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23-09-2012, 21:59
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#41
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Esperto
Qui dal: Oct 2011
Messaggi: 510
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Perchè però dovrebbe cercare di negarlo?
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23-09-2012, 22:05
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#42
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Esperto
Qui dal: Aug 2012
Ubicazione: Napoli
Messaggi: 1,298
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Quote:
Originariamente inviata da Angus
Sì, esatto. Chi ha un carattere riflessivo e introspettivo può cercare di negarlo, riuscendoci però in maniera limitata e temporanea. Un po' come possiamo imporci di non respirare, ma solo per un po'. La necessità di entrambe le attività è iscritta nel nostro corredo genetico.
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Ora mi è più chiaro, avendo tu anche aggiunto ulteriore analisi alla precedente. Non sono sicuro che vi sia una correlazione genetica riguardo il carattere, e per citare Wittgenstein, di ciò che ignoro preferisco non parlare. Però è mia esperienza, banalmente, che determinati elementi, come ad esempio un'attività fisica defatigante o una somministrazione farmacologica, possono fermare il flusso di pensiero. Quindi, e questo mi premeva, non è propriamente corretto affermare che non abbiamo un controllo di volontà sulla nostra occorrenza riflessiva, perché possiamo decidere di porre in essere determinate condizioni che ne bloccano il processo. E se magari è vero che così non cambiamo carattere, ne annulliamo gli effetti, che sono in fondo quelli che ci interessano. Un ebete, farmacologicamente indotto, non soffre i tormenti interiori.
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23-09-2012, 22:57
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#43
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Esperto
Qui dal: Jul 2012
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Originariamente inviata da akirafudo
Secondo me non deriva da una riflessione eccessiva, ma distorta. e "dall'avere un rapporto compulsivo e insano con il proprio pensiero" (cit D.F.Wallace) Lo stesso pensiero che la depressione derivi da un'eccessiva riflessione secondo me parte dall'assunto che la vita fa effettivamente schifo per cui pensare ti mette davanti inevitabilmente la dura realtà.
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Ma è innegabile che pensare troppo ai grandi temi dell'esistenza porti a deprimersi, perché la vita in sé, spogliata delle sovrastrutture, fa oggettivamente schifo: si nasce, ci si ritrova in trappola, si fatica, si soffre... si INVECCHIA e (male o bene che vada) comunque si MUORE e tutto svanisce come se non fosse mai esistito.
Logico che se il pensiero lo rivolgi alla scoperta degli astri nell'universo o alla fisica quantistica non ti deprimi, ma il "pensare" a cui si riveriva ThinkHappy non credo fosse quello.
Ci son solo due modi per vivere "bene":
- non pensare troppo ai temi esistenziali (e agire, fare cose, non fermarsi mai, pensare alla fisica quantistica o alla partita di calcio, ma non alla vita e alla morte);
- forzarsi a credere ciecamente in qualcosa del tutto irreale (dio, l'amore, la reincarnazione, il buddha, la Forza, i supereroi, l'equilibrio dell'universo, la giustizia)
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23-09-2012, 23:14
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#44
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Banned
Qui dal: Mar 2011
Messaggi: 5,470
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Originariamente inviata da Herzeleid
Ora mi è più chiaro, avendo tu anche aggiunto ulteriore analisi alla precedente. Non sono sicuro che vi sia una correlazione genetica riguardo il carattere, e per citare Wittgenstein, di ciò che ignoro preferisco non parlare.
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Io trovo piuttosto improbabile che il nostro carattere possa dipendere integralmente dalle sollecitazioni ambientali che riceviamo, sono piuttosto propenso ad attribuirne le caratteristiche principali alla predisposizione genetica. Non è però nulla più di una verità operativa, passabile di smentita.
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Originariamente inviata da Herzeleid
Però è mia esperienza, banalmente, che determinati elementi, come ad esempio un'attività fisica defatigante o una somministrazione farmacologica, possono fermare il flusso di pensiero. Quindi, e questo mi premeva, non è propriamente corretto affermare che non abbiamo un controllo di volontà sulla nostra occorrenza riflessiva, perché possiamo decidere di porre in essere determinate condizioni che ne bloccano il processo. E se magari è vero che così non cambiamo carattere, ne annulliamo gli effetti, che sono in fondo quelli che ci interessano. Un ebete, farmacologicamente indotto, non soffre i tormenti interiori.
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Beh, certo. Se la mettiamo così possiamo anche smettere di respirare quando vogliamo, o fermarci il cuore: basta una corda o un colpo di stiletto.
Restano le attività defatiganti e quelle di svago, però non è che possiamo passare la vita a correre o a forzarci a fare cose che normalmente non faremmo, solo per non pensare.
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Ultima modifica di Angus; 23-09-2012 a 23:20.
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23-09-2012, 23:26
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#45
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Esperto
Qui dal: Aug 2012
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Originariamente inviata da Angus
non è che possiamo passare la vita a correre o a forzarci a fare cose che altrimenti non faremmo solo per non pensare.
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Mi sembra sia esattamente quello che tutti, in un modo o nell'altro, fanno o tentano di fare, distrarsi. Difatti (avevo citato già Cioran), non escludiamo l'idea della morte dalla nostra ponderazione quotidiana perché altrimenti ci bloccherebbe ad ogni pur minimo movimento, ovvero ci impedirebbe di vivere? Noi volontariamente ci impegniamo nel selezionare i nostri pensieri, anche in condizioni di "normalità" emotiva, per soffrire il meno possibile.
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23-09-2012, 23:49
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#46
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Banned
Qui dal: Mar 2011
Messaggi: 5,470
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Originariamente inviata da chrissolo
Ma è innegabile che pensare troppo ai grandi temi dell'esistenza porti a deprimersi, perché la vita in sé, spogliata delle sovrastrutture, fa oggettivamente schifo: si nasce, ci si ritrova in trappola, si fatica, si soffre... si INVECCHIA e (male o bene che vada) comunque si MUORE e tutto svanisce come se non fosse mai esistito.
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E' innegabile per te, per me non lo è affatto.
Seppure sia difficile negare che riflettere sui temi esistenziali sia causa di inquietudine, che porti alla depressione o, in generale, ad un intenso malessere non è affatto necessario.
I motivi per cui soffriamo sono altri, afferenti al dominio del pathos, e quindi dell'inconscio. Tendiamo, spesso, ad attribuire un ruolo eccessivamente importante alla componente razionale della nostra psiche.
Quote:
Originariamente inviata da chrissolo
Ci son solo due modi per vivere "bene":
- non pensare troppo ai temi esistenziali (e agire, fare cose, non fermarsi mai, pensare alla fisica quantistica o alla partita di calcio, ma non alla vita e alla morte);
- forzarsi a credere ciecamente in qualcosa del tutto irreale (dio, l'amore, la reincarnazione, il buddha, la Forza, i supereroi, l'equilibrio dell'universo, la giustizia)
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Insomma, per vivere bene bisogna diventare degli illusi che negano radicalmente il proprio essere. Ma questo non è possibile, per quanto ci si possa provare. Se ogni nostro pensiero annienta il mondo, ogni nostro desiderio lo ricrea.
Quote:
Originariamente inviata da Herzeleid
Mi sembra sia esattamente quello che tutti, in un modo o nell'altro, fanno o tentano di fare, distrarsi. Difatti (avevo citato già Cioran), non escludiamo l'idea della morte dalla nostra ponderazione quotidiana perché altrimenti ci bloccherebbe ad ogni pur minimo movimento, ovvero ci impedirebbe di vivere? Noi volontariamente ci impegniamo nel selezionare i nostri pensieri, anche in condizioni di "normalità" emotiva, per soffrire il meno possibile.
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A me non sembra affatto. Davvero credi che tutte le persone riflessive siano continuamente assalite dall'idea che un giorno dovranno morire, e che si forzino a non pensarci? La rimozione dei pensieri negativi (o meglio: il ridimensionamento della loro presa emotiva) segue dinamiche del tutto inconsce. La consapevolezza della precarietà della condizione umana, peraltro, non impedisce affatto di vivere, ma porta piuttosto a farlo in modo più sensato (ad esempio, smettendo di impiegare il nostro tempo a negare radicalmente i nostri bisogni e le nostre inclinazioni, cercando piuttosto di dargli sfogo).
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Ultima modifica di Angus; 23-09-2012 a 23:53.
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24-09-2012, 00:11
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#47
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Esperto
Qui dal: Aug 2012
Ubicazione: Napoli
Messaggi: 1,298
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Quote:
Originariamente inviata da Angus
A me non sembra affatto. Davvero credi che tutte le persone riflessive siano continuamente assalite dall'idea che un giorno dovranno morire, e che si forzino a non pensarci?)
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Sono state legioni di pensatori, di diverso milieu accademico, a riflettere in merito. Io sono vicino alle posizioni heideggeriane, per il quale è nel confronto con l'ente-morte che l'uomo stabilisce la qualità della sua esistenza minuta, quotidiana, ma all'atto dello stesso non può sopravvivere senza l'astrazione. Tu successivamente adoperi il termine rimozione, ha un'accezione diversa da astrarre/distrarre, perché pone la possibilità di eliminare il problema ontologico, cosa inattuabile (nel caso della morte).
Quote:
Originariamente inviata da Angus
La rimozione dei pensieri negativi (o meglio: il ridimensionamento della loro presa emotiva) segue dinamiche del tutto inconsce.
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Avverrebbe senza alcuna capacità di controllo esterno su di essi? Intendi questo?
Quote:
Originariamente inviata da Angus
La consapevolezza della precarietà della condizione umana, peraltro, non impedisce affatto di vivere, ma porta piuttosto a vivere in modo più sensato (ad esempio, smettendo di impiegare il nostro tempo a negare radicalmente i nostri bisogni e le nostre inclinazioni, cercando piuttosto di dargli sfogo).
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Dipende dal grado di questa consapevolezza, dagli oggetti a cui si rivolge e dalla capacità del soggetto di gestirla. Credo tu non abbia colto appieno il significato del riferimento alla morte (probabilmente, perché anche noi due abbiamo diversi milieu accademici alle spalle): se tu pensassi con coscienza vigile al dato di fatto che potresti morire tra un istante per un'infinità di eventi da te non controllabili, riusciresti a vivere o resteresti paralizzato dal terrore?
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24-09-2012, 00:11
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#48
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Avanzato
Qui dal: Jun 2008
Messaggi: 349
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Quote:
Originariamente inviata da chrissolo
Ma è innegabile che pensare troppo ai grandi temi dell'esistenza porti a deprimersi, perché la vita in sé, spogliata delle sovrastrutture, fa oggettivamente schifo: si nasce, ci si ritrova in trappola, si fatica, si soffre... si INVECCHIA e (male o bene che vada) comunque si MUORE e tutto svanisce come se non fosse mai esistito.
Logico che se il pensiero lo rivolgi alla scoperta degli astri nell'universo o alla fisica quantistica non ti deprimi, ma il "pensare" a cui si riveriva ThinkHappy non credo fosse quello.
Ci son solo due modi per vivere "bene":
- non pensare troppo ai temi esistenziali (e agire, fare cose, non fermarsi mai, pensare alla fisica quantistica o alla partita di calcio, ma non alla vita e alla morte);
- forzarsi a credere ciecamente in qualcosa del tutto irreale (dio, l'amore, la reincarnazione, il buddha, la Forza, i supereroi, l'equilibrio dell'universo, la giustizia)
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Non so se è vero...dipende sempre da come si indirizza il pensiero su temi esistenziali. Il pensiero di essere in fondo una parte del tutto anche da totalmente laico può essere un bel pensiero.
Secondo me il problema è quando si pensa troppo perchè si sta male. Non il pensare in sè;voglio dire che se il pensare troppo è una ricerca, consapevole o inconsapevole, del perchè stiamo male... ecco che rischiamo di peggiorare e di molto la situazione!
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24-09-2012, 00:13
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#49
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Avanzato
Qui dal: Jun 2008
Messaggi: 349
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Quote:
Originariamente inviata da nothing
Parlando per me.. Da quando ho smesso di pensare in continuazione, sto molto meglio... Le cose inutili erano diventate veramente troppe
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Ma non è che da quando stai meglio hai smesso di pensare in continuazione a quei temi?
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24-09-2012, 01:35
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#50
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Esperto
Qui dal: Jul 2012
Messaggi: 3,952
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Quote:
Originariamente inviata da Angus
E' innegabile per te, per me non lo è affatto.
Seppure sia difficile negare che riflettere sui temi esistenziali sia causa di inquietudine, che porti alla depressione o, in generale, ad un intenso malessere non è affatto necessario.
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Con questa negazione mi confermi esattamente quel che ho scritto.
Cerchi di rigirarla al meglio, ma questo meglio che riesci a trovare è la parola "inquietudine" (che non mi sembra proprio sinonimo di pace e tranquillità)
Per di più se inizi ad essere "inquieto" e non riesci manco a costruirti quei "contrappesi" mimini (affetti, lavoro, riconoscimento sociale) tale inquietudine non può che sfociare, prima o poi, in un disagio psicologico di qualche tipo.
Quote:
Originariamente inviata da Angus
Insomma, per vivere bene bisogna diventare degli illusi che negano radicalmente il proprio essere. Ma questo non è possibile, per quanto ci si possa provare. Se ogni nostro pensiero annienta il mondo, ogni nostro desiderio lo ricrea.
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Sì sì, la filosofia è molto figa.. (la realtà un bel pò meno..)
Quote:
Originariamente inviata da Angus
A me non sembra affatto. Davvero credi che tutte le persone riflessive siano continuamente assalite dall'idea che un giorno dovranno morire, e che si forzino a non pensarci? La rimozione dei pensieri negativi (o meglio: il ridimensionamento della loro presa emotiva) segue dinamiche del tutto inconsce. La consapevolezza della precarietà della condizione umana, peraltro, non impedisce affatto di vivere, ma porta piuttosto a farlo in modo più sensato (ad esempio, smettendo di impiegare il nostro tempo a negare radicalmente i nostri bisogni e le nostre inclinazioni, cercando piuttosto di dargli sfogo).
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E' tutto molto giusto (oltre che molto teorico)..
Il problema è che non siamo liberi di impiegare il tempo come vogliamo, cioè, siamo pure liberi di rifiutare convenzioni sociali e quant'altro, ma ottenendo come risultato l'emarginazione assoluta, che di certo non è il preludio per una vita lieta o serena.
Magari potessimo dare sfogo -come dici tu - alle nostre inclinazioni e ai nostri bisogni in piena libertà ed autonomia, senza scontrarci ogni volta contro il macigno rappresentato dalla volontà e dai bisogni degli altri.
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24-09-2012, 01:48
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#51
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Esperto
Qui dal: Jul 2012
Messaggi: 3,952
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Quote:
Originariamente inviata da akirafudo
Non so se è vero...dipende sempre da come si indirizza il pensiero su temi esistenziali. Il pensiero di essere in fondo una parte del tutto anche da totalmente laico può essere un bel pensiero.
Secondo me il problema è quando si pensa troppo perchè si sta male. Non il pensare in sè;voglio dire che se il pensare troppo è una ricerca, consapevole o inconsapevole, del perchè stiamo male... ecco che rischiamo di peggiorare e di molto la situazione!
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E' molto più semplice di così: se stai bene e sei pieno di cose positive a cui dedicare il tuo tempo, "naturalmente" tendi a focalizzarti su quelle (sarebbe stupido e controproducente fare altrimenti) e il resto (che tanto positivo non è) lo "accantoni";
quando stai male e non hai un tubo di buono o positivo a cui appigliarti è inevitabilmente più difficile sfuggire all'ovvia tragicità dell'esistenza umana.
Tutto questo - ovviamente - senza tirare in ballo dei, filosofie e fedi varie, che sono delle specie di surrogati delle cose positive.. un tentativo di dare una sorta di ordine al caos nel quale - nostro malgrado - ci siamo ritrovati, perché questo universo senza senso di cui facciamo parte mette addosso MOLTA inquietudine.
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24-09-2012, 11:07
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#52
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Banned
Qui dal: Mar 2011
Messaggi: 5,470
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Quote:
Originariamente inviata da Herzeleid
Sono state legioni di pensatori, di diverso milieu accademico, a riflettere in merito. Io sono vicino alle posizioni heideggeriane, per il quale è nel confronto con l'ente-morte che l'uomo stabilisce la qualità della sua esistenza minuta, quotidiana, ma all'atto dello stesso non può sopravvivere senza l'astrazione. Tu successivamente adoperi il termine rimozione, ha un'accezione diversa da astrarre/distrarre, perché pone la possibilità di eliminare il problema ontologico, cosa inattuabile (nel caso della morte).
Avverrebbe senza alcuna capacità di controllo esterno su di essi? Intendi questo?
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Sì, esatto.
Io non sono sulle spalle di nessun gigante e non faccio riferimento a nessun milieu, quello che scrivo è frutto delle mie sole riflessioni (che partono però, ovviamente, dall'introiezione delle ideologie diffuse nel mondo in cui sono vissuto).
Piuttosto che di morte, trovo più corretto parlare di "finitezza". E' la nostra finitezza, rapportata all'intuizione di un infinito ostile, a causare la nostra inquietudine.
Il modo in cui gestiamo questo conflitto, rimuovendolo (è attuabile eccome), depotenziandone il portato emotivo (astrazione è un ottimo termine) o mistificando la nostra natura (negando la nostra finitezza, in uno dei molti modo possibili: religione, identificazione nel branco, aspirazione ad una irraggiungibile autosufficienza, ...), dipende *principalmente* da dinamiche inconsce, sì, questo è quello che credo.
Quote:
Originariamente inviata da chrissolo
E' tutto molto giusto (oltre che molto teorico)..
Il problema è che non siamo liberi di impiegare il tempo come vogliamo, cioè, siamo pure liberi di rifiutare convenzioni sociali e quant'altro, ma ottenendo come risultato l'emarginazione assoluta, che di certo non è il preludio per una vita lieta o serena.
Magari potessimo dare sfogo -come dici tu - alle nostre inclinazioni e ai nostri bisogni in piena libertà ed autonomia, senza scontrarci ogni volta contro il macigno rappresentato dalla volontà e dai bisogni degli altri.
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Ecco, ora siamo al punto della questione.
La causa del malessere su cui dobbiamo focalizzarci non è la nostra vocazione alla riflessività, ma piuttosto... il mondo infernale in cui viviamo. O meglio, il mondo che percepiamo, che è spesso radicalmente peggiore di quello reale.
Accettando questo, ed accettando che non possiamo cambiare la realtà se non marginalmente, piuttosto che bramare la lobotomia dobbiamo impegnarci a costruire un'isola di senso nel mare di insensatezza che ci attornia. Questo è possibile, anche se non sempre facile, così come lo è sviluppare le nostre inclinazioni e dar sfogo ai nostri bisogni senza entrare in rotta irreversibile con l'umanità (quello di farne parte non è peraltro a sua volta un bisogno?).
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25-09-2012, 11:15
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#53
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Intermedio
Qui dal: Mar 2010
Messaggi: 245
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Quote:
Originariamente inviata da Angus
Accettando questo, ed accettando che non possiamo cambiare la realtà se non marginalmente, piuttosto che bramare la lobotomia dobbiamo impegnarci a costruire un'isola di senso nel mare di insensatezza che ci attornia. Questo è possibile, anche se non sempre facile, così come lo è sviluppare le nostre inclinazioni e dar sfogo ai nostri bisogni senza entrare in rotta irreversibile con l'umanità (quello di farne parte non è peraltro a sua volta un bisogno?).
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Trovo molto giusto quello che hai detto, ma come trasformarlo in un'azione concreta? In questo momento della mia vita non credo nel "senso".
Come ha detto qualcuno precedentemente, o si crede in qualcosa (non necessariamente in un Dio, ma anche nell'arte, nella musica, nella letteratura, nella famiglia, negli affetti...) o semplicemente si cerca di non pensare, di modo da allontanare la sensazione di vuoto e insensatezza che ne deriverebbe.
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25-09-2012, 12:00
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#54
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Banned
Qui dal: Jul 2008
Messaggi: 1,496
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Quote:
Originariamente inviata da ThinkHappy
Dobbiamo smettere di pensare, di chiederci perché, di farci mille pare mentali, di riflettere, anche su temi profondi e interessanti?
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Si.
(10 car.)
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25-09-2012, 19:51
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#55
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Intermedio
Qui dal: Mar 2010
Messaggi: 245
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Quote:
Originariamente inviata da Joseph
Bisognerebbe invece riuscire a sopportare l'incertezza e muoversi e pensare in essa.
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Ovvero? Vivere e fare cose solo per il gusto di farle?
Per un depresso questa è una condanna a morte.
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25-09-2012, 20:58
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#56
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Intermedio
Qui dal: Mar 2010
Messaggi: 245
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Quote:
Originariamente inviata da Joseph
Con "muoversi nell'incertezza" intendo dire accettare il senso di vuoto e di ignoranza per poi progressivamente scoprire qual'è il senso delle cose.
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Ho paura...
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25-09-2012, 22:22
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#57
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Banned
Qui dal: Mar 2011
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Quote:
Originariamente inviata da ThinkHappy
Trovo molto giusto quello che hai detto, ma come trasformarlo in un'azione concreta? In questo momento della mia vita non credo nel "senso".
Come ha detto qualcuno precedentemente, o si crede in qualcosa (non necessariamente in un Dio, ma anche nell'arte, nella musica, nella letteratura, nella famiglia, negli affetti...) o semplicemente si cerca di non pensare, di modo da allontanare la sensazione di vuoto e insensatezza che ne deriverebbe.
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Siamo figli del nostro tempo, e come tali abbiamo (io come te) difficoltà ad attribuire un senso oggettivo all'esistenza.
Eppure questo non dovrebbe impedirci di trovare in essa un senso soggettivo.
Il punto che andrebbe compreso è che le verità fondamentali, quelle su cui si costruiscono (attraverso la ragione) tutte le altre, appartengono al dominio del pathos, dell'emozione. Il riconoscimento di un significato all'esistenza è, sono convinto, iscritto nel nostro dna. Basterebbe, dunque, accogliere i suggerimenti che provengono dal nostro inconscio e accettare i nostri desideri come degni di essere realizzati.
Il problema è che, figli della nostra cultura e a causa dell'interazione con un ambiente quasi sempre ostile, molto spesso li ripudiamo anestetizzandoci, schermandoci dietro un razionalismo strumentale, quasi sempre, a raggiungere gli obiettivi indicati per noi, implicitamente o esplicitamente, dall'ambiente in cui siamo immersi (anch'esso figlio del nostro tempo): un lavoro fisso ben pagato, anche se noioso (che spesso richiede studi altrettanto noiosi), una normalità relazionale da famiglia del mulino bianco (quando va bene), che spesso preclude un reale coinvolgimento emotivo, un'idea di autosufficienza e indipendenza che, benché in concreto irrealizzabile, porta a disprezzare ogni forma di debolezza (dipendenza) in noi come negli altri, e quindi a rifiutare relazioni potenzialmente significative (en passant, è a quest'utopia/distopia che si deve la tendenza di molti a considerare l'amore un'illusione per babbalei).
Quello che possiamo fare, in concreto, è... riflettere. Riconoscere che non è la vita in sé a non avere per noi senso, ma *questa* vita. Fare un lavoro di analisi su noi stessi recependo le indicazioni che il nostro incoscio ci dà attraverso l'emozionalità, cercare di capire quello che realmente desideriamo (individuare cioè il nostro senso soggettivo). E cercare di realizzarlo; non è sempre possibile e quasi mai facile, ma è davvero l'unica cosa che possiamo fare.
La riflessività, dunque, per concludere, lungi dall'essere la causa del nostro malessere è piuttosto uno strumento necessario per poter sperare di affrancarcene.
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Ultima modifica di Angus; 25-09-2012 a 22:30.
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25-09-2012, 23:44
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#58
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Esperto
Qui dal: Jul 2012
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Quote:
Originariamente inviata da Joseph
ignoranza per poi progressivamente scoprire qual'è il senso delle cose.
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Il limite del discorso è quando ti accorgi che nell'esistenza tutto questo "senso delle cose" non c'è.
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