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Vecchio 01-04-2017, 17:21   #1
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Negli anni dell'università sognavo sempre di avere un'altra donna. Non che non mi andasse bene quella che avevo, ma mi sentivo meno uomo per non aver avuto altre esperienze. Sapevo che prima o poi mi sarebbe successo di innamorarmi di un'altra. E infatti è successo nel 2012 e lei la conosceva. Mi innamorati segretamente di questa francese a un master che avevo deciso di fare con la mia ragazza di allora. Scelsi di rivelare i miei sentimenti solo l'ultimo giorno per mezzo di una lettera che consegnai a questa donna prima che partisse. In quel periodo bevevo spesso in modo esagerato e poi fumavo marijuana per aumentare l'effetto dell'alcool. Quella donna mi scrisse che non provava niente per me, ma io non accettai mai la verità e restavo convinto dentro di me che lei mi amava, ma per molti motivi psicologici non riusciva ad ammettere a sé stessa questo fatto. Successivamente, dopo che la mia ragazza se ne fu andata, vissi per un periodo di sei mesi da solo in una grande casa della riviera ligure. C'era qualcosa che non andava. Semplicemente la mia vita era ferma al palo. I miei colleghi erano andati avanti. Dopo il master avevano trovato un lavoro oppure lo stavano cercando, mentre io ero completamente assorbito dalla mia storia immaginaria con quella ragazza di cui mi ero innamorato. Un giorno ero da solo in casa ed ebbi un attacco di panico. Era come se stessi per morire. Avevo già capito che questo mi succedeva a causa del mio isolamento. Uscii subito in strada per cercare qualcuno con cui parlare e mi passò. Un'altra volta, sempre da solo cominciai a sentire la testa che mi girava, forse persi i sensi e poi chiamai un'ambulanza, ma non notarono nulla di strano e mi fecero tornare a casa. Il vero e proprio episodio psicotico lo ebbi sei mesi più tardi. Ero ancora una volta da solo e all'improvviso sentii chiaramente che sarei morto tra poco. Mi prese una grande angoscia. Mi aggiravo per la mia stanza osservando tutte le mie cose e non volevo assolutamente morire. Cominciai a scrivere le mie ultime volontà, poi pensai che non sarei morto, ma che mi avrebbero amputato braccia e gambe, che ero gravemente malato. Pensieri angoscianti si succedevano rapidamente. Ero posseduto da un demonio, avevo commesso un grave peccato e una grave offesa contro Dio e l'unico modo per uscire da quel vicolo cieco era togliermi la vita. Non riuscivo a pensare ad altro che a questo: “voglio ammazzarmi”, tiravo delle testate sul pavimento, poi andai in bagno e presi tutti i farmaci che trovai e mi sdraiai sul divano aspettando la morte, ma la morte non arrivava. Decisi di chiamare un ambulanza. Questa volta chiamarono una psichiatra che mi propose di farmi ricoverare dato che avevo tentato il suicidio. Stranamente appena entrai in ospedale tutta l'angoscia era svanita, mi sentivo tranquillo e infondo capivo che quello che stavo provando era solo il risultato di pensieri assurdi che avevo sul mio conto. Iniziarono a darmi questa pillola, senza neanche dirmi come si chiamava. Nel giro di pochi giorni ero diventato apatico, privo di interessi, tutto il mio mondo fantastico era sparito e al posto di questo c'era una realtà che non era più la mia, non era una realtà condivisa. Dentro di me c'era il vuoto. Non ero più in grado di disegnare o di scrivere, cose che mi erano sempre piaciute moltissimo ed erano un modo che avevo per esplorare la mia interiorità, cosa che ho sempre trovato divertente. Dimesso dall'ospedale cominciò l'inferno. Non avevo niente da fare. Non facevo più l'università, non avevo un lavoro ed ero circondato di persone che mi ritenevano malato. Le giornate non finivano mai. Stavo sul letto e passavo il tempo a fumare e a leggere informazioni su internet sulla psicosi. Non c'era nessuno con cui mi interessasse stare e un tratto della mia personalità si era accentuato: l'insofferenza. Non riuscivo a stare per più di mezz'ora con qualcuno senza provare un forte disagio, ma anche quando ero solo non andava meglio. Nessuno mi ha spiegato che cosa mi abbia portato a manifestare uno scompenso psicotico. Era solo un problema chimico, non aveva niente a che fare con la mia anima o con il mio vissuto. Dopo qualche tempo sono andato a fare volontariato in campagna e anche se non provavo nessun piacere ero impegnato per almeno metà della giornata, l'altra metà la impegnavo a fissare il soffitto ad ascoltare musica cristiana. Poi mi sono iscritto di nuovo all'università, questa volta a Roma. Ho continuato a prendere il farmaco per un anno, poi ho deciso di diminuirlo e infine di sospenderlo, senza dire niente al mio psichiatra, le cose sono andate avanti senza cambiamenti fino al giorno in cui ho iniziato a sentirmi di nuovo strano, avevo problemi a dormire e la mia mente era confusa. Ricordo semplicemente che ero triste e angosciato, ma non ricordo il motivo, sentivo una forte spinta ad uscire e a parlare con le persone ed è quello che ho feci, ma c'era una componente ossessiva in tutto questo, sentivo che mi sarebbe successo qualcosa di brutto se non l'avessi fatto. Mi sentivo l'anima in pezzi. Nonostante ciò ho deciso di partire comunque per Israele dove avevo programmato una vacanza studio-lavoro in un kibbutz. In Israele non mi trovavo bene, i supervisori mi avevano preso in antipatia perché ero svogliato sul lavoro e non avevo relazioni significative con nessun altro volontario. Cercai di mettermi a lavorare di buona lena, ma la loro opinione sul mio conto non cambiava. Una notte non riuscii a dormire fino alla mattina e dimenticai di andare a lavoro. I direttori del kibbutz si dimostrarono subito molto aggressivi nei miei confronti, volevano un incontro per chiarire i miei obblighi e doveri nei confronti dell'amministrazione, in quell'occasione reagii in maniera violenta urlando che dovevano lasciarmi in pace e che poteva succedere di non presentarsi a lavoro. Decisi di andarmene, ma ero molto confuso e non sapevo cosa fare e dove andare, per cui tornai lì. Una notte mi prese un attacco di follia e mentre tutti dormivano me ne andai in giro a fare danni alla struttura. Ruppi delle vetrate, sfasciai una porta e ruppi una macchina agricola. Il giorno dopo chiamarono la polizia, ma dopo qualche ora mi rilasciarono, passai ancora una giornata sulla spiaggia prima di decidere di tornare al kibbutz completamente nudo. Arrivato lì mi misi a gridare contro tutti che erano dei demoni maledetti e che io portavo la croce di Cristo nella carne. Questa volta la polizia non mi rilasciò. Ora, tornato a Roma ho ripreso a prendere il farmaco (Risperdal 2mg), ma la mia vita è vuota. E' vero che ho avuto un'esperienza strana, probabilmente sarei stato da TSO, ma ho vissuto anche momenti intensi, carichi di passione e nel periodo in cui non ho preso i farmaci ho scritto e disegnato molto. Ora non so più cosa fare, sono tornato a fissare il soffitto per ore e il tempo non mi passa mai. A volte penso che la mia malattia sia una sorte migliore per me rispetto a prendere il farmaco. Sono tra l'incudine e il martello, per quanto tempo dovrò prendere questo farmaco? La mia fantasia, perfino le mie idee strane su me stesso e su Dio sono parte di me, sono il mio mondo interiore, non posso convivere con un farmaco che mi depriva della mia identità. Voi cosa ne pensate?
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