, mi doveva baciare come si fa ad un nipote.
Ne serbo un dolcissimo ricordo.
Una di quelle mattine andai a cambiare le lenzuola nella sezione di questa signora, assieme al coordinatore delle pulizie: un tipo sorridente alla Berlusconi. Uno che veniva da un piccolo paesino del sud, con tutti i complessi di inferiorità che questo comporta; un tipo che per restare a galla avrebbe leccato pure il culo incandescente di Satana.
Il tizio aveva sposato la figlia del direttore della casa di riposo (penso d’aver detto tutto), quindi, pur pulendo i cessi, stava nei piani alti della gerarchia: aveva la carriera segnata.
Dicevo: eravamo nella sezione dove stava questa signora. Con il coordinatore, per sveltire l’operazione, avevamo deciso di farci una stanza ognuno per conto proprio.
Entrai nella stanza di questa signora. Lei mi venne incontro amorevolmente. Poi la sua espressione cambiò. Mi si avvicinò di più come a volermi confidare qualcosa ma, essendo sorda, le sue confidenze erano urlate, perché un sordo , oltre a non sentire il volume della voce altrui, non sente neanche il proprio di volume. Sicché, riferendosi al mio coordinatore che stava nella stanza accanto, disse ad alta voce:
“Quello lì non mi piace. Si dà troppe arie. Non mi piace che si sente così importante. Sta attento”
Avendo il coordinatore nella stanza accanto, cercai di farmi sentire anch’io, dicendo che era un bravo ragazzo e cagate varie.
Uscito dalla stanza andai da questo e gli chiesi se avesse sentito.
Quello mi rispose d’aver sentito, ma con un sorriso meno luccicante del solito.
Cercai di scusarmi per la vecchia, anche se non ha senso scusarsi per un’opinione altrui, però ero davvero imbarazzato in quel momento.
La stanza di questa vecchia stava al pian terreno.
Per motivi di spazio, un’assistente sociale aveva disposto la nuova sistemazione della vecchia al primo piano. Questa fece la guerra per non farsi spostare, ma alla fine dovette cedere.
Ma non era finita qui.
Una mattina entrai al lavoro e incrociai lo sguardo dell’assistente sociale che parlava a bassa voce con un altro coordinatore.
Mi salutò in modo spento e un po’ forzato, come se non le andasse di farlo.
Non capii subito.
Entrato nell’atrio c’era un foglio affisso sulla bacheca. Lessi il nome sul foglio. Non potevo crederci: la vecchia era morta. Quella signora che doveva baciarmi ogni volta che uscivo dalla sua stanza, non c’era più.
Incrociai i vecchi della casa. L’ennesima marcia funebre era iniziata: facce a guardarsi i piedi, vecchi appoggiati al muro, come a dover reggere le propria membra stanche e la memoria del proprio destino rammentato ogni volta dalla morte di uno di loro.
Ma non era finita qui. Mi venne incontro una mia collega:
“Nico, ma lo sai chi è morta?”
“Si lo so. Ancora non ci credo”
“Ma lo sai com’è morta?”
“No, perché?”
“Si è buttata dal primo piano. L’ha trovata l’assistente della notte. L’ha trovata in una pozza di sangue”
In quel periodo stavo combattendo contro la mia ansia. Stavo migliorando, avevo smesso anche di fumare.
Poi finì tutto.
Il suicidio è una violenza che sa di ingiustizia, e che forse non posso spiegare.
L’ansia ritornò, accompagnata, questa volta, da un gran dispiacere.
Avevo sempre sentito di quello o quella che si suicidavano, persone di mezza età, ragazzi, ma mai avrei immaginato che potesse farlo un’anziana di 92 anni.
Ero scioccato a suo modo.
Ma il dispiacere ha età?
Ci si può innamorare e arrabbiarsi ad ogni età, perché non ammazzarsi ad ogni età?
Il corpo invecchia: Ti infilano un panollone perché ti pisci e caghi sotto, ti ficcano un catetere nell’uccello e qualcuno magari ti pulirà il culo come faceva tua madre ai tempi della guerra, ma il dolore, come l’amore, quello non ha età.
Anni più in là, quel tizio con cui mi aveva messo in guardia la vecchia, mosse mobbing contro di me.
Ideatore e artefice.
Mi licenziai, e per quattro anni andai in depressione cronica
E ora eccomi qui, ubriaco, a scrivere su un forum di notte...
Buona vita a tutti