Faccio la spesa, incredibile che ci sia riuscito.
Mio padre mi domanda cos'ho più volte... reso miope da un passato che l'ha portato ad ardere come una candela in piena tempesta, ora comprende solo ciò che gli si dice chiaramente, tutto il resto è confuso.
Ecco... un altra ragione della mia squisita logorrea.
"'Saghèto?" (
Cos'hai)
"Niente"
"Beh, a mi non me pare che non te ghé niente" (
Beh, a me non sembra che non hai niente)
"Non ho niente, papà"
Non capisce, è confuso. Vede ma non bene. "L'è el tempo?" (
E' il tempo?)
"No"
"Eh... el mè so dito, infatti, che non te si mai stà metereopatico..." (
Eh, infatti mi sono detto che non sei mai stato metereopatico)
allora ci ripensa, mi guarda, tossisce e mi rifissa "Te ghè dormio stanote?" (
Hai dormito stanotte?)
"Certamente" prendo una curva troppo stretta, siamo in auto e piove a dirotto, le foglie sono un tappeto marcio che le gomme della mia auto malsopportano. Devo controsterzare per evitare di finire sopra il marciapiede. Nulla di grave, non lo sfioro nemmeno, ma ci sballottiamo un po' prima di tornare in carreggiata. Cambio marcia.
"Steto atento o no?!" (
Stai attento o no?!) ora è nervoso, seccato... il vecchio beone... non ricorda come guidava lui, e le auto che ha bellamente fatto accartocciare nella sua vita bruciata. Forse cinque, sei, non so "Voto che guida mi?" (
Vuoi che guido io?)
Oh, ci manca solo quello. Non rispondo. Continua a guardarmi. Esige una risposta per calmarsi. E sia.
"Ho mal di testa"
Si rilassa. Ora è chiaro. Felice.
"Beh... anca mi. L'è el tempo" (
Beh... anche io. E' il tempo)
"Si, il tempo"
Sta meglio. Ora.
Al parcheggio vomito quelle 2 barretta di cioccolato al cocco che, col ginger analcolico, dallo stomaco finiscono sul piazzale formando una chiazza rosso scuro e mentre la vedo, penso "Cazzo. Questa volta è arrivata. L'ulcera. Lo sapevo. Mi ritroverò a prendere il caolino, come mio nonno. Quella polvere gialla di cui parla mio padre"
Precisamente mentre sto accanto a quel cazzo di palo, con l'acqua che mi diluvia addosso... proprio ma proprio
in quel cazzo di momento arriva un suv nero con due occhi simili a due fasci laser.
Dove diavolo parcheggia? Ma
perchè lì, accanto a me,
perchè?
Beh... perché altri posti non ce ne sono.
Gli occhi si spengono. Esce un tipo grasso che mi vede, si infila una sigaretta in bocca e apre l'ombrello. E' preoccupato... pensa di avere davanti qualcuno che sta vomitando sangue, non ginger e cioccolato.
Lo riconosco, ha l'A&O del centro. La figlia mi ammiccava fra gli scaffali frigo, al tempo dei tempi. La ricordo. L'ultima volta aveva pantaloni gialli a pinocchietto.
"Dio, fai che non scenda Elisabetta"
Ma no, non c'è. Non ci può essere. I pinocchietti li ha dismessi, penso, ed è laureanda a Milano, credo. O Bologna.
Ma basta lui. Ecco che sta per pormi la stessa, asettica domanda di mio padre, quando lo precedo.
Tolgo una mano dal palo, è fradicia. La sventolo davanti, ruscellante. "Sciocchezze" scuoto le spalle.
Lo sguardo di lui si fa interrogativo, perplesso. Inclina il capo da un lato, ora sta pensando ad altro. Socchiude gli occhi.
"Marco" mio padre mi raggiunge col carrello. Ha finito di fare la spesa, tornato dal supermercato dove mi è stato detto chiaro e tondo che non posso rimettere piede.
La voce non è più quella dello scarto d'uomo che è. Ha momentaneamente dismesso i panni di vecchio che si lamenta dei dolori tutto il santo giorno, per tornare a indossare quelli dell'uomo dal pizzetto rosso e i capelli ricci e neri che corre sull'argine con me... il viso non è grigio e rugoso, le palpebre non sono arrossate. Nella voce è lui. Papà.
"Ora dimmi cosa diavolo hai" non è una domanda. Non è in dialetto. Ora parla come parlava.
Sputo ancora. Non penso toccherò cioccolato per un po'.
Sposta gli occhi fra il rosso del vomito e il muso d'onice dell'astronave.
"Solo il tempo, papi" dico.
E sarebbe stato perfetto, teatrale nel vomito. Non avessi vomitato altre due volte
La mia pancia fa le bizze