Ho bisogno di scambiare pareri circa l'inserimento lavorativo di coloro che sono evitanti. Più nel dettaglio quali misure e contromisure adottare laddove l'interazione sociale col cliente e il dialogo tra colleghi deve essere di un certo livello.
Sono un cosiddetto ragazzo neet evitante, che ora più che mai sente l'esigenza urgente di collocarsi in un contesto lavorativo, dopo avere rimandato per anni questo fatidico momento. Le ragioni per aver rimandato così a lungo sono molteplici, non tutte elencabili. Le prime sono di tipo caratteriale, ovvero quell'indole da cane sciolto che al solo pensiero di ritrovarsi incastrato all'interno di una struttura sociale-gerarchica, avverte soffocamento psicofisico.
A cui si aggiunge il tratto evitante (notare che non ho scritto disturbo). Infatti chiamarlo disturbo mi sembra immeritato, eccessivo, lapidario. Mi sembra che la società finlandese funzioni bene, dopotutto. La noia e il disinteresse vanno per la maggiore quando mi trovo in situazioni di socialità, cosicché le parole e i discorsi si trascinano a forza, e la sensazione prevalente è che tutto stia avvenendo così meccanicamente da indurti alla scappatoia. La conversazione scorre fluidamente solo in rare occasioni se paragonate alle altre, per cui la mancanza di istinto che mi invoglia a intavolare una conversazione o una conoscenza è perlopiù dovuta a queste situazioni. Non che l'evitamento sia innescato da sentimenti di misantropia o timore... Ma piuttosto da terribile noia. Dal vuoto. Dall'istante consapevolezza di essere su una dimensione così opposta da rendere tutto solo un goffo tentativo di allineamento tra due entità incompatibili.
Che altro dire. Idk è la sintesi della mia vita in 3 lettere: I don't know. Non sapere cosa volere, cosa desiderare, per cosa alzarsi; non sapere vivere, in sintesi.