Salve a tutti, ho visto che qualcun altro prima di me ha aperto discussioni su questo tema, ma preferisco aprirne una nuova di collegarmi a messaggi troppo vecchi.
Purtroppo è da una vita che convivo con un pensiero fisso: quello di avere una menomazione intellettiva. Non grave, lieve ma pur sempre una menomazione.
Mi rendo conto di non essere "marcatamente" sotto la norma (tanto da farlo percepire all'estero), ma ho constatato, in molte situazioni della vita, di non essere al pari degli altri nel comprendere i concetti, concreti ed astratti, con i quali ciascuno di noi viene a contatto quotidianamente.
Ho completato il ciclo di scuole superiori (liceo scientifico) e l'università (laurea in sociologia) e ho conseguito anche un diploma di pianoforte con il massimo dei voti. Fino all'università non ho avuto particolari problemi nell'affrontare lo studio, in famiglia sono sempre stata valorizzata in modo normale e nessuno mi ha mai detto (che io ricordi) che non fossi intelligente, anzi.
Intorno ai 16/17 anni ho però svolto un test di intelligenza perché già iniziavo ad avere dubbi sulle mie capacità: il risultato è stato di 115, con una netta superiorità nel QI verbale rispetto a quello di performance (test WAIS R). In particolare ricordo che ottenni un punteggio molto basso (80/90) in un paio di subtest di performance e la psicologa disse che il risultato era molto legato all'ansia. Ovviamente questa spiegazione non mi convinse affatto, anzi mi aiutò a coltivare l'idea di avere un deficit.
Verso i 20 anni, durante l'università, notavo che avevo difficoltà nel comprendere concetti anche banali legati soprattutto ad argomenti economici (esame di economia politica e diritto pubblico). Mi sono comunque laureata a pieni voti e ho trovato subito lavoro (da 14 anni lavoro nell'ambito delle risorse umane), adeguandomi piuttosto bene ai contesti professionali e senza che mai nessuno si rendesse conto dei miei deficit. Nonostante ciò negli anni il problema ha continuato a peggiorare: ho iniziato a trovarmi in situazioni anche banali (es. in banca, dal commercialista, al cinema davanti ad un film thriller complicato) a sperimentare un senso di confusione e di smarrimento, che poi si traducevano in un "non capire" quello che l'interlocutore mi diceva. Paradossalmente, se nello studio di concetti astratti non mi ero mai trovata a disagio, nelle situazioni di vita vissuta mi trovavo sempre in difficoltà. In queste situazioni provavo un senso di vergogna per non riuscire ad essere all'altezza, poi, una volta da sola, iniziavo a cercare tutte le informazioni possibili ed immaginabili che mi aiutassero a far chiarezza sui concetti che non avevo compreso. La mia ansia si placava solo quando riuscivo ad avere la sensazione di "aver capito". Negli anni queste situazioni di difficoltà si sono accentuate fino ad ostacolarmi anche sul lavoro e nella vita di relazione. Non sentendomi all'altezza del lavoro e del partner, sono entrata in un loop depressivo che, non più tardi di 1 anno fa, mi ha convinto ad iniziare a prendere antidepressivi. Da allora la situazione è migliorata (ne prendo davvero una quantità bassa), almeno non sento più l'ansia bloccante, ma continuo a vivere molto male tutte le situazioni in cui devo dimostrare a me stessa che il mio cervello funziona e in cui, puntualmente, riscontro che invece ha delle difficoltà. Mi sento smarrita, inutile, non degna di essere amata. Divento evitante, scontrosa, impaurita.
Ne sto parlando con una psicologa, sicuramente un po' mi ha aiutata, ma credetemi, è veramente difficile e pesante vivere così.
Spero che qualcuno mi possa dare un consiglio o, se non altro, condividere con me un problema simile.
Grazie a tutti per l'ascolto e la comprensione.