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Originariamente inviata da Unipolare
Grazie mi stai dando indicazioni molto importanti. Diciamo che i consigli che ci dai stiamo cercando di metterli in pratica.E' una cosa faticosa ma qualcosa si sta muovendo.Vorrei chiederti tu ti rendevi conto che i tuoi soffrissero oppure no ?.Vorrei capire una cosa.Lui ci manda segnali di ipotetici lavori che dovrebbe intraprendere. Le cose più disparate. Però quando si tratta di passare ai fatti non combina nulla questa paura o mancanza di voglia per il lavoro, da cosa può essere causata.Come dobbiamo porci di fronte al problema di un lavoro e di una sua autonomia ?
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Sono davvero contento di averTI (ora mi rivolgo a te come utente e non come figura genitoriale
) dato qualche spunto di riflessione. Ora veniamo alla domanda. Quando l'ho letta ammetto di esserne stato leggermente turbato perchè è la prima volta in assoluto che posiziono la mia attenzione su questo aspetto. Grazie quindi per l'opportunità. La risposta più sincera che posso darti è NO. Io odiavo i miei genitori, li ho sempre ritenuti in parte responsabili di tutto ciò che mi è accaduto di negativo, dei miei disagi e delle mie tare mentali. Tutto questo però è stato ricambiato dalla mia famiglia. Loro se ne sono fregati della mia sofferenza e io della loro. Poi ho capito, ho ammorbidito i rancori fino a scioglierli quasi completamente. Non sono stati una coppia serena di genitori perchè loro stessi avevano un sacco di problemi mai affrontati. Io non potevo fare diversamente per sopravvivere... loro anche. Non li ho mai perdonati per questo ma non li odio, ora no.
Per quello che può valere questa è la mia testimonianza. Ricorda che non siamo tutti uguali e che ognuno sviluppa meccanismi di difesa propri che non possono essere riassunti tutti in semplici concetti di funzionamento "meccanico". Tu per esempio ti stai sottoponendo ad un'autocritica e ad un'analisi che, per esempio, ai miei genitori non passò neanche per l'anticamera del cervello. Ero io quello sbagliato. Fine. Magari non subito ma credo che, se farai le mosse giuste, tuo figlio apprezzerà moltissimo il tuo sforzo, fino al punto che magari ristabilirete un contatto empatico sincero e profondo. Preparati ad avere molta, molta, molta pazienza (già l'avevo detto no?). Ricordi quando ti ho scritto nel messaggio precedente delle leve sbagliate da non usare MAI tipo sensi i colpa, debolezze, morale ecc.? E' possibile che anche lui le usi contro di voi. Occhio!
Per quanto riguarda il discorso lavoro si possono azzardare 1000 ipotesi. La più banale che mi viene in mente è che lui cerchi implicitamente un supporto più concreto nei suoi progetti. Mi spiego con un esempio. Se tuo figlio ti dice tra le righe "mi piacerebbe fare il poliziotto" e tu semplicemente ti limiti ad un "figliolo, se vuoi fare il poliziotto io ne sarei orgogliosissimo. Bravo ragazzo!"... ecco, così non significa supportare. Dietro ad un "mi piacerebbe fare il poliziotto" c'è spesso un "mi piacerebbe fare il poliziotto ma ho paura, non credo di essere all'altezza, credo sia faticoso, no so come fare ecc...". Cerca una spinta, un energia positiva. Nel mio esempio il genitore ideale potrebbe portarlo a fare un giro in caserma, fargli conoscere un poliziotto, incuriosirlo sulla questione... insomma stimolarlo, fargli capire che è POSSIBILE nonostante tutto. Ricordo, da appassionato di letteratura fantasy, di come Gandalf il Grigio nel "Lo Hobbit" sia riuscito a spingere un essere "insignificante" come un mezzuomo in un avventura pazzesca e dai risvolti inaspettati. Digressione a parte, ricorda che questa è solo una possibilità riconducibile alla mia esperienza e quindi trattala per quello che vale: uno spunto che possa aiutarti ad ampliare la visione sulle cose per comprendere appieno ciò che resta in ombra.
In bocca al lupo.