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Originariamente inviata da Stan Kezza
Che cos'è? Quali sono le fonti?
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https://www.psy.it/la-professione-ps...logi-italiani/
Questa è una fonte, sembra che il testo sia lo stesso anche altrove.
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Pure io subisco il fascino della morte ma non è che sia proprio per la morte in senso stretto, quella dei corpi freddi che non hanno più sensi né mente, sarà per un'idea di morte che riguarda ancora l'ambito dell'esistenza "terrena" (che per ora è l'unica in cui credo), la fine di un'esperienza, dei sogni, del credere in qualcosa, la fine di una vita (che poteva essere degna) rappresentata dalla fine della vita. E il fascino sta nel fatto che dalla morte teoricamente può derivare una resurrezione, ma a questo punto non si sarebbe ancora del tutto morti, oppure un riconoscimento che una vita c'è stata, la nostalgia collegata, il riconoscimento dell'esistenza di desideri pregressi non realizzati, la voglia di distaccarsi dal dolore ma senza finire già orizzontali.
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Io ad esempio ho una percezione ben peggiore in altri casi.
Quando ho visto un caro in ospedale agonizzante, vederlo poi morto in sala mortuaria mi ha dato una sensazione di sollievo, mi rattristavo nuovamente quando pensavo a come se n'era andato ma non all'idea che fosse ormai là freddo.
La relazione con l'altro l'avevo persa molto prima che morisse, non è stata la morte a portarmi via la persona cara, ma la malattia.
La morte biologica non è tanto violenta e deleterea quanto la morte simbolica.
Non so che termini usare, perché è questa quella che a me fa davvero paura, è quella degli "zombi", delle persone che si trascinano ancora vive, non quella dei morti, della Livella di Totò, il teatro della vita in fondo per questi non c'è più, sono usciti di scena, sono i morti che non muoiono quelli che a me fanno davvero paura, è la morte in vita, o la vita da morti la condizione esistenziale davvero spaventosa per me.
La perdita e i vissuti peggiori a me sembra che non li produce la morte, li produce la vita stessa, l'agonia, il non vivere bene, il trascinarsi e non riuscire a fare altro che questo.
Alla fine condivido pienamente l'idea di Epicuro, quando c'è la morte noi non ci siamo, in fin dei conti siamo già stati morti per secoli e secoli prima di nascere, e non si stava poi malaccio, non ho ricordi spiacevoli in relazione a questa cosa qua.
Meglio non essere in nessun posto piuttosto che in un posto di merda, ingabbiati, tristi, soli e sofferenti.
Come immagino la morte? Un tizio incappucciato col mantello nero e la falce? No l'immagino come una bella donna vestita di bianco.
Questa immagine mi accompagna dall'adolescenza.
Gli ospedali mi fanno paura, mi rattristano, sono posti di un'agonia senza riscatto per molti, i cimiteri mi calmano.
La resurrezione è una cosa che a me fa un po' paura, si risorgerà in un paradiso o un altro inferno?
Il niente lo percepisco come uno 0, l'assenza è un'assenza sia di piacere che di dolore.
Non ho una percezione assolutamente negativa del nulla e del vuoto, tutto sommato è molto meglio di una presenza sgradevole il nulla.
La morte rappresentata come annullamento e non come trapasso, rispetto a tante altre cose rappresenta qualcosa di positivo per me. E' negativa in relazione ad un'esistenza piena e ricca, ma è positiva in relazione ad un'esistenza brutta e povera. Lo 0 non è il punto più basso, è maggiore di un'infinità di numeri negativi, fuor di metafora, condizioni ben peggiori.
Forse chi è vissuto sempre abbastanza bene e senza disagi rilevanti si figura il niente come qualcosa di negativo e vorrebbe che in fondo la vita continuasse così, ma chi questa percezione non ce l'ha non vuole che la vita prosegua.
Un'immortalità dove non si sta in salute, si è affaticati, si è depressi, si è frustrati, si è torturati, non serve a niente, è di gran lunga più negativa dell'assenza, del non esserci. Cos'è l'inferno? Un'eternità di tormenti, in questa rappresentazione qua non si muore e non si può morire, ma non credo si possa dare un valore positivo a questa cosa qua.