Non riesco a prenderla con leggerezza, no, niente scherzi perché lo spirito che divampa è quello di mille lame incandescenti che ti si piantano nel sistema nervoso prima di assediare le sottili muraglie del cuore.
Il mio, ora mi è chiaro, non è stato propriamente un atto di resistenza figlio di una precisa volontà, anche se mi piaceva vederlo così, ma più che altro un modo di vivere al quale non ho potuto sottrarmi come non puoi smettere il tuo codice genetico.
Non è qualcosa che scegli ma qualcosa che accade quando una serie di condizioni convergono, come l'acqua viene attratta dalla gravità: tu ci finisci in mezzo e se non hai l'ombrello ti bagni, e quando l'acqua aumenta, e la chiami fiume, allora puoi assecondare la corrente o remare contro ma il flusso sempre nella stessa direzione ti porta.
Ecco perché non ho mai potuto sopportare espressioni simili: se ami tanto i libri, e tutto potrei dire tranne di amarli, perché non frequenti qualche associazione culturale, qualche circolo letterario, oppure apriti un blog; e mentre spingono simile ciarpame la loro sensibilità scodinzola.
Quanto sono sensibili e comprensivi, ti fissano con l'aria compassionevole di chi ha capito, di chi certe sciocchezze le ha ben comprese e superate; e invece no, puoi esserne certo che non hanno capito perché non sono in grado di concepire nemmeno qualcosa di vagamente simile e non hanno mai vissuto quello che senti tu, altrimenti si troverebbero al tuo posto ad ascoltare la loro paccottiglia prodotta in serie e spacciata in massa. No, se veramente potessero capire allora sentirebbero bruciare qualcosa che li rende inquieti e cauti, un tormento che non ha nome né una forma comunicabile e proverebbero imbarazzo anche al solo pensiero: incastrare in una concrezione, un ordine fisso e preciso, ciò che è fluidamente multiforme per ridurlo ad un frammento e così poter dire qualcosa che turbi il silenzio.
La risposta, che ogni volta evito accuratamente di pronunciare, è semplice e non è cambiata nel corso degli anni: non parlo di libri e non mi piace ascoltare chi lo fa anche perché se i discorsi delle persone fossero più interessanti dei libri allora avrei già smesso di leggerli; e invece io leggo, e non leggo per piacere, leggo perché non posso farne a meno, leggo con fare aggressivo o disperato. Un tossico vittima della sua stessa ossessiva dipendenza. Costretto, un animale in trappola che si dimena e più si dimena più la trappola diventa efficace e finisce col prendersi la zampa a morsi, se la rode per tranciarla e così liberarsi, ma è tardi è sempre troppo tardi, al massimo può morire dissanguato qualche metro più in là.
Non sopporto chi parla di libri alla luce del sole, a voce alta, con fare disinvolto o distratto, chi si mostra familiare, quelli sicuri di sé che hanno capito e sorridono comprensivi o sprezzanti. Non è un argomento da trattare con leggerezza, un intrattenimento per passare il tempo, non è risolvibile attraverso formule pubblicitarie, eventi pubblici, corsi di formazione o chiacchiere da salotto.
Non sopporto i manichini che fanno discorsi da manichini, per loro i libri sono cataloghi patinati dentro agenzie viaggi con luci e atmosfere da sala operatoria, scaffali da supermercato con merci allineate, e l'atto di leggere è l'atto di obliterare un biglietto, afferrare una confezione prima di spuntarla dalla lista della spesa, avanzare lungo una fila per consegnare l'apposito modulo. Li mettono in ordine come banconote e come il denaro producono un certo effetto anche solo nominandoli, i più scrupolosi li considerano materiale da lista alfabetica, oggetti da catalogare in un ordine rigoroso.
I libri per loro appartengono ad un apparato scenico, arredano, costruiscono e mantengono facciate. Sono creativi, fantasiosi, ci fanno di tutto con i libri, tranne leggerli.
Leggerli poi serve a poco o nulla, dipende dai casi, l'importante è dire: lo conosco, l'ho letto, spinti dall'indifferenza tipica dei consumatori: cibo oggetti luoghi non fa differenza, consumano e passano oltre e poi ripetono il ciclo. Ad alcuni fanno comodo per ricevere l'ammirazione di altri benevoli turisti della carta stampata, l'applauso, la scopatina.
Non hanno la minima idea che i libri possono farti sanguinare come una persecuzione.
No, non mi va di scherzare.
Esposta nella vetrina di un salone del mobile, avevo dato fuoco ad un'enorme libreria in ciliegio intarsiato sulla quale giacevano centinaia di libri da arredamento, prigionieri davanti il plotone del commercio, vittime di ogni maledetta forma di amministrazione che ottimizza e dispone geometricamente lo spazio in funzione di un risultato uniforme ed efficiente che porti soldi che serviranno a fare altri soldi e via così di seguito in una catena che continua a crescere, anello dopo anello.
Al tempo in cui fondai gli Occhi ero uscito da poco di prigione e avevo scritto il testo contenente i principi che avrebbero guidato le mie azioni, poi diventate le nostre.
Lasciavo messaggi dentro i libri in vendita nelle librerie e se qualcuno scriveva all'indirizzo nascosto al loro interno partiva il processo che avrebbe potuto condurlo tra di noi: l'Ordalia delle Ombre.