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Vecchio 09-04-2008, 04:39   #1
Avanzato
 

Voi avete parlato del vostro problema con i vostri genitori? Nel mio caso mi riferisco alla fobia sociale o disturbo evitante (non ho ben chiara la differenza). E' stato difficile?
Io non sono ancora riuscito a parlarne... probabilmente dovrei... ma mi sento a disagio solo a pensarci... poi non saprei neanche bene che dirgli... un anno fa nemmeno io sapevo che la timidezza estrema potesse essere una malattia...
comunque i miei credo abbiano capito che sia timido e che non sono uno che ama uscire... visto che non esco mai...
Vecchio 09-04-2008, 09:28   #2
Principiante
L'avatar di lupo80
 

Io non gliel'avevo detto, ma poi si accorsero dei medicinali, quindi fui costretto a raccontare tutto.
Vecchio 09-04-2008, 12:28   #3
Esperto
L'avatar di Chioccioccolata
 

Quote:
Originariamente inviata da Shino
Voi avete parlato del vostro problema con i vostri genitori? Nel mio caso mi riferisco alla fobia sociale o disturbo evitante (non ho ben chiara la differenza).
No,a mio padre non lo dico perchè parliamo il meno possibile,a mia madre nemmeno perchè credo che la giudicherebbe una sciocchezza,non capirebbe.
Vecchio 09-04-2008, 13:28   #4
Esperto
L'avatar di gio1
 

Quote:
Originariamente inviata da Shino
Voi avete parlato del vostro problema con i vostri genitori? Nel mio caso mi riferisco alla fobia sociale o disturbo evitante (non ho ben chiara la differenza). E' stato difficile?
Io non sono ancora riuscito a parlarne... probabilmente dovrei... ma mi sento a disagio solo a pensarci... poi non saprei neanche bene che dirgli... un anno fa nemmeno io sapevo che la timidezza estrema potesse essere una malattia...
comunque i miei credo abbiano capito che sia timido e che non sono uno che ama uscire... visto che non esco mai...
Mai parlato del problema con i miei, prima dell'università neanche sapevo dell'esistenza della FS. Ora sarebbe davvero difficile, poiché i modelli di socializzazione gli ho acquisiti proprio dai genitori.

La differenza tra fobia sociale e disturbo evitante di personalità (ADP) non è così chiara, dipende dalle diverse scuole di pensiero. In genere però tutti concordano con il fatto che nel disturbo evitante è sempre presente una componente paranoide più o meno marcata. Il social fobico si sente inadeguato, non pensa sempre male degli altri, ma di se stesso. Da alla realtà una doppia chiave di lettura, o si è come gli altri (e si sta bene) oppure si è inadeguati (e si sta male), non considera tutto quello che sta in mezzo.
L'evitante invece sfiora o cade nella paranoia perchè ritiene gli altri la causa del proprio malessere, rifiuta categoricamente qualsiasi critica, seppur costruttiva, e spesso arriva ad affermazioni del tipo "tutti sono contro di me", sfiorando pure la psicosi. E' questa componente paranoide, più o meno presente, che permette di distinguere, seppur con difficoltà, le due categorie.
A grandi linee è questa la differenza tra le due cose.
Vecchio 09-04-2008, 14:51   #5
Esperto
L'avatar di clizia
 

Perché, i genitori sono sempre in grado di porsi senza malafede e falsa coscienza di fronte ai limiti o ai problemi reali dei figli?
I miei almeno no. Hanno sempre sminuito e sottovalutato i miei problemi legati all’ansia, all’insicurezza e e all’esclusione sociale, forse perché, sotto sotto, sapevano benissimo che prendere coscienza di certi “fallimenti dei figli” li avrebbe, per forza di cose, portati a una messa in discussione di se stessi e del loro stesso ruolo di genitori.
Ammettere di avere due figlie molto timide e insicure, timorose del mondo esterno li avrebbe posti di fronte al parziale fallimento del loro ruolo di educatori, che nel passato – almeno nel mio caso - è stato troppo coercitivo ed autoritario.
Allora è meglio girare la testa dall’altra parte, e pensare che magari alcuni atteggiamenti abbiano un origine soltanto temperamentale, chiamando “un atteggiamento” col termine generico e “innocuo” di timidezza. Sarebbe molto più compromettente chiamare alcuni comportamenti (che poi non sono semplicemente da ridurre ad atteggiamenti perché sono veri e propri disturbi!) con il loro nome “altisonante”, così come possono essere quelli di fobia sociale o disturbo evitante, perché dare nome alle cose fa paura; comunque dare un nome alle cose sarebbe già di per sé un passo avanti, perché coinciderebbe già col riconoscimento di qualcosa precedentemente del tutto ignorato.
Anche quando nel passato dissi ai miei, molto candidamente, che sarei voluta entrare in analisi, mi hanno riso in faccia, dicendomi che sono un’esagerata ecc. ecc.
Anche ora che ho molti problemi sul lavoro a causa della FS loro ancora non riconocono che il mio disagio è reale e pienamente sentito, e non una semplice lamentela….
Vecchio 09-04-2008, 15:12   #6
Banned
 

quello che dico io i miei genitori non mi hanno fatto mancare niente a livello di regali concessioni ne ame ne a mia sorella ma degli errori sono stati fatti.vedete io sono crescito con mia madre e mia sorella mio padre e quasi sempre fuori per lavoro.se mio padre fosse stato piu vicino sono convinto che qualcosa sarebbe diverso...mi spiego meglio.mio padre e un estroverso,un compagnone,un socializzatore per eccelenza aveva tanti amici che col tempo ha perso proprio perche si e dovuto adattare a mia madre,una donna introversa ,che a parte un 2 amiche e le colleghe di lavoro non conosce nessuno in piu e ansiosissima ma non e sociofobica. se avessi passato piu tempo con lui magari avrei appreso quell abilita sociale che si acquista in mezzo alla gente ma le mie sono solo supposizioni.poi i miei genitori lavorando no hanno mai avuto molto tempo per vedere quello che facevo,per cui mi stupisco come continuano a ripetermi che sono cambiato se non mi hanno mai conosciuto veramente,probabilmente pensavano fossi un bravo ragazzo solo perche sono gentile ed educato fino a quando non mi arrabbio.

Inoltre se un figlio passa ore e ore davanti ad un pc non vi viene in mente che magari fa fatica ad inserirsi nella societa,a comunicare,che e introverso.infine gli insegnanti hanno sempre detto ai mie alle riunioni a scuola quale era il mio carattere quindi perche si stupiscono dei miei problemi.comunque penso che prima o poi dovro dirgli qualcosa,magari solo che voglio andare di nuovo in terapia..... :roll: :roll:
Vecchio 09-04-2008, 15:53   #7
Esperto
L'avatar di vetro
 

Io mi chiedo.Ma chi non è insicuro e ansioso nei confronti della vita.Non siamo delle macchine,ne' i nostri genitori lo sono stati.Per quanto mi riguarda i miei mi hanno tenuto in un mondo ovattato e per questo sono cresciuto insicuro.Ma non posso addossare tutta la colpa a loro.Dovevo capire da solo ad un certo punto come va il mondo e non crogiolarmi aspettando sempre la loro manina pronta in caso di bisogno.Ad un certo punto i problemi se ci sono si devono affrontare di petto.Mio padre era una persona molto estroversa,faceva tantissime cose,scriveva sui giornali e dirigeva spettacoli teatrali e stava sempre a contatto con gli altri.Posso dire lo stesso di mia madre anche se in misura minore.Ripensando al passato mi rendo conto che molgte volte ero io che trasmettevo loro insicurezza.Se dovevo andare ad un compleanno,ero io il titubante,quello che chiedeva loro se andare o no.Ad un certo punto cosa puo' fare un genitore?Dirti lui quello che tu devi fare?Sei tu a dover sviluppare una personalita' autonoma ad un certo punto.Mi ricordo che molte cose che mi riguardavano,venivano fatte da loro.L'iscrizione al nuovo anno di liceo,l'acquisto di vestiti(tesoro ti piace questa magliettina che ti ho comprato?).Non ero io ad andare li' e a scegliere spesso.Mi avfrebbero dovuto dire probabilmente o dovevo dirmelo io,adesso vado a comprarmi una maglietta da solo e la scelgo io.
Vecchio 09-04-2008, 20:10   #8
Esperto
L'avatar di clizia
 

Quote:
Originariamente inviata da vetro
Io mi chiedo.Ma chi non è insicuro e ansioso nei confronti della vita.Non siamo delle macchine,ne' i nostri genitori lo sono stati.Per quanto mi riguarda i miei mi hanno tenuto in un mondo ovattato e per questo sono cresciuto insicuro.Ma non posso addossare tutta la colpa a loro.Dovevo capire da solo ad un certo punto come va il mondo e non crogiolarmi aspettando sempre la loro manina pronta in caso di bisogno.Ad un certo punto i problemi se ci sono si devono affrontare di petto.Mio padre era una persona molto estroversa,faceva tantissime cose,scriveva sui giornali e dirigeva spettacoli teatrali e stava sempre a contatto con gli altri.Posso dire lo stesso di mia madre anche se in misura minore.Ripensando al passato mi rendo conto che molgte volte ero io che trasmettevo loro insicurezza.Se dovevo andare ad un compleanno,ero io il titubante,quello che chiedeva loro se andare o no.Ad un certo punto cosa puo' fare un genitore?Dirti lui quello che tu devi fare?Sei tu a dover sviluppare una personalita' autonoma ad un certo punto.Mi ricordo che molte cose che mi riguardavano,venivano fatte da loro.L'iscrizione al nuovo anno di liceo,l'acquisto di vestiti(tesoro ti piace questa magliettina che ti ho comprato?).Non ero io ad andare li' e a scegliere spesso.Mi avfrebbero dovuto dire probabilmente o dovevo dirmelo io,adesso vado a comprarmi una maglietta da solo e la scelgo io.
Caro vetro, vorrei risponderti.
Penso che ogni caso, ogni storia sia diversa. Ad esempio, io avverto in me una forte componente temperamentale di fondo estroversa, chiacchierona, solare che talvolta emerge e sa farsi strada nei giusti contesti.
Eppure da sempre sono avvinghiata da quella strada paura degli altri, dal terrore di sbagliare che mi fa apparire all’esterno perennemente titubante, bloccata dall’esprimermi a fondo.
Sono piuttosto cosciente che in un clima di crescita poco sereno e burrascoso, lì dove le certezze affettive erano sempre sul punto di collassare ( i miei erano e sono tuttora separati in casa), la possibilità di maturare sviluppando appieno le mie potenzialità era assai difficile (anche se non dico impossibili!!), perchè un fondamento solido affettivo teso a darmi certezza nella mia vita non c’è mai stato. Poi aggiungiamo all’instabilità della coppia genitoriale (pre-esistente ai figli!) anche un clima di continua riprovazione e durezza (dettata da un forte senso di insicurezza dei miei stessi genitori), che non mi ha certo aiutata a sentirmi sicura di me.

Io penso che l’io del bambino – quando incomincia a delinearsi - prima che un io individuale sia prima di tutto un IO SOCIALE, cioè plasmato da quei messaggi di approvazione o disapprovazione che il bambino riceve dal mondo esterno. Però, il bimbo - privo di quelle capacità autonome di giudizio su se stesso e il mondo – tende a identificare quei messaggi (positivi o negativi che siano) con un’idea di VERITA’, perché non ha gli strumenti per contrastarli.

Quindi, se io mi sentivo sbagliata era perché mi arrivavano soltanto messaggi di dis-conferma dall’esterno (“non vali abbastanza, non sei come vorremmo fosti”) e questi non facevano altro che accentuare la mia paura che – percepita al volo dagli altri (persone non di famiglia) – veniva ovviamente letta come insicurezza e perciò come atteggiamento da stigmatizzare, colpire o ridicolizzare.
Ognuno ha la sua storia, ma io sento tantissimo il peso della mia infanzia sulle spalle, così come ho sentito fortemente la vitalità e gli “attimi di redenzione” che mi sono stati donati da bellissime persone conosciute nel corso della mia vita, capaci di infondermi stima e di valorizzarmi. Grazie a loro sono cambiata, ma non del tutto, perché ormai le fondamenta fragili sono quelle e non potranno mai essere cambiate. Si può lavorare su di sé, ma per me c’è sempre un limite oltre il quale non possiamo agire, ed è quello che divide ciò che può essere modificato con un atto cosciente di volontà da ciò che appartiene alla dimensione dell’inconscio del sub-cosciente, non controllabile razionalmente.

Sarà che poi ora è un momento “no” e perciò vedo tutto un po’ negativo….speriamo di riacquistare positività verso il futuro, ma talvolta (date le difficili situazioni esterne) questa viene a mancare…

:roll:
Vecchio 09-04-2008, 20:23   #9
Esperto
L'avatar di vetro
 

Ti capisco Clizia.Le conferme arrivano sempre dal mondo esterno.Almeno pensiamo che sia cosi'.Dovremmo forse rendere conto a noi stessi di come si sentiamo,indipendentemente dal giudizio di un familiare o di un estraneo.Forse è vero.Gli altri siamo noi.
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