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Originariamente inviata da Who_by_fire
riuscirò mai, nel tempo di una vita, a recuperare quanto perso, ad arrivare alla serenità e alla solidità da cui gli altri -la maggiorparte degli altri- sembrano essere partiti?
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A mio avviso lo si può fare solo se prima si abbandona totalmente la paura del rifiuto e del giudizio e tutto ciò che da essa deriva: necessità di confrontarsi con gli altri in primis. Necessità in senso patologico, intesa come bisogno continuo di conferme riguardo la propria normalità o perfezione e riguardo al non essere "anormali", dove la regola è stabilita da chiunque ci si trovi davanti. Chiunque stimola in noi il bisogno di essere accettati, così finiamo con l'imparare ad adeguarci per placare la nostra sete di accettazione, censurando e soffocando noi stessi e tutto ciò che siamo: desideri, idee, sentimenti, emozioni.
Anche il passato finisce per diventare materia di confronto e il fatto di percepirlo come diverso e meno vissuto rispetto a quello degli altri, che la cosa corrisponda a verità o meno, deriva dal fatto che il nostro pensiero è costantemente incentrato su questo confronto perenne. Il passato come entità monolitica ci preoccupa prevalentemente perchè è materia di paragone fra noi e gli altri, è ciò che potenzialmente ci può far sentire diversi, ma la diversità ci spaventa non per la paura di essere intrinsecamente sbagliati, quanto per il timore che GLI ALTRI ci considerino tali, rifiutandoci e giudicandoci.
Il valore reale del proprio passato è ciò che si è appreso tramite l'esperienza, e una parte fondamentale di questo apprendimento è la conoscenza di sé stessi. Questa è l'importanza del passato e delle tappe della vita: la capacità di poter essere, nel presente, più consapevoli di ciò che si è e poter quindi avere una presa più forte sulla realtà, procedendo meno per tentativi. La sicurezza è questa...sapere davvero chi si è e cosa si vuole.
Penso che ciò che non si è vissuto al momento giusto non si possa più recuperare, ma penso anche che quest'ottica sia troppo rigida. Considerare la vita come una successione di tappe fondamentali che ognuno vive al momento giusto, va bene per quel che riguarda certe cose, in un contesto generale, ma è limitante per chi già di suo vive con l'assillo di poter essere diverso dagli altri. Convincersi da soli di un "modello di vita" uguale per tutti, non fa altro che alimentare il solito meccanismo perverso del confronto.
Ognuno di noi possiede il diritto naturale di essere diverso da chiunque altro, ma la paura ci fa dimenticare questa nostra facoltà, senza nemmeno rendercene conto. Il nostro passato è solo nostro, ha un valore unico non confrontabile. Chi non ha vissuto alcune delle presunte tappe fondamentali, ne ha vissute altre meno comuni, come per esempio il dolore e la solitudine, perchè in quel tempo esisteva comunque.
Per poter fare le esperienze che ci permettono lentamente di sentirci in armonia con gli altri, occorre innanzitutto abbandonare l'ottica del confronto e cominciare ad esporsi all'eventualità dei rifiuti per quello che sono, qualcosa che fa parte della vita e che ci accomuna tutti, imparando così a gestirli e ridimensionarli.
In questa ottica del confronto che va abbandonata, è compreso anche il passato, inteso come lista di cose da fare, percorso più o meno omologato, metro di paragone di una presunta normalità che accettiamo troppo passivamente.
Finchè si vive con l'assillo del passato, ci s'impedisce da soli di vivere quelle esperienze che ci permettono di accrescere la nostra consapevolezza e di muoverci con sicurezza nel mondo.
A noi che ci sentiamo rimasti indietro, è richiesta una capacità di annullare il giudizio altrui maggiore, rispetto a chi questa sensazione non ce l'ha. Questa è l'unica differenza sostanziale fra noi e gli altri: la paura di essere rifiutati e giudicati perchè considerati diversi. Solo questa paura. Tutto il resto non è un limite...si può essere anche vergini a 60 anni, non aver mai avuto un amico, non aver mai fatto tante cose, ma se non si ha paura del giudizio altrui si ha una marcia in più, anche rispetto a tanti che il problema non se lo pongono ma che lo vivono ugualmente. Soprattutto si vive in maniera enormemente più serena e felice, in quanto passare ogni secondo della propria esistenza preoccupandosi di cosa gli altri pensino di noi, è una fatica incommensurabile, nonchè uno spreco enorme di noi stessi.
(Scusa Who se mi sono allargato, ma per l'idea che volevo trasmettere, di come tutto rientri in un quadro più grande, non ho potuto fare altrimenti)