... che a dispetto di ciò che pensano molti è un nome maschile
Ovviamente non è il mio nome di battesimo, che per il momento, se non vi dispiace, preferisco non rivelare
Sono di Palermo, ho 34 anni, ex-studente fuori corso, disoccupato e, come ho avuto modo di scoprire spulciando sul forum, un vissuto che risulterà familiare a molti di voi, se non a tutti. Provo a riassumere brevemente.
Sono sempre stato un tipo molto sensibile, specie nei rapporti con le altre persone; introverso; "timido", mi definivano da bambino; "riservato", durante l'adolescenza; ora so è qualcosa di più complesso che non una semplice timidezza o riservatezza. Da bambino soffrivo di balbuzie che per fortuna, crescendo, si è in larga parte ridimensionata o scomparsa del tutto, tranne riaffiorare nei casi di forte ansia o nervosismo. Come molte persone inclini ad isolarsi, ho sviluppato il mio mondo interiore molto più di quello esteriore, coltivando interessi in molti campi, dedicandomi alla lettura, alla riflessione e sporadicamente al "vizio" (segreto) della scrittura, tutte attività che se da un lato hanno aumentato o affinato le mie qualità interiori, l'intelligenza, la cultura, dall'altro hanno aumentato la mia sensazione di una distanza sempre più grande dal mondo esterno, fatto di persone semplici, pratiche, dedite a problemi più concreti e "terreni".
Evidentemente questo è l'ambiente in cui si è instaurato un circolo vizioso in cui i bambini del vicolo che vedevano il mio disinteresse per il calcio, mi prendevano in giro per la mia balbuzie o per la mia incapacità di parlare in dialetto, tendevano a emarginarmi ed io, d'altro canto, percependo ancora una volta questa distanza, rafforzavo la mia diversità dedicandomi ai miei interessi, così strani per un bambino. Tanto per aggravare la situazione, i miei genitori, nella loro profonda inesperienza commisero ciò che adesso ritengo essere degli errori, dovuti alla loro giovane età (alla mia nascita mia mamma aveva 23 anni) e al naturale amore per il primogenito. Sono sempre stati molto, eccessivamente protettivi con me, togliendomi sempre dai miei piccoli "guai"; mi hanno educato troppo tardi a non avere paura del buio e a dormire da solo in camera mia (credo che avessi 10 anni all'epoca); hanno assecondato la mia tendenza all'isolamento e a coltivare interessi esclusivamente intellettuali: a 9 anni cominciai a prendere lezioni di pianoforte, continuando per altri 5-6 anni; mio papà mi diede qualche lezione basilare di scacchi; genitori e parenti mi regalavano spesso dei libri (mai regalare Schopenhauer a un adolescente malinconico!). L'unico tentativo di espormi a un ambiente di socialità avvenne quando mi iscrissero al gruppo di scout della parrocchia, ma evidentemente la mia tendenza fobica si stava già sclerotizzando e forse avrei avuto bisogno di essere accolto in un ambiente più "morbido" e mirato al mio problema. Di tutto ciò, però, non gliene faccio una colpa. Non li accuso neanche di avermi pesantemente indirizzato verso gli studi scientifici, trascurando i miei interessi umanistici, ma in effetti era difficile scegliere anche per me. Li accuso invece del fatto che non riescano a perdonarmi di aver lasciato l'Università senza ottenere una laurea qualunque.
Già perché è così che sono andate le cose: le mie qualità intellettuali, alla fine, non si sono rivelate granché d'aiuto nella mia lunga e contorta carriera universitaria, dove ho scoperto che le abilità sociali sono
molto più importanti, anzi
fondamentali. Alla fine, a 33 anni suonati, con una manciata di pesanti esami da sostenere prima della laurea con professori tra i più difficili e odiosi e poche o nessuna speranza di accedere più facilmente al mondo del lavoro rispetto a un non-laureato, ho deciso di chiudere il capitolo "studio", per cercare direttamente un'occupazione: il guaio è che non so da dove iniziare
Riprendendo il filo del discorso: nell'adolescenza la situazione peggiora. Al liceo un vecchio, rude, professore mi prende di mira, criticando pesantemente, senza il minimo tatto, tutti i miei compiti. Comincio a studiare sempre meno, per dedicarmi ad attività collaterali (a quell'epoca il personal computer cominciava a prendere sempre più piede). Un'altra professoressa, invidiosa delle mie capacità informatiche (enormemente superiori alle sue), non perde occasioni per screditare i miei lavori. Insomma, comincio ad allontanarmi dalla scuola e a chiudermi in me stesso. Perdo un anno. Riprendo a studiare l'anno dopo, riesco addirittura a farmi due amici, ciononostante il rapporto con loro non è semplice. Uno dei due è timido, introverso, proprio come me e la cosa mi fa sentire a mio agio; ma entrambi provengono da famiglie fortemente atee e io, che all'epoca ero, per contro, fortemente cattolico, mi ritrovo a dover fronteggiare l'attacco filosofico congiunto dei miei due amici, che vogliono a tutti i costi tirarmi dalla loro parte dimostrandomi "scientificamente" l'inesistenza di Dio. Inutile dire che il rapporto si raffredda e, seppur non si rompe del tutto, si trascina stancamente fino alle primissime esperienze all'Università.
Conservo ancora, negli anni di cui parlo, un minimo di vita sociale: partecipo a qualche uscita in comitiva e prendo parte anche alla fatidica gita scolastica, di cui ho un ricordo piacevole e doloroso al tempo stesso. La libertà dai legami familiari era qualcosa di nuovo, da esplorare, ma anche angosciante. Tra i compagni di scuola non c'era nessuno con cui mi sentissi veramente in intimità, qualcuno con cui, in qualche modo, potessi intrecciare una specie di surrogato del legame familiare. Cominciavano oltretutto i primi fidanzamenti... per gli altri; per me, incapace di coltivare anche una semplice amicizia, rappresentò il momento di un distacco profondo dagli "altri", dai loro valori, dai loro stili di vita. Però, immaginavo che anche per me, prima o poi, sarebbe arrivato l'occasione giusta, in fondo non avevo niente meno degli "altri", anzi! L'unica cosa che mi differenziava da loro era la mia timidezza. Cominciai, senza rendermene conto, a creare dentro di me un'immagine idealizzata delle donne, nutrendomi delle parole dei poeti, fantasticando di una relazione così bella, così unica con una ragazza, che mi avrebbe riscattato da tutti i miei problemi. E mentre passavano gli anni del liceo, questa fantasia cresceva in me: se solo avessi avuto occhi più aperti alle persone che avevo intorno, forse avrei potuto stringere una relazione meno perfetta, ma più soddisfacente perché reale. Ma non ero abbastanza saggio. Aprii gli occhi soltanto all'Università, dopo una delusione amorosa in cui mi lanciai di getto, a occhi chiusi, senza paracadute, senza rete nè elastico. La odiai per qualche tempo, a causa di quel rifiuto. Adesso la ringrazio perché è servito a ridimensionare le mie aspettative. Le donne sono esseri umani, come me, non angeli.
Nonostante le mie difficoltà relazionali e qualche periodo
buio dal quale sono riuscito a riemergere, fortunatamente, senza aiuti esterni (se escludiamo quelli soprannaturali...) in questo periodo sono irragionevolmente sereno e ottimista: qualsiasi siano i motivi, spero comunque di conservare questo stato d'animo il più a lungo possibile, non solo a beneficio mio, ma anche, se mi riesce, per infondere un po' di pensiero positivo alla community che, secondo me, cede un po' troppo facilmente a pensieri che non sono affatto d'aiuto, anzi...
Ho conosciuto il forum quasi per caso. Mi sono trovato pochi giorni fa a dover fare una telefonata importante, non vi dico l'ansia che ciò mi procura... parlo al presente perché il telefono è ancora lì che mi guarda minaccioso, tipo monolite di "2001 Odissea nello Spazio" Insomma, m'è venuto in mente di cercare sul web se anche altre persone vivono lo stesso insolito, stupidissimo problema e girando e leggendo qua e là ho scoperto la "fobia sociale", di cui non ero minimamente a conoscenza: così ho avuto modo di mettere in ordine alcuni elementi della mia vita e del mio carattere, di metterli in relazione, insomma di scoprire che tutti i miei piccoli/grandi disagi quotidiani hanno un unico nome, che possono avere una soluzione e che non sono solo a vivere simili situazioni. Da qui a scoprire il forum il passo è stato immediato. Ho considerato per un paio di giorni la possibilità di registrarmi per intervenire attivamente anziché limitarmi a leggere i guai altrui; ed ero quasi convinto a rinunciare, leggendo storie di alcuni utenti che, evidentemente, soffrono molto più di me, per non correre il rischio di apparire arrogante o anche solo irritante o fuori posto, insomma, cominciavo quasi a dubitare che la fobia sociale fosse il mio problema. Senonché stamattina ero decisissimo a fare quella dannatissima telefonata, carico, fiducioso, spigliato... ma... al momento di farla realmente, con il dito pendulo sul tasto "chiamata" a mo' di spada di Damocle... sbam!, una botta violenta di ansia, respiro affannoso, attacco di gastrite e altro che non vi sto a dire
Fatto sta che essendo ancora determinatissimo a prendere a picconate il muro che mi sono costruito intorno negli anni, a costo di starci male (ma su questo punto non cederò facilmente, non darò questa soddisfazione alla fobia!), ho deciso finalmente di registrarmi, come parte dei compiti quotidiani che mi sono proposto di svolgere e che ho già iniziato ad eseguire.
Il riassunto è diventato un mostro di prolissità, scusate. Se devo aggiungere altro (!) dite pure.
Spero che attiviate presto il mio account, non vedo l'ora di confrontarmi con gli altri utenti e magari anche di stringere amicizia con ragazzi/e della mia zona, per fare quattro chiacchiere nella vita reale. Ma per questo non c'è fretta