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Vecchio 26-09-2006, 14:09   #1
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ALFRED ADLER

Adler è il primo geniale eretico della psicoanalisi, è il teorico della psicologia individuale , dove si affrontano gli stessi problemi di Freud con un sistema teorico che offre per essi una soluzione differente: Freud vede la vita dell'uomo in funzione del passato, Adler la legge in funzione del suo avvenire e questo perché l'individuo è guidato dal desiderio di superiorità, dalla ricerca di somiglianza divina, dalla fede nel suo potere psichico. La volontà di potenza, il sentimento sociale e la finzione sono le tappe principali del percorso. Le tappe sono secondarie rispetto alla capacità che egli ebbe di superare le antinomie freudiane spostando la sua attenzione dalle cause alle mète. Sintetizzare l'evoluzione della Psicologia Individuale Comparata è di certo un'operazione riduttiva e non semplice da compiersi. E' più utile forse sintetizzare alcuni dei concetti chiave che caratterizzano la dottrina adleriana. Se le azioni sono la guida per capire la personalità, lo stile di vita costituisce la modalità dell'azione. Il termine, coniato da Adler, anche se passato ormai a far parte del linguaggio corrente, definisce la modalità con la quale l'individuo si muove verso la meta servendosi dei mezzi che ritiene di avere a sua disposizione e cioè della percezione soggettiva che ha di Sé. Lo stile di vita si forma nella primissima infanzia, è definito nelle sue linee fondamentali già all'età di cinque anni. È la risposta che l'individuo fornisce per muoversi nel suo contesto ambientale originario che, in genere, è costituito dalla famiglia. Per questo motivo Adler dedicò molta attenzione allo studio della "Costellazione Familiare", cioè della posizione di nascita del bambino rispetto ai fratelli e della relazione e delle caratteristiche degli altri membri della famiglia. Inoltre Adler, con lo studio dei "Primi Ricordi Infantili", per primo mise l'accento sul valore proiettivo dei ricordi che restituiscono l'impronta dell'attuale personalità. I primi ricordi sono l'impronta, non la causa. Né è importante stabilire se sono reali o frutto di elaborazione di fantasia: importa sapere che dalla loro interpretazione si ottengono informazioni essenziali per comprendere lo stile di vita dell'individuo e per riconoscere le sue mete. L'analisi dello stile di vita costituisce il fulcro dell'analisi adleriana. Nell'uomo ci sono due istanze innate esprimibili come: volontà di potenza intesa come bisogno innato di sopravvivere e di affermarsi e come sentimento sociale da intendersi sia come sentimento di cooperare con la comunità, sia di compartecipare emotivamente con gli altri individui.La coesistenza di queste due istanze rappresenta la salute mentale, mentre il loro conflitto porta alla nevrosi . Adler, che era un acuto osservatore e che costruì tutta la sua teoria partendo dall'attenta osservazione, constatò che ogni individuo tende verso l'alto, cioè si muove da una posizione vissuta come inferiore, ad una meta di superiorità. Nasce il termine volontà di potenza , di matrice nietzcheana, che spiega il motivo per cui l'individuo tende a reagire alla propria inferiorità spostandosi verso l'alto, usando gli artifici nevrotici nel suo cammino. Per Adler l'uomo è un essere sociale e la tendenza verso il sociale è innata. Questa concezione spiega perché Adler aggiunse al nome della "Società di Psicologia Individuale" il termine "Comparata". Egli sosteneva che l'uomo non può essere compreso se non viene osservato all'interno del contesto sociale con il quale interagisce. Il sentimento sociale lo avvicina alla dottrina di Erich Fromm per il quale l'uomo diviene sociale per sfuggire alla solitudine. L'innatismo del sentimento sociale è forse l'unico aspetto dogmatico della teoria adleriana ma si deve riconoscere che l'esistenza di un buon rapporto con gli altri, che mantenga inalterata la propria individualità ma che faccia sentire l'individuo partecipe del suo contesto umano, è elemento essenziale di un buon equilibrio psichico. Il sentimento di inferiorità caratterizza il bambino alla sua nascita ed è fisiologico nell'infanzia. Si trasforma in complesso di inferiorità nell'adulto quando vengono a mancare le condizioni educativo-ambientali che consentono al bambino di liberarsene nel corso della crescita. Ad accentuare il complesso di inferiorità possono concorrere quella che Adler chiama inferiorità d'organo , intesa come insufficienza fisica o estetica e la costellazione familiare intesa come rivalità fra i fratelli a cui Adler attribuisce un'importanza maggiore che ai genitori. La compensazione è una delle modalità che la volontà di potenza usa per superare il sentimento di inferiorità. La compensazione non deve essere vista solo come artificio nevrotico ma anche come elemento di superamento dell'inferiorità. Adler distingue tra compensazioni e supercompensazioni e tra compensazioni positive e negative: quelle negative e la supercompensazione interferiscono con il sentimento sociale. La progettazione di piani di vita può comportare una valutazione di sé e del mondo che si distacca dall'oggettività, producendo quelle finzioni che restano nell'ambito della normalità psichica finché non distanziano troppo l'individuo dai suoi simili e non alterano la coerenza del pensiero. La finzione è un'idea che aiuta a trattare la realtà più agilmente. Esasperando il concetto, tutto è finzione, o quanto meno tutto è infarcito di finzioni. La finzione è la sommatoria della costruzione soggettiva, alla quale si sovrappongono i codici ambientali di cui fanno parte la cultura, l'etica, il costume, la religione. Ogni individuo nel suo agire è guidato da una meta e orientato verso la meta. Questo scopo prevalente viene definito fine ultimo e assume carattere fittizio quando è inquinato da elementi patologici ed è compensatorio di complessi. La meta è composta da una parte consapevole e da una parte di cui l'individuo non è consapevole. Scoprire la parte inconsapevole della meta aiuta a capire l'origine e il senso delle nevrosi e spiega fenomeni dei quali i soggetti nevrotici non sanno darsi pace. Il Sé creativo è senza dubbio il concetto più elevato della teoria e costituisce il punto di arrivo del pensiero dello studioso austriaco. Definire il Sé creativo è difficile anche se il concetto è intuibile implicitamente: l'individuo ha in sè una serie di potenzialità creative che sono l'essenza stessa del suo essere. Tali potenzialità esigono che l'individuo trovi la possibilità di esprimerle attraverso l'azione. Ma la capacità di esprimere la creatività personale richiede un adeguato livello di autostima. Se il processo di crescita e di maturazione ha consentito di acquisire sicurezza, l'individuo può esprimere il proprio Sé creativo. Se invece il processo di maturazione è stato incompleto, il complesso d'inferiorità impedisce l'espressione della creatività e l'individuo è costretto ad adottare artifici nevrotici per mantenere il proprio livello di autostima. In questo caso però il Sé creativo non accetta la condizione di compromesso che gli impedisce di esprimersi e genera la spinta verso la ricerca delle vie d'uscita assieme agli artifici nevrotici di compenso a salvaguardia dell'autostima. Un opportuno processo di incoraggiamento fornito in un contesto relazionale adeguato può consentire il superamento del complesso e portare all'espressione della propria potenzialità creativa. L'incoraggiamento diventa lo strumento per il cambiamento. Se all'origine della nevrosi c'è il sentimento di inferiorità, solo mediante un adeguato ed efficace incoraggiamento è possibile ottenere la guarigione. Incoraggiare significa scoprire le potenzialità creative dell'individuo, aiutarlo a vederle e sostenerlo nel mettere in campo tali potenzialità, facendogli capire che dispone degli strumenti per realizzare le sue mete.
In sintesi la psicologia individuale di Adler, diversamente dalla psicanalisi ortodossa di Freud, sottolinea soprattutto l'importanza del fattore sociale nella comparsa della nevrosi. Lo sforzo dell'individuo per emergere, per imporsi, rappresenta il tentativo di superare il complesso di inferiorità che prova, da bambino, nei confronti del mondo degli adulti, inferiorità che può essere acutizzata da fattori economici e organici. Nel tentativo di superare questo senso di inferiorità, il bambino si prefigge obiettivi fittizi che hanno lo scopo di tranquillizzarlo. Nel soggetto normale questa contraddizione fra visione fittizia della vita e realtà viene mediata, consentendogli di stabilire soddisfacenti rapporti sociali. Nel nevrotico questa mediazione fallisce, vanificando la possibilità di una relazione sociale positiva. La terapia mira a determinare come si è formato questo autoinganno, attraverso i ricordi e i sogni, non ricorre alle libere associazioni, considera il transfert come elemento facilitante e presuppone una partecipazione attiva da parte del terapeuta tesa a smascherare i falsi obiettivi a cui il paziente tende e a fornire mete esistenziali più idonee e stimolanti.



Viktor E. Frankl

Secondo Frankl, la motivazione primaria dell'uomo è la volontà di significato, che pone l'uomo in permanente ricerca di un senso della propria esistenza. Egli afferma: "L'uomo cerca sempre un significato della sua esistenza; egli è sempre nell'atto di muoversi alla ricerca di un senso del suo vivere; in altre parole, è ciò che io chiamo "la volontà di significato""

La sua concezione è nata dalla persuasione dell'insufficienza dei due concetti fondamentali delle scuole di Freud e di Adler, rispettivamente la volontà di piacere e la volontà di potenza. Né l'uno ne l'altro partivano da una vera comprensione dell'uomo. Secondo Frankl il principio freudiano del piacere è al servizio del principio dell'omeostasi che descrive l'uomo come un sistema chiuso, per cui, fondamentalmente, tende a mantenere un equilibrio interno e raggiunge questo fine con la riduzione delle tensioni. Del resto anche il principio della realtà è al servizio del piacere, in quanto lo scopo del principio della realtà è di assicurare il piacere, quantunque dilazionato. Secondo Frankl, il principio omeostatico non consente di spiegare fenomeni umani, quali la creatività dell'uomo, che è orientata verso valori e significati. Inoltre, egli ritiene che il principio del piacere è autodistruttivo, in quanto più si tende al piacere, meno lo si raggiunge. Infatti, nei casi di disturbi sessuali, quali l'impotenza e la frigidità, l'iperintenzione e l'iperriflessione creano dei modelli nevrotici di comportamento.
Per quanto riguarda la volontà di potenza, Frankl pensa che anch'essa è autodistruttiva, perché chi dispiega ed esibisce uno sforzo di autoaffermazione, prima o poi verrà emarginato come uno che cerca unicamente se stesso.

Frankl afferma: "In ultima analisi, l'autoaffermazione o volontà di potenza, da una parte, e il principio del piacere, o - come è meglio esprimersi - la volontà di piacere, dall'altra, sono semplici derivati dell'interesse primario dell'uomo, cioè della volontà del significato. Quella che chiamo volontà di significato potrebbe essere definita come la tensione radicale dell'uomo a trovare e realizzare un significato e uno scopo"
Dunque, secondo Frankl, il piacere, in realtà, è l'effetto della realizzazione di un significato, invece di essere il fine della tensione dell'uomo. La potenza, a sua volta, anziché essere la fase finale, è in realtà il mezzo per un fine. Perciò non si dovrebbe esaltare troppo il potere della volontà e insegnare una sorta di volontarismo. "Non si può comandare alla volontà - egli scrive -. Non posso voler volere. E provocare la volontà di significato vuol dire lasciare che il significato risplenda da se stesso"

Frankl prende le distanze anche nei confronti del concetto di autorealizzazione di A. H. Maslow. In primo luogo, l'autorealizzazione non è lo scopo ultimo dell'uomo. Essa è solo l'effetto dei compimento di un significato. Solo l'esistenza che realizza fuori di sé può realizzare se stessa. Prendendo l'esempio del boomerang, Frankl osserva: "un'eccessiva spinta verso l'autorealizzazione può costituire la strada verso la frustrazione della volontà di significato"

Frankl riconosce alla psicoanalisi di Freud il merito di aver criticato teorie psicologiche contemporanee incentrate sulla vita cosciente e razionale dell’uomo. La psicoanalisi, fondata sulle teorie della libido e dell’inconscio, sostiene invece che le ragioni dell’attività cosciente dell’uomo vanno ricercate in motivazioni inconsce di natura istintuale. Ma, se queste teorie hanno ampliato gli orizzonti della psicologia del tempo, attirando l’attenzione sulle componenti irrazionali della vita psichica, Frankl le considera tuttavia materialistiche e riduzionistiche. Infatti, oltre a un inconscio di tipo istintivo egli sostiene l’esistenza di un inconscio di tipo spirituale, e proprio il mancato riconoscimento di quest’ultimo ha gravi conseguenze per la visione dell’uomo, per le teorie relative ai disturbi psichici e infine per le terapie.
Frankl afferma che l’uomo non può essere ridotto a un insieme d’istinti: consiste certamente anche di processi vitali, a volte con un ruolo dominante, ma, a differenza degli altri esseri viventi, possiede una dimensione spirituale, per cui la vita umana non è solo vita biologica ma anche esistenza. L’uomo dispone di un nucleo spirituale che gli consente di prendere posizione nei confronti di condizionamenti d’origine biologica, psichica e sociale, d’opporvisi per quanto possibile e, nei casi in cui essi non possono essere modificati, di non aderirvi passivamente, ma di mantenere comunque un atteggiamento di libertà interiore.
La visione frankliana dell’uomo è ispirata a realismo. Diversamente da teorie psicologiche e da ideologie mediche, che promettono non solo la guarigione ma il benessere fisico, psichico e sociale, Frankl riconosce la precarietà dell’esistenza umana, l’ineluttabilità della sofferenza e, in ultima analisi, l’importanza della morte come inevitabile conclusione dell’esistenza.
È necessario riconoscere che, nonostante innegabili progressi della medicina, il medico non può garantire la salute permanente, e, in molti casi, l’obiettivo non può consistere nell’eliminazione totale dei disturbi, ma nel trovare un equilibrio che consenta al malato di vivere dando un significato alla propria esistenza nonostante la malattia o, in certi casi, perfino grazie a essa.
La morte, poi, ponendo fine all’esistenza, contribuisce a rafforzare il senso di responsabilità. L’uomo non ha a sua disposizione un tempo infinito, non può rimandare continuamente decisioni o prese di posizione, ma deve agire tenendo conto di questa scadenza di cui non conosce la data. Frankl racconta di aver paragonato nelle sue analisi la vita a un film in corso di produzione: la pellicola impressionata non può più essere modificata e non si sa neppure quanta pellicola si abbia ancora a disposizione.
La ricerca di significato
Mentre gli animali sono guidati dagli istinti, per cui il loro operare mostra un senso, per esempio la costruzione di un nido, l’uomo è libero di scegliere fra alternative diverse. Frankl deplora che nella civiltà moderna la libertà venga intesa soltanto negativamente, come autonomia nel prendere decisioni, come arbitrarietà, mentre viene trascurato il legame fra libertà e responsabilità.
Infatti, ogni scelta ha una dimensione morale e può esser messa in relazione con un sistema di valori e d’ideali, e proprio questo orientamento può conferire un significato alla scelta. Tali scelte possono risultare difficili in quanto l’uomo si trova in continua tensione fra essere e dover essere, fra la realtà da una parte e gli ideali da realizzare dall’altra: "[...] la tensione tra l’essere e il significato - afferma sempre nel 1946 - è radicata in modo ineliminabile nell’essenza dell’uomo. La tensione tra essere e dover-essere appartiene all’essere-uomo. E quindi costituisce anche una condizione indispensabile di salute mentale".
Frankl identifica nell’elusione del problema esistenziale una possibile causa di disturbi psichici. Mentre in situazioni difficili, quali guerre e crisi economiche, l’uomo è posto drammaticamente di fronte a problemi concreti, in condizioni di "benessere" affiorano problemi esistenziali, con sensi di vuoto e di taedium vitae, con alternative come l’uso di sostanze inebrianti o di droghe.
Analisi Esistenziale e Logoterapia, trascendenza e religione
La mancanza di significato della propria esistenza può manifestarsi in crisi esistenziali: l’Analisi Esistenziale si propone di rendere l’uomo consapevole dell’importanza dell’"esser responsabile" per la propria esistenza. In certi casi tali crisi raggiungono livelli patologici e Frankl li definisce "disturbi noogeni", cioè riconducibili al nous, allo spirito. La cura di questi disturbi deve tener conto del significato più profondo dell’esistenza e della realtà, del Logos, e si presenta come Logoterapia.
L’Analisi Esistenziale non riconosce solo la dimensione spirituale dell’uomo ma anche una componente trascendente ed entra in contatto con l’ambito religioso.
Frankl capovolge anche l’interpretazione freudiana del rapporto fra immagine di Dio e padre, criticando la tesi secondo cui le concezioni religiose sarebbero solamente proiezioni psichiche rispondenti a esigenze di tipo nevrotico: "Nella psicanalisi non solo - scrive sempre nel 1948 - il Super Io rappresenta una immagine paterna introiettata, ma ciò viene affermato in maniera particolare del concetto di Dio; per la psicanalisi Dio è una pura immagine paterna.
"Noi invece affermiamo l’opposto. In realtà, non è Dio un’immagine del padre, bensì il padre è un’immagine di Dio. Per noi il padre non è l’archetipo della divinità, ma è vero il contrario: Dio è l’archetipo di ogni paternità. Solo dal punto di vista ontogenetico, biologico, biografico, il padre costituisce il primum. Dal punto di vista ontologico il primum è Dio. Se dunque sotto il riguardo psicologico il rapporto "padre-figlio" è antecedente all’altro "uomo-Dio", sotto il riguardo ontologico non è primario, ma ricalcato su quest’ultimo".
Critico della modernità
Viktor E. Frankl è pure un sottile critico della modernità: il riconoscimento del significato dell’esistenza contraddice ogni forma di nichilismo e d’esistenzialismo, ogni forma di disperazione e di disprezzo della vita umana, e rappresenta piuttosto un invito all’uomo a riflettere, ad assumersi le proprie responsabilità, a riconoscere nello stesso tempo il significato dell’esistenza di ogni essere umano e quindi della sua dignità indipendentemente dalle condizioni esteriori. Il richiamare che l’uomo può realizzarsi solamente aprendosi all’altro, superando sé stesso in una relazione non solo orizzontale ma anche verticale, sconfessa una caratteristica del mondo moderno, il narcisismo: l’atteggiamento egoistico di chi pone al primo posto il soddisfacimento delle proprie esigenze individuali, senza alcun riguardo per gli altri.
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