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24-06-2013, 15:40
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#1
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Esperto
Qui dal: Dec 2012
Ubicazione: Roma
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Ho iniziato il decennio dei miei vent’anni sentendomi un drago; ero un ragazzo che guardava al futuro con curiosità e ottimismo, convinto di possedere delle qualità che avrebbero fatto la differenza, che gli avrebbero permesso di ritagliarsi un futuro luminoso.
Che motivi avevo per guardare le cose da una prospettiva tanto positiva? Nessun motivo, se giudico con gli occhi di oggi; diversi motivi, se giudico con gli occhi di allora: in fondo all’epoca mi trovavo a vivere con pieno entusiasmo il mio percorso universitario, dal quale sono riuscito a trarre numerose soddisfazioni; mi ero creato un vasto gruppo di amici, che frequentavo sia durante le attività scolastiche che in orario extrascolastico; infine, sentivo allora di stare incamminandomi lungo un sentiero di accresciuta consapevolezza e maturità, il quale mi rendeva meno dipendente dalla famiglia rispetto al passato (non tanto economicamente, quanto piuttosto culturalmente e intellettualmente).
Tutto ciò era quanto di meglio sino ad allora mi fosse capitato, per cui, a ben guardare, avevo dei validi motivi per ritenermi ottimista nei confronti del mio futuro.
Oggi la situazione è completamente cambiata.
Otto anni fa mi sentivo nel pieno delle mie forze e della mia vitalità, oggi sono un uomo finito, privo di sogni, di aspirazioni, di un avvenire. Nonostante la mia età anagrafica corrisponda a "soli" 28 anni, è come se ne avessi 80, come se fossi ormai giunto al capolinea della vita, e non aspettassi altro che un qualcosa ponga termine ad una corsa dissennata durata fin troppo.
La cosa buffa è che nemmeno mi dispiace di essere arrivato a questo punto: la mia disillusione, infatti, è tale che considero l’attuale assenza o rifiuto di qualsiasi illusione come un’importante conquista, come un traguardo, una consapevolezza di cui andare fiero - pur a fronte delle conseguenze mortifere che essa inesorabilmente implica.
Sinceramente, non rimpiango nulla dei miei 20 anni, non desidero affatto tornare alla situazione di allora, poiché la considero ormai come un qualcosa di lontano, di superato, di estraneo, che non mi appartiene più. Qualcosa di profondamente sciocco, ingenuo, immaturo, che per fortuna mi sono lasciato alle spalle. Se la vitalità di quell’epoca si è oggi rivelata essere un’illusione, non avrebbe senso rimpiangerla, desiderare di ritornarvi.
Ma quali sono i motivi che mi spingono, nel contesto odierno, a parlare di me stesso come di un uomo finito, di un derelitto che si trascina stancamente in attesa soltanto della fine? Anche qui, di motivi ce ne sono diversi:
1) in primo luogo, col tempo mi sono reso conto tempo di non saper fare nulla, di non avere un’attitudine particolare cui affidarmi per ritagliarmi un posto decente nella società e nella vita. L’unica cosa che abbia mai saputo fare è stata quella di studiare, ma oggi i tempi sono finiti e tale abilità non è più richiesta, non è più utile (d'altronde, io stesso ne ho sempre abusato servendomene come alibi per sfuggire alle altre esperienze, per occultare le mie carenze nelle altre attività. Ma ora i nodi sono tornati al pettine).
2) in secondo luogo, anche dal punto di vista delle conoscenze, non sono uno specialista in nulla, non c’è nulla che io sappia più e meglio degli altri, non c’è ambito intellettuale in cui possa far valere una mia specifica unicità.
3) in terzo luogo, sono progressivamente crollate tutte le mie certezze, lasciandomi nudo dinnanzi alle mie debolezze, i miei limiti, le mie sconfitte. Quali certezze? Faccio qualche breve esempio:
credevo di essere bravo nello scrivere, nel trasmettere conoscenze o anche solo comunicare emozioni, ma non è così, tant’è vero che oggi non riesco a stendere nemmeno la tesi specialistica (ultimo step che mi è rimasto per concludere gli studi); ma soprattutto, la cosa drammatica è che ormai l’idea stessa dello scrivere è giunta a darmi la nausea, il voltastomaco, impedendo la realizzazione di un qualsiasi progetto letterario.
Altro esempio: mi sono reso conto di non avere le qualità personali e morali che in passato ero convinto di possedere. Non sono intelligente, giacché è evidente che una persona intelligente non può ridursi nello stato in cui attualmente mi ritrovo. Non sono profondo, tant’è vero che non riesco ad infrangere la superficie del mio essere e procedere sino al nucleo, facendo chiarezza sulle origini e le cause dei miei comportamenti e dei miei stati d’animo. Non sono buono, anzi, semmai ho scoperto di essere l’opposto, ho scoperchiato in me un abisso di mostruosità che ha rivelato la mia sostanza deforme, perversa, insana, terribilmente egocentrica e priva di empatia non solo nei confronti degli altri, ma addirittura verso me stesso. Soprattutto, però, mi sono reso conto di non essere umile, e proprio questo è il limite più grave: la superbia infatti è ciò che mi impedisce di ammettere che c’è qualcosa che non va nella mia vita, che devo dare una svolta alla mia esistenza, che devo scendere dal piedistallo su cui mi sono immeritatamente innalzato e cominciare a condividere con gli altri la sorte di "semplice, stupido essere umano". Ma appunto non ce la faccio, sono troppo pieno di boria per considerare la normalità come un traguardo auspicabile. Preferisco sentirmi infelice ma unico, piuttosto che felice ma simile a qualunque altro.
Tali problemi, a dire il vero, per quanto risultino senz’altro gravi e invalidanti, non sarebbero comunque del tutto irreparabili, se io fossi intenzionato a rimettermi in gioco, ad intraprendere una qualche azione correttiva per ripararli. Ma il fatto è che io non ho la forza né la volontà di fare alcunché, non riesco né tantomeno aspiro a rialzarmi da terra e contrastare questi pensieri negativi. Perché dovrei farlo? In nome di chi o che cosa? Forse per un sentimento? Ma se i sentimenti sono ondivaghi ed effimeri, figli delle circostanze contingenti dalle quale nascono e terminate le quali subito periscono. Forse per un ideale? Ma se gli ideali sono il frutto amaro della mente di un animale insano come l’uomo (e dico insano poiché egli è lacerato, scisso nel suo intimo, tra il mondo in cui vorrebbe vivere - quello dei valori, quello dove esistono giustizia, libertà, eguaglianza... - e il mondo in cui suo malgrado gli tocca vivere - quello dei fenomeni, dove non c’è traccia di giustizia, libertà, solidarietà ecc, poiché quest'ultimi sono appunto dei meri concetti creati dalla nostra soggettività, e non delle entità oggettivamente rintracciabili). O forse dovrei rialzarmi, rimettermi in gioco, semplicemente per me stesso, in ossequio all'amor di sé? Mai più! Non *nutro alcuna stima o amore nei miei confronti, mi considero una creatura disgustosa e rivoltante, e in quanto tale trovo persino giusto che io soffra sino all'ultimo, sino a morire strangolato dai miei stessi rantolii.
Come fare, dunque, a trascinarmi avanti nella vita con un fardello tanto pesante? Io vorrei semplicemente non doverlo fare, vorrei non essere mai nato, o per lo meno vorrei morire qui e ora, ma purtroppo sono troppo vigliacco per ricorrere al suicidio. Per cui non posso fare altro che attendere la fine, vivere nell'inutilità di ogni singolo istante senza seguire alcun progetto di vita, pregando affinché la morte non tardi troppo ma al tempo stesso consapevole che nonostante questa mia attesa non riuscirò comunque a morire serenamente, perché la morte serena è la ricompensa per chi ha vissuto, e forse io non l’ho mai fatto sul serio...
A voi è mai capitato di avere pensieri simili? Se sì, come fate ad affrontare il pensiero del futuro, le giornate che ancora si affacciano sul vostro calendario?
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24-06-2013, 17:11
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#2
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Banned
Qui dal: Jan 1970
Messaggi: 1,907
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Ti capisco anche io negli ultimi anni ho perso tante certezze e la normalita non mi attizza molto . Questo mi spinge a cercare la solitudine ma ultimamente non ci vedo niente di speciale nemmeno in essa quindi bisogna per forza inventarsi qualcosa Io credo che per attuare un cambiamento devi fare leva sull amore proprio e sulla voglia di stare bene. Credo anche pero che il tuo concetto sull amor proprio sia sbagliato. Stai suggerendo che solo chi e particolarmente talentuoso o profondo merita di amare se stesso? fai chiarezza su cosa significa amarsi , su cosa significa stare bene e magari cerca anche di dare dei esempi concreti dove si manifesta lamore per se stessi( tipo quando curi il tuo aspetto , il tuo lavoro , il tuo sucesso o altri schemi mentali ) Non so cosa consigliarti per il futuro e non so come si puo recuperare quella sensazione di essere speciali.Pero continua e non smettere di cercare le tue risposte perche chi cerca trova( speriamo sia cosi)
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25-06-2013, 23:00
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#3
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Banned
Qui dal: Jun 2013
Messaggi: 467
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Perdonami, non ho consigli né soluzioni.
Ho cominciato a vedere il mondo in negativo molto prima di te. Sono stato confuso e sopravvalutato fino all'esasperazione, ma poi tutta la verità è venuta a galla. Gli altri sono andati avanti e io sono rimasto fermo. Anzi, ho cominciato a regredire, perché tutti si sono resi conto che nemmeno io, come te, sono mai stato buono, umile, o intelligente.
Anch'io vorrei non essere mai nato, perché mi rendo conto di essere un errore, maldestro ed evidente a tal punto che prenderei per l'orecchio chi mi ha sempre visto come un dio per chiedergli come ha fatto a non accorgersene prima.
Ma ormai è tardi. Non ho più nessun entusiasmo, nessun progetto, nessuna prospettiva. Anzi, una resta, ma la tengo per me, è facilmente intuibile.
In realtà vorrei solo che il mondo si fermasse un attimo per capire cosa accidenti sta succedendo, ma non è possibile.
Giornate che si susseguono tutte uguali senza un senso fanno capire anche a me che pensare al futuro è diventato un lusso che non posso proprio concedermi.
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26-06-2013, 05:54
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#4
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Avanzato
Qui dal: Jun 2013
Messaggi: 374
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Ebbene, mi sono rivista molto nelle tue parole.
Io ero ottantenne a diciott'anni, ormai ne ho trenta.
Come faccio a vivere?
Non lo so.
Forse la curiosità di provare cose nuove mi tiene in piedi, ma ormai la lista delle cose da fare è tutta spuntata e certe cose so bene che non avrò mai la possibilità di farle.
Vediamo che succede, nel frattempo rimando.
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26-06-2013, 10:53
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#5
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Banned
Qui dal: Oct 2012
Ubicazione: Abruzzo
Messaggi: 2,291
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E' inutile stare a parlare e a rimurginare sulle occasioni perse e sulla sfiga che abbiamo avuto se non facciamo qualcosa per uscire da questa situazione il prima possibile.
Piu' avanzano i giorni e piu' sara' difficile tirarsi fuori dalla merda.Agire ora e subito è l'unico modo per ricominciare a vivere un'esistenza dignitosa.
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26-06-2013, 12:43
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#6
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Esperto
Qui dal: Dec 2012
Ubicazione: Roma
Messaggi: 1,700
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Vi sono grato, ragazzi, per la vostra attenzione e le vostre risposte, che mi hanno dato molto su cui riflettere.
Riflettere. Provare a capire, a capirmi. Questa è ormai di fatto l’unica spinta che ancora mi costringe a trascinarmi avanti, l’ultimo residuo vitale che si ostina a muoversi da qualche dentro il mio corpo, dentro la mia mente. L’ultimo appiglio a cui aggrapparmi prima di precipitare del tutto nell’abisso dell’astenia, della disperata non-coscienza, della follia.
Provo a cercare qualche barlume di comprensione nei vostri preziosi interventi.
Quote:
Originariamente inviata da Atomino
Anch'io vorrei non essere mai nato, perché mi rendo conto di essere un errore, maldestro ed evidente a tal punto che prenderei per l'orecchio chi mi ha sempre visto come un dio per chiedergli come ha fatto a non accorgersene prima.
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Quote:
Originariamente inviata da Architeuthis
vivo con un demone invisibile appollaiato sul mio petto che mi opprime e mi ricorda quanto fino ad ora sia stato una sostanziale delusione [...] perchè io mi sono ridotto ad essere uno degli ultimi quando potevo ambire ad essere davanti ad alcuni di loro,o per lo meno al loro livello?
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Cazzarola, quanto mi rispecchio in queste parole!!
Anch’io vivo tale insopportabile situazione in cui convivono, da un lato, la sensazione che avrei potuto essere quella che si dice una persona “esemplare”, “importante”, “di successo” (in grado cioè di esibire una serie di meriti e risultati chiari e riconoscibili, rassicuranti), e dall’altro la constatazione del mio totale fallimento, di una fiducia che si è completamente spezzata, frantumata, sotto il peso di qualche evento in cui ho deluso gli altri e soprattutto me stesso, o meglio ancora l’alta concezione di me stesso che (erroneamente) avevo in precedenza formulato basandomi su una serie di successi parziali da me ottenuti - tra i quali in primis colloco gli ottimi risultati nello studio.
Tale alta concezione di sé ha rappresentato evidentemente il frutto di un madornale equivoco, di un vero e proprio bluff che ha ingannato me stesso prima ancora che gli altri, per cui una volta che l’inganno è stato svelato non ho potuto far altro che rimanere del tutto basito, spiazzato, sconvolto. E ancora oggi stento a riprendermi. Perché non ho concreti motivi per farlo. Perché la delusione, l’amarezza, sono state talmente forti che non ho alcuna voglia di fare qualcosa per aiutarmi, per riprendermi, per “salvarmi”. Anzi, come appunto dicevo nel primo post, ritengo giusto che io affondi e marcisca. E’ la giusta fine per un essere che ha dimostrato di costituire solo una burla.
Quote:
Originariamente inviata da Pulcina
Io ero ottantenne a diciott'anni, ormai ne ho trenta.
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Tu Pulcina convivi con questo tragico fardello da molto tempo prima di me. 12 anni, nel tuo caso, appena 6, nel mio. Mi sorge spontaneo domandarti (sperando di non risultare indiscreto...in tal contrario, non sentirti affatto obbligata a rispondermi) come sei riuscita a trascorrere questo tempo, come hai affrontato le sfide della quotidianità sapendo che non c’è alcuna certezza che di fatto ti sostenga...
Io, vedete, da questo punto di vista non posso certo lamentarmi, e infatti non mi lamento, anzi so di essere molto fortunato, immeritatamente fortunato: ho una schiera di amici che mi cercano e mi fanno sentire partecipe alle loro vite (nonostante io raramente faccia altrettanto); ho una famiglia che nonostante tutti i suoi difetti (sono persuaso che se fossi stato allevato da diversi genitori avrei avuto una personalità assai meno problematica di quella che oggi mi ritrovo) non mi hai fatto mancare il suo appoggio; infine, ho anche qualche qualità personale che pur non essendo decisiva (e per quanto io stesso avverta il bisogno di sminuirla, di occultarla, per timore anche qui di finire di nuovo deluso da me stesso) contribuisce almeno a non farmi sentire del tutto stupido o insulso.
Eppur questo non basta. Non basta perché per quanto io possa avere, l’unica cosa conta è l’essere, e io sento, io so di non essere quello che vorrei essere. Ma cosa vorrei essere,di preciso? Il problema è che non lo so con esattezza, non riesco a capirlo, ho persino paura di provare a capirlo. Perché le risposte che potrei trovare a questa domanda potrebbero essere poco rassicuranti, potrebbero spingermi a fare scelte difficili per le quali non mi sento pronto...Non so dove conduca il sentiero del mio destino; so solo che, al momento, non sto seguendo la strada giusta, e che al tempo stesso non ho le forze per incamminarmi in una direzione più corretta.
Quote:
Originariamente inviata da Era
Io credo che per attuare un cambiamento devi fare leva sull amore proprio e sulla voglia di stare bene. Credo anche pero che il tuo concetto sull amor proprio sia sbagliato. Stai suggerendo che solo chi e particolarmente talentuoso o profondo merita di amare se stesso?
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Ottima domanda, Era, ci voleva proprio.
No, non credo affatto che solo chi sia particolarmente talentuoso o profondo meriti di amarsi ed essere amato, di ricevere cose belle nella vita. Non sono a tal punto privo di empatia. Anzi, al contrario, la mia concezione cosmologica e antropologica saldamente pessimista mi spinge ad affermare l’esatto contrario, a sostenere cioè che chiunque abbia la sfortuna di esistere, per il solo fatto di essere stato suo malgrado concepito e gettato in questo mondo, meriti tutta l’assistenza, la comprensione e la solidarietà possibili.
Il problema semmai è che, nonostante io ritenga questa considerazione valida per tutti, al tempo stesso non riesco ad applicarla nel mio caso personale. Non riesco ad empatizzare con me stesso, non riesco ad essere altrettanto clemente e tollerante che con gli altri. Se infatti accetto che qualcuno commetta degli errori (è normale, “errare humanum est”), al contempo mal digerisco quando a sbagliare sono io...come se a me non fosse concesso fare ciò che gli altri invece fanno.
Perché tutto questo? Le risposte fanno paura: evidentemente, è come se io mi considerassi diverso dagli altri, come se coltivassi un intimo senso di elezione, di unicità, di specialità, a tal punto forte da isolarmi da tutto il resto del mondo e farmi sentire superiore. Come se io mi considerassi una sorta di “divinità”, perché appunto errare si addice agli uomini, non ai divini.
...Può esistere qualcosa di più assurdo e più stolto di questo mio atteggiamento??
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26-06-2013, 12:50
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#7
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Esperto
Qui dal: Dec 2012
Ubicazione: Roma
Messaggi: 1,700
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Quote:
Originariamente inviata da Orto d'Osso
Scrivendo queste cose hai ammesso di possedere proprio quelle qualità che dici di non avere, proprio perchè le hai individuate e scandagliate bene. Intelligenza e profondità ti serviranno a poco se non indirizzate nella direzione giusta (giusta per te intendo) e l'umiltà sarà la virtù che ti guiderà per capire appunto dove andare. Però come hai capito bene, è la virtù più difficile da acquisire, veniamo educati dalla società a sentirci speciali, a credere di avere chissà quali diritti e che possiamo conoscere tutto e fare tutto, magari subito e senza fatica. E' un lavoro che richiede tempo liberarsi da tutte queste incrostazioni. Ma il fatto ch hai individuato perfettamente il problema, ad un'età ancora piuttosto verde, dovrebbe lasciarti ben sperare. Il futuro adesso non lo vedi, ma àrmati di pazienza e di spirito di sopportazione. Continua a leggere, avvicinandoti ai libri con uno spirito diverso, non con la boria di chi sa già tutto ma con l'umiltà di chi deve ancora capire.
E non è vero che ti manca la volontà, la volontà ce l'hai, se no non scriveresti queste cose in modo così preciso e dettagliato. Solo che adesso dentro di te c'è un po' di casino, e resti sopraffatto dal peso. Alimenta pazienza, umiltà, accettazione della fatica e dei dolori e lìberati dalla demonìa dell'agire subito perchè se no è troppo tardi e la giovinezza è passata e cazzi vari. Non è mai troppo tardi per fare nulla, l'importante è vedere le cose nel modo giusto, poi tutto il resto vien da sè col tempo. E non fare confronti con chi va "avanti" alimentando fretta e invidia. Nessuno va avanti, molti sono come il criceto che corre sulla ruota ma sta sempre fermo, mentre altri sembra che stiano fermi ma fanno tanti piccoli passi poco visibili ma decisivi. E poi non è detto che la tua strada debba essere per forza uguale alla loro.
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Mi hai un po' commosso, Orto d'Osso, non posso non confessarlo. "Non è mai troppo tardi":dentro di me credo anch'io nella verità di queste parole, o meglio non è che ci credo quanto piuttosto ci spero...Eh sì, purtroppo ancora alberga un me un residuo di speranza. Sia maledetta lei, quanto la odio! E' per colpa sua che ancora continuo ad agitare quel che rimane del mio essere, anziché lasciarmi affondare placidamente...
Forse, chissà, potrei davvero essere in grado di fare quel che tu dici. Di divenire una persona migliore. Ma io non voglio farlo, non voglio correre il rischio di scoprire in un prossimo futuro, davanti alla spietata prova dei fatti, che quella possibilità in realtà io non ce l'ho mai avuta. Non voglio deludermi di nuovo. Mi è accaduto già una volta, e fa ancora troppo male...
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26-06-2013, 13:38
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#8
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Banned
Qui dal: Jun 2013
Messaggi: 467
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Quote:
Originariamente inviata da Tararabbumbieee
Tale alta concezione di sé ha rappresentato evidentemente il frutto di un madornale equivoco, di un vero e proprio bluff che ha ingannato me stesso prima ancora che gli altri, per cui una volta che l’inganno è stato svelato non ho potuto far altro che rimanere del tutto basito, spiazzato, sconvolto. E ancora oggi stento a riprendermi. Perché non ho concreti motivi per farlo. Perché la delusione, l’amarezza, sono state talmente forti che non ho alcuna voglia di fare qualcosa per aiutarmi, per riprendermi, per “salvarmi”. Anzi, come appunto dicevo nel primo post, ritengo giusto che io affondi e marcisca. E’ la giusta fine per un essere che ha dimostrato di costituire solo una burla.
...
chiunque abbia la sfortuna di esistere, per il solo fatto di essere stato suo malgrado concepito e gettato in questo mondo, meriti tutta l’assistenza, la comprensione e la solidarietà possibili.
Il problema semmai è che, nonostante io ritenga questa considerazione valida per tutti, al tempo stesso non riesco ad applicarla nel mio caso personale.
...Può esistere qualcosa di più assurdo e più stolto di questo mio atteggiamento??
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Non è stolto; perlomeno, io mi ci rivedo al 100%. Non mi stancherò mai di ricordare che nessuno chiede di nascere.
Così come non mi stancherò mai di sostenere che la disillusione che provo deriva in gran parte dallo stordimento che porta l'osservazione diretta ed oggettiva del mondo che mi (e ci) contiene, e non solo da una serie di estemporanee elucubrazioni personali.
Forse ho sempre visto le cose in modo troppo serio, ho sempre dato troppa importanza ai loro lati negativi, ma non passa giorno senza quella maledetta sensazione d'essere preso letteralmente a pugni dalla realtà appena messo il muso fuori casa.
Con buona pace di coloro che, anche su questo forum, non riescono (per loro fortuna, ci mancherebbe) a comprendere questo mio modo di pensare.
Mi sono sempre sentito un po' come il tapino di turno che cerca in tutti i modi di chiarire l'equivoco senza riuscirci, perché qualcosa si frappone ad ogni tentativo. Salvo poi osservare come lo stupore degli altri, quando si scopre tutto in modo naturale, si traduca in sconcerto ed incredulità.
Credo sia anche per questo che se si tratta di incoraggiare qualcun altro, lo faccio volentieri, ma se il problema riguarda me, vedo tutto nero.
Il problema è trovare quell'impulso che sia in grado di rimetterci in moto, la motivazione determinante, quella scintilla che riesca a farci vedere il mondo con occhi differenti.
So che riceverò molte contestazioni per questo, però... a dirsi è facile. Il difficile è farlo... e non è detto che sia davvero possibile. Ma chissà, probabilmente la volontà di vedere "come va a finire" ne è una piccola dimostrazione, anche se per ora non ha portato a nulla.
La disillusione è un sentimento pesante: porta quasi ad autocompiacersi del proprio "status", perché induce a pensare che - in qualche modo - una conclusione positiva, dai propri arrovellamenti mentali, sia stata tratta.
Tuttavia, il concetto di lista delle cose da fare interamente spuntata è un particolare che ho adottato anch'io, e fattivamente. Fogli di carta veri, con un elenco di sogni e diverse tipologie di segni di spunta: uno per "fatto", l'altro per "non fattibile", l'altro per "fatto in parte", e così via. Buffo e triste, ma tant'è.
A trent'anni, dentro, ne dimostro cento, forse più. Vedere oltre è impossibile. Almeno per ora.
Certo è che mi devo muovere, non so ancora bene in che direzione, ma so che devo. E, nella misura e nella dimensione in cui ciò mi viene riconosciuto possibile, questo vale per me ma non solo. Quindi, egregio notaio, forza: non fare ancora testamento (cit.)!
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Ultima modifica di Atomino; 26-06-2013 a 13:41.
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26-06-2013, 15:09
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#9
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Avanzato
Qui dal: Feb 2013
Ubicazione: Nord Italia
Messaggi: 455
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mi ritrovo praticamente in tutto, tranne il discorso del morire.
Recentemente ho detto al mio psicoterapeuta che quello che ho sempre desiderato e che desidero ancora è soltanto una persona che mi prenda in braccio e siamo giunti alla conclusione che, visto che sono in età adulta e che non c'è da sperare che i miei "mi prendano in braccio" adesso, quello che vado inconsciamente cercando (badiamo all'inconsciamente, cioè io manco una cosa così riesco a darmi il diritto di pensare) è una relazione profonda con una persona. Ed in effetti se solo penso alla possibilità di condividere la mia vita con una persona le cose mi sembrano più sopportabili immediatamente, mi sento sollevata, meno catastrofica.
non so forse per molti altri di noi è così.
Cioè alla fine uno da solo che fa? Tu riesci a sostenerti da solo? ad amarti e volerti bene e tutte le cazzate varie? no, ma perché forse è normale che sia così! forse nella vita c'è bisogno di qualcuno che ti voglia bene anche un po' al posto tuo. Da piccoli i genitori ci amano, ci prendono in braccio ecc.. i miei chissà come cavolo li ho percepiti io (sinceramente non mi prendevano in braccio, ma nemmeno mi menavano), ma di fatto boh, mi è mancata la figura che crede in me, che mi ama, mi sostiene e io da sola non sono mai riuscita a fare un cavolo.
Ho fatto un discorso sconclusionato forse perché sto facendo trecento cose contemporaneamente, ma il senso penso si sia capito
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27-06-2013, 13:45
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#10
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Esperto
Qui dal: Dec 2012
Ubicazione: Roma
Messaggi: 1,700
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Quote:
Originariamente inviata da in the deepest
Cioè alla fine uno da solo che fa? Tu riesci a sostenerti da solo? ad amarti e volerti bene e tutte le cazzate varie? no, ma perché forse è normale che sia così! forse nella vita c'è bisogno di qualcuno che ti voglia bene anche un po' al posto tuo
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Cara deepest, a parte il fatto che basta il tuo avatar a renderti degna della mia massima stima (“Il lungo addio” credo sia oggettivamente il Dylan Dog più bello, anche se a livello personale il mio preferito rimane il n. 43, “Storia di nessuno”), sei riuscita a spiegarti benissimo
Mentirei spudoratamente se dicessi di non avvertire anch’io (e molto più spesso di quanto non sia disposto ad ammettere) il tuo stesso bisogno, quello cioè di trovare una persona con cui condividere gioie e dolori nella vita.
Solo che non mi ritengo assolutamente pronto per una simile esperienza, e basta il sol pensiero a gettarmi nell’ansia. Avere una relazione, io?? Santo cielo!! E come? Non saprei da dove cominciare: non ho nulla, non so fare nulla, non vedo cosa avrei da donare alla povera malcapitata, privo come sono non solo di un lavoro e una casa mia, ma anche di sogni e certezze. L’amore si addice a persone vive, non a cadaveri ambulanti come me...
Bastano questi pochi pensieri a farmi rendere conto dell’impossibilità di una mia relazione, per cui non ci sto nemmeno a pensare più di tanto. Anzi, a dire il vero la cosa che più mi fa soffrire non è tanto il fatto che io debba rimanere solo (alla solitudine sono abituato, e francamente non mi dispiace, perché si sposa bene col mio carattere, le mie idee, le mie posizioni), quanto il fatto che non abbia le capacità per vivere in maniera autonoma: essendo stanco e sfiduciato, non riesco purtroppo ad immaginare come io possa ritagliarmi una posizione che mi consenta di avere un reddito, di pagarmi una casa, e di portare avanti le mie passioni (cinema, lettura, studi, magari imparare anche a dipingere) contando solo su me stesso, come invece vorrei tanto poter fare. Questo è ciò che mi risulta più amaro: non il fatto che debba vivere in solitudine, bensì il fatto che non possa vivere in solitudine...
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Originariamente inviata da Atomino
Credo sia anche per questo che se si tratta di incoraggiare qualcun altro, lo faccio volentieri, ma se il problema riguarda me, vedo tutto nero.
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Verissimo cacchio, è la stessa identica cosa che succede anche a me!!
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Originariamente inviata da Atomino
La disillusione è un sentimento pesante: porta quasi ad autocompiacersi del proprio "status", perché induce a pensare che - in qualche modo - una conclusione positiva, dai propri arrovellamenti mentali, sia stata tratta.
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Questa osservazione mi è sembrata molto acuta e intelligente. E’ vero, riconosco che nel mio caso è proprio così. Nel senso, cioè, che considero la mia disillusione non come una cosa bella, ma comunque come il frutto del mio percorso di vita, come una realtà che mi appartiene profondamente perché ad essa sono approdato in seguito ad una serie di esperienze e riflessioni che mi hanno guidato sin qui. Il disincanto, infatti, non rappresenta per me (pur a fronte delle sofferenze che esso inevitabilmente mi infligge, giacché la vita è un "incantesimo”, e perciò riesce a vivere solo chi si mantiene sotto il suo influsso) un semplice incidente di percorso, un ostacolo nel quale sono sbadatamente inciampato e che devo imparare a scavalcare per poi riprendere a correre, ma costituisce al contrario il frutto di una consapevolezza faticosamente acquisita nel corso degli ultimi anni. In altri termini, non vedo questo mio atteggiamento come un ottundimento, come uno sfocatura della mia mente, bensì come un segno di lucidità. Una lucidità terrificante, sì, ne convengo. Ma tant'è...
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Originariamente inviata da Atomino
Quindi, egregio notaio, forza: non fare ancora testamento (cit.)!
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Ahah ti ringrazio per l’incoraggiamento, caro Atomino Non sono sicuro di poterlo cogliere come meriterebbe, ma ti assicuro che lo terrò in considerazione
P.S. Da amante di fumetti di ogni genere, faccio i complimenti anche a te per il nick e l’avatar che hai scelto! Del simpatico alieno disneyano credo di aver letto una sola storia tanti anni fa (non ricordo nemmeno quale fosse, sigh!) ma ricordo che mi fece un'ottima impressione! ^^
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