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Vecchio 24-10-2008, 09:57   #1
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Ciò che anche una cieca può vedere di Silvano Garello, sx

Emarginazione degli handicappati nel 1° e nel 3° mondo



Mariagrazia Straccia, laureata in pedagogia a Bologna, insegna nella scuola Romagnosi per ciechi a Roma. Esca stessa è cieca. Quando si unì ad una comitiva di parenti e di amici dei missionari per andare in Bangladesh, molti si chiedevano che cosa vi sarebbe andata a fare una cieca.

La conversazione che abbiamo avuto con lei, ci mostra come la sua visita non sia stata inutile, perché forse solo una cieca, poteva 'vedere' ciò che noi che abbiamo gli occhi non riusciamo più a vedere.



P. Silvano — Mariagrazia, lei dunque è andata in Bangladesh, e lo ha fatto con estrema naturalezza. L'incontro con i suoi amici missionari e suore del Bangladesh credo abbia costituito un'esperienza che è giovata a lei personalmente ma anche per il suo lavoro di insegnante tra i bambini ciechi ed handicappati. Forse lei, per la sua stessa condizione ha potuto avvicinarsi ai Bengalesi con una sensibilità più fresca, meno arrugginita della nostra, che ci abitua troppo presto a tutto, così che parliamo di miseria e poco dei poveri che incontriamo.



Il valore di chi non produce

Mariagrazia - Non posso certo dimenticare la sensazione che ho provato nel tenere in braccio qualche bambino. Ne ho sentito le ossa così fragili che avevo paura di romperle.. Ma non è di queste emozioni che vorrei parlare. In Bangladesh ho avvertito subito che la gente considera il bianco come un superiore. I secoli di dominazione che hanno sulle spalle non si cancellano in fretta. Nessuna meraviglia che stimino più importante il prete straniero del loro stesso Vescovo che è bengalese. Questo fascino che circonda il bianco non deve illuderci, quasi ci autorizzi ad imporci ad essi. Anzi, credo sia importante accettarli per i valori diversi dai nostri che essi hanno, e non solo quando cercano di imitarci.

Può essere un'impressione sbagliata: mi pare che essi abbiano dei valori che noi abbiamo perso. Per esempio, il fatto di vivere in una città di mendicanti, di disperati e di emarginati, come Khulna, li aiuta a non fare discriminazione tra di loro. A me che non vedevo facevano certo caso, ma senza una curiosità indiscreta ed un falso pietismo. Con semplicità, la gente mi dava la mano, mi offriva i bambini da tenere in braccio. Anche se non dicevo una parola, in mezzo a loro mi sentivo a mio agio. Questo non c'è in Italia, dove il minorato è un emarginato. Mi sembra che i Bengalesi facciano meno fatica di noi ad accettare un minorato. In Italia abbiano ormai la mentalità dell'efficientismo: uno vale per quello che riesce a produrre. Là, forse perché sono pochi quelli che rendono, non hanno la nostra furia. C'è indubbiamente anche il rovescio della medaglia, per cui bisogna insegnare loro a lavorare per mantenersi. Ma guai a noi se gli portiamo via questo valore di accettazione del minorato, facendogli credere che vale di più chi guadagna di più.



P. Silvano - A me faceva impressione, andando nei villaggi, vedere come la gente accettasse con normalità il vecchio e il malato. Una volta ne ho visto uno sdraiato nella veranda di una capanna: era tutto piagato ed emanava un fetore insopportabile. Da due anni se lo tenevano lì. Noi forse avremmo pensato all'eutanasia.

Mariagrazia - Qui da noi la persona vecchia è emarginata al massimo, da fastidio. Là è più accettata, forse perché non hanno la nostra mentalità efficientistica. L'emarginazione è un grosso problema umano. In Italia ci stiamo battendo per inserire i ciechi, i sordomuti, gli spastici nelle scuole normali. La società deve abituarsi al fatto di essere composta anche di zoppi, di ciechi, di sordi e di vecchi. Così, se la scuola è per tutti, in essa ci deve essere posto anche per quello che cammina male. Ci sarà il problema di mettere un ascensore, di adeguare le strutture. Ma non si può tollerare una società che ha deciso che il normale è colui che è perfetto.



P. Silvano - Ora non si parla più del mito della razza, ma c'è ancora quello dell'atleta e del divo. In un modo più elegante, la società tiene in piedi i metodi di Sparta, dove venivano eliminati i pesi inutili.

Mariagrazia - Non si arriva a tanto. Ma si usa un modo più sottile, come quello di fare dei ghetti, di costruirgli gabbie d'oro dove non manca niente da mangiare, con tanto di giardino. E la società in questo si scarica la coscienza. Il minorato viene messo in un bell'istituto, la provincia da una congrua retta annua.. però che non disturbi. La verità è che il minorato tra i piedi da fastidio.



P. Silvano - Ricordo a Parma, alcuni anni fa, delle persone avevano inoltrato una protesta al Comune perché non volevano veder passeggiare sul lungo Parma gli spastici. Era uno spettacolo troppo pietoso. Diciamo: era uno spettacolo che faceva riflettere.

Mariagrazia - Sul giornale ho letto che il Preside di una scuola ha rifiutato in classe uno spastico perché poteva "contagiare" gli altri. Arriviamo a questo tipo di ignoranza.

Ma torniamo al discorso sul Bangaldesh. P. Masolo mi diceva: "Qui la strada è di tutti nel senso più vero della parola. Se c'è lì uno sdraiato e prendere il sole, e passa una macchina, l'autista aspetta che si alzi." Non c'è dunque il problema del più forte. Questo atteggiamento ci appare strano, ma credo sia il riflesso di un diverso senso comunitario, piuttosto che del nostro individualismo.



Come i poveri del Vangelo

P. Silvano -Lei non conosceva, la lingua bengalese. Ma nel sentire la gente parlare o cantare, che impressione ha avuto del loro carattere?

Mariagrazia - Mi sono sembrati un po' infantili. Ricordo che ridevano in continuazione per un nulla. Capisco che per loro il vedere un bianco sia già uno spettacolo. Per questo la gente ci seguiva ovunque, senza mai darci tregua. Lì ho capito certe pagine del Vangelo dove si parla di queste folle immense che seguivano Gesù per giorni e giorni.



P. Silvano - Credo sia tipico dell'Oriente il gusto della parola, sia del parlare che dell'ascoltare.

Mariagrazia - Questo è vero, ma le folle del Vangelo non solo volevano ascoltare Gesù, ma erano in attesa dei miracoli. Lì le strade sono piene di quel tipo di gente che ha bisogno di miracoli: storpi, zoppi, lebbrosi, persone con dei tumori o delle gobbe enormi. Per noi occidentali è difficile avere un quadro realistico di quanto avveniva alle, piscina di Siloe. Quelle scene ci sembrano fuori del tempo, come l'immagine del Buon Pastore.

Un'altra cosa che ho notato, e qui più a livello estetico, è il gusto che essi hanno del cantare e del ballare. Non per esibizionismo, ma proprio per sé stessi. Un giorno sono andata in casa di una cugina di una suora bengalese. Siccome aveva una pianola, le abbiamo chiesto che ci suonasse qualcosa. Per un po' siamo rimasti ad ascoltare con interesse una musica per noi tanto diversa. Naturalmente, dopo qualche minuto, ci siamo messi a commentare e a conversare. La suonatrice però ha continuato a suonare e a canterellare, anche se non l'ascoltava più nessuno, così per il gusto d esprimersi.



P. Silvano - Specialmente la sera, capita di sentire i giovani che suonano le loro serenate con il piffero, mentre lungo i fiumi il canto dei pescatori ritma la loro fatica.

Mariagrazia - A me è capitato di soffrire per tre notti a causa di una festa musulmana. Gli altoparlanti facevano sentire musica e canti, dandoti l'impressione di trovarti in mezzo alla folla. Non è che i jubox di certi nostri bar possano temere la concorrenza per il fracasso.

Ho l'impressione che questi Bengalesi, nonostante muoiano di fame, vivano più di noi. La nostra vita è talmente presa dal vortice degli appuntamenti, dalla furia di guadagnare di più, che non riusciamo più a godere di niente. Essi vivono più intensamente, anche se meno a lungo, per questo dico che certi valori bisogna cercare di non farglieli perdere. Laggiù, in qualche modo, tutto è più a misura d'uomo. Andando a prendere il battello, mi dicevano che bisognava aspettare finché era pieno. Per noi questo è un discorso che non regge perché il nostro sistema è tutto basato sulla produzione. Ad essi manca il senso del tempo. Direi che vivono in un certo fatalismo, nella rassegnazione



Che cosa porta di nuovo il Cristianesimo ?

P. Silvano - La verità è che non se la sentono di agitarsi tanto. Nella loro storia e nella loro vita ne hanno viste tante, e sanno che nella natura tutto ritorna. Parlando con i Padri, le è sembrato di capire che il cristianesimo porta loro qualche cosa anche dal punto di vista umano? O per loro, cambiando religione, la vita non cambia per nulla?

Mariagrazia - Eravamo arrivati nel villaggio di Shimulia. La Suora che ci accolse ci disse: "Peccato che siete arrivati tardi. Potevate vedere la celebrazione di un matrimonio" E, nel seguito della conversazione, uscì in questa espressione: "Questi due ragazzi che si sono sposati, in fondo, non si conoscevano" Allora, io dissi tra me: "In questo senso il cristianesimo non porta nessun cambiamento" Capisco che sia difficile rispettare la loro mentalità.



P. Silvano - Io penso che non dobbiamo portare delle trasformazioni puramente esterne. Il missionario che vive in un paese con questa speranza si accorge presto che la gente va per la sua strada e non capisce né ciò che dice né ciò che vuole da loro. Le trasformazioni esterne le faranno loro stessi.

Mariagrazia - Credo si debba solo testimoniare che cosa vuol dire amarsi, più che portare delle cose. Non dubito che sia facile passare per buoni colonizzatori per il fatto che abbiamo cambiato certe loro abitudini di vita. Sono convinta che una comunità che mostri come ci si possa amare senza interessi sia rispettosa delle loro tradizioni e possa anche insegnare come uscire dalla loro miseria. L'istruzione è certamente più importante della scodella di riso. Se questa viene fatta nel rispetto della loro mentalità, essi potranno capire la loro storia e scrollarsi di dosso tante cose. L'ignoranza è la peggiore miseria. In questo sono molto d'accordo con don Milani. Chi è istruito ha la parola. chi non lo è, può avere l'intelligenza, ma non la sa usare. Basta vedere che chi ha voluto colonizzare sfruttando ha sempre cercato di tenere la gente nell'ignoranza. È difficile istruire la gente, e non portare anche i nostri valori. Così, tornando al problema del fidanzamento, comincio a dubitare di capire la loro mentalità.



P. Silvano - Infatti la vera battaglia del matrimonio non è questa. Per loro l'amore nasce nel matrimonio, mentre tante volte per noi nel matrimonio muore. Il regista Bergman dice che il letto matrimoniale è la tomba dell'amore. Invece per loro è la culla.

Mariagrazia - Ma ci sono delle vere famiglie dove questo amore sia nato? O tutta la vita familiare poggia sulla soggezione della moglie che deve comportarsi in un certo modo?



P. Silvano - Io direi che questo è il loro modo per far nascere l'amore. Ci possono certo essere delle incompatibilità di carattere, ma normalmente dicono: "Mio papà ha scelto bene per me." Questo atteggiamento, con l'istruzione, si va evolvendo. Il ragazzo comincia a scegliere la sua ragazza.



Il mio e il tuo

Mariagrazia - Speriamo che la loro istruzione non diventi una copia dell'occidente.

Mi sono accorta che anche laggiù gli studenti hanno una certa aggressività. Un giorno ci siamo visti sbarrare la strada da un gruppo di studenti con dei bastoni in mano. Volevano soldi, probabilmente per una loro festa. Dopo un po' di discussione noi abbiamo accelerato la macchina e loro hanno cominciato a dare delle bastonate. Senza voler approvare le loro bastonate credo che quegli studenti abbiano visto nel nostro gesto la violenza del tipo: "Io ho la macchina e non puoi farmi niente". Ci presentiamo come coloro che fanno beneficenza ma nel contempo restiamo su di un piedistallo che li irrita. Forse dovremmo invece pensare che con loro abbiamo ancora un debito da pagare.

Io insegno in una classe di bambini non-vedenti e sub-normali. Tra essi c'è un ragazzo di 13 anni, molto ritardato, ma capace di porre delle domande imbarazzanti. Un giorno egli continuava a chiedermi delle caramelle ed altre cose. Gliene ho date, come si fa di solito, ma poi gli ho detto: "Devi sapere che non si deve chiedere sempre, perché non va bene". "E perché non va bene?" mi rispose. Ed io "Perché non puoi chiedere sempre ad un altro, o a me, una roba sua o mia". E lui.."È tua perché hai i soldi per comprarla, e te la sei comprata. E, se la voglio anch'io, i soldi non li ho". Io non ho risposto niente, perché era la verità e, onestamente, non avevo una risposta.



P. Silvano - Incontrando i Padri e le suore, quale impressione ha avuto della loro vita e del loro lavoro?

Mariagrazia - Ho trovato molta gente contenta. Mi sono trovata bene in mezzo a loro, sia a Khulna presso le Suore Luigine che a Boyra presso la Scuola tecnica. Mi hanno accolto con semplicità, senza dimostrarsi ossessivi e curiosi per la mia situazione.

Per amore di verità, a me ha fatto impressione il palazzo delle Suore di Khulna ed anche il palazzo di Boyra. La gente prenderà quelle cose come normali per i bianchi. Quando ho mostrato delle foto ad alcuni amici italiani, mi è stato detto: "Ah, ma c'è anche gente che sta bene!"



Una difficile povertà

P. Silvano - Le impressioni hanno sempre un fondo di verità. Le nostre case al centro sono più confortevoli perché servono per i nostri periodici raduni e per le così dette vacanze. Per riposare ci vuole un ambiente diverso da Boniarchok con le sue paludi o da Shelabunia ai margini della foresta del Sunderbon

Mariagrazia - Ma allora le altre case non sono così…



P. Silvano - No, sono molto più modeste, anche se tutte in muratura.

C'è stato qualcuno di noi che è vissuto per alcuni anni in una capanna, ma lo potresti riconoscere a distanza, tanto è ingobbito dai reumatismi. C'è poi da dire che il vostro gruppo è andato in Bangladesh in inverno, e cioè nel tempo respirabile. Tra maggio e settembre, sono pochi i turisti, anche tra quelli che vogliono bene alle missioni, che ci vanno. Certo che per la gente, con i mezzi con cui ci presentiamo, è difficile fare un discorso d povertà. Questo è il nostro cruccio. Bisogna trovare una giusta misura. Si potrebbe fare gli eroi e lasciarci la pelle dopo due ami, come succedeva negli anni trenta. La prospettiva di morire presto o di tornare indietro dopo poco tempo per una malattia è veramente evangelica? Noi Saveriani abbiamo più di 25 missionari che hanno dovuto accontentarsi di "assaggiare" la missione del Bangladesh. Possiamo combattere continuamente contro il clima, mangiare a tutti i costi come loro? Ma è proprio questo ciò che le gente vuole da noi?

Ma mi permetta ora di venire ad una domanda personale: in Bangladesh ha sofferto di più la sua condizione di essere cieca?

Mariagrazia - A dire il vero io sono abituata a viaggiare. Quando andavo all'Università di Bologna non avevo accompagnatori. Chi non ha una minorazione talvolta ingrandisce a dismisura le difficoltà. I miei genitori sono contadini di tanto buon senso, e per così dire ora si aspettano di tutto da me perché ho raggiunto una relativa sicurezza.

So che per i bambini dei ricchi la situazione è più difficile: li riempiono di cure, non li fanno muovere. Certe cose, se non si imparano a tempo giusto, non le imparano più. E questo influisce sull'intelligenza. Le famiglie-bene hanno la bambinaia, si vergognano di andare in società con il loro figlio minorato, e così il ragazzo non fa delle esperienze indispensabili. Ricordo che quando nella stalla nasceva un vitellino mio babbo mi ci portava perché dovevo essere io la prima a toccarlo. Queste sono esperienze fondamentali per uno che non vede.



P. Silvano - Suo padre non aveva studiato pedagogia.

Mariagrazia - Ma trovo che il buon senso non va con lo studio. Nella mia scuola, talvolta, di certe situazioni ne capisce più il bidello che l'insegnante. Chi è più su, talvolta è più giù.

Le famiglie benestanti portano a volte dei bambini che sono uno squallore, senza parlare della sfiducia che hanno addosso. Sono angosciati dal peso di questo figlio che non sanno che cosa farà nella vita Non lo portano alle feste per paura che gli chiedano: Come mai questo bambino non ci vede? E lo bloccano.

Arrivano dei bambini ai quali non hanno mai fatto mangiare cibi solidi. Hanno sei anni ed hanno sempre mangiato omogeneizzati. Questa è l'istruzione del benessere.

C'è da dire una cosa: le famiglie sono così, ma le strutture sociali sono tali che nessuno aiuta una famiglia quando nasce un bambino in queste condizioni. Nessuna famiglia è preparata e vedersi nascere un bambino spastico, cieco, focomelico. Ci dovrebbero essere negli Enti locali coloro che consigliano i genitori perché tra loro c'è chi ha il buon senso e chi non ce l'ha. Bisognerebbe specializzare tanta gente per aiutare le famiglie a non spaventarsi, e non lasciarsi abbattere dal trauma.



P. Silvano - Andando in Bangladesh, lei forse ha ricevuto qualcosa che altri non hanno avvertito. Ci sono delle cose che si vedono con gli occhi, ed altre che si avvertono col sentimento.

Mariagrazia - L'occhio ha un'importanza fondamentale, specialmente per chi, dopo aver visto, sa riflettere.



P. Silvano - Noi spesso giudichiamo le persone dalla faccia. Ma non c'è un modo diverso di incontrarsi?



La scomodità di essere ciechi

Mariagrazia - La vista è un senso importante. Non posso dire di averne superato il peso della mancanza, non sarei umana, né sincera. Qualcuno mi dice: tu l'hai superata. No, sono cose che si ripropongono tutti i giorni, e non tanto perché non si possono vedere i colori. È la completa autonomia personale che manca. A Roma, ogni volta che devo muovermi, ho bisogno di un'altra persona. E questo mi scoccia molto. Ogni giorno mi viene chiesto un superamento. È un ricominciare, come avviene per la vita cristiana. Non si può dire: ormai. Ogni giorno ci si ripropone tutto, fin anche a 90 anni. È scomodo essere cristiani, come è scomodo essere ciechi.



P. Silvano - Io penso che lei è stata messa nelle condizioni di dare qualcosa, sia a quelli del suo gruppo che ai Bengalesi.

Mariagrazia - Ho fatto molte amicizie. Il modo migliore per far scomparire tanti pregiudizi è quello di testimoniare. Anche se sei minorato, puoi fare vedere che sei una persona, che la minorazione fisica non ti toglie nulla come persona.

Per i minorati ci sono due sponde opposte. O ti buttano giù: il minorato non vale niente o ti esaltano: quello lì è cieco, però è intelligentissimo. Non è giusto neanche questo. tu sei cieco, ma hai tutti i difetti, tutte le paure, tutti i pregi che può avere un'altra persona. Chiaramente tu puoi avere maturato certe cose che altri non hanno maturato. Ma c'è anche chi non le matura. C'è anche chi si uccide. Qualcuno dice:"Tu hai raggiunto una certa tranquillità" Sì, ma il giorno dopo non l'ho raggiunta; mi viene una crisi. Ho dei colleghi che si sono ammazzati, altri che tutti i giorni stanno nel pessimismo più nero, altri si trascinano vivendo scioccamente, alcuni si drogano. Siamo come tutti gli altri, con gli stessi limiti, paure e difetti. Poi ognuno si realizza come può, nonostante questa minorazione che, come ripeto, non è indifferente. È grossa. Penso che nella società occidentale, nella civiltà moderna la vista sia il senso preminente: tutto è fatto in funzione delle vista. Mi sono accorta che la gente rimane molto più bloccata davanti ad uno che non vede che davanti ad un minorato psichico. Nelle scuole, accettano meglio un caratteriale scatenato che un cieco. La vista è quasi tutto: sembra una condanna all'isolamento. Invece devi pensare che hai gli altri quattro sensi con i quali puoi comunicare. Mi ricordo che un giorno ho fatto una lunga conversazione in treno con un giovane. Quando mi ha chiesto:"Ma dove lavora?" In un istituto di ciechi, e tra l'altro, io stessa sono cieca". Dopo questa risposta, il mio compagno di viaggio perse la parola. Ecco: il diverso se non lo accetti, ti fa paura, ti blocca.



P. Silvano - Anche noi, quando adiamo in paesi stranieri siamo come dei ciechi: vediamo solo le cose che vogliamo vedere. C'è un modo di accettare gli altri così come sono, tanto che troviamo una fonte di simpatia anche nei loro difetti. Ma facilmente si cade nel pericolo di imporre il nostro criterio del bello e del buono...



Le cose importanti che non possiamo fare

Mariagrazia - C'è chi sa stare con amore in mezzo alla gente. altri, quando vedono la gente, fanno "Sciò..", come si fa con le galline.

Qui divento cattiva..Non devo stare tra la gente che non amo. Non sarà che qualcuno va laggiù perché in Italia sarebbe stato uno scalzacane? Io non riesco a capire quelli che mi dicono:" Se tornassi in Italia, non riuscirei più a vivere." Posso capire che hanno paura di trovare un paese diverso da quello che hanno lasciato vent'anni fa. Ma se uno mi dice che solo lì riesce a vivere il suo cristianesimo, allora penso che non sia autentico.

Quando scrivo a Falcone, gli dico: "Lì c'è una giungla, e qui ce n'è un'altra. Ed è molto più difficile vivere in questa, anche perché non ci si sente così essenziali."

Chiediamoci francamente: quanti sono i fortunati che possono scegliersi un lavoro?? Una Piccola Sorella di Gesù mi diceva: "Mi pare importante il lavoro manuale. La sera si capisce di più quanto sia difficile pregare per la gente che non ha il tempo fissato per le pratiche di pietà e non può leggere tanta Bibbia."

Un missionario che torna in Italia forse non sente più di fare delle cose importanti. Un operaio che mette tutto giorno delle rotelline, si sente importante? C'è chi ha una minorazione: vorrebbe fare tante cose che non può fare. Così io so che devo rinunciare a tante cose. Altri possono andare a lavorare in Africa o tra i baraccati: sono scelte che danno soddisfazione. Io questo lusso non me lo posso permettere.

Quando riesco ad essere me stessa, parlando da un punto di vista cristiano, lo prendo come un discorso di povertà vera. Provo l'impotenza. Certe cose non le posso fare. Il povero è così.



P. Silvano - Le faccio un'ultima domanda. Lei ha incontrato missionari che vivono in mezzo alla gente, ma le è sembrato che essi abbiano degli amici tra loro?

Mariagrazia - Nessuno mi ha detto: "Ho un vero amico". Per avere degli amici, bisogna sentirsi alla pari, non basta la gentilezza o la beneficenza per creare l'amicizia. Forse c'è un abisso di mentalità.

P. Silvano - Forse ci manca il coraggio di fare il salto completo, come ha fatto Gesù che sapeva bene ciò che c'era nel cuore dell'uomo e, nonostante questo, ha chiamato anche Giuda: "Amico*. L'amicizia vera può nascere solo da un miracolo della grazia.
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