Pubblico quanto segue un po' a mo' di diario, ma questa sezione mi pareva più appropriata e più frequentata del mio diario che non uso praticamente più.
Mi sembrava interessante riportare questa esperienza, ma non è che volessi sollevare chissà quale dibattito...
E' passato molto tempo da quando sono quì e sono cambiato parecchio. Non sono cambiato molto nel senso in cui ci si potrebbe aspettare, cioè di aver risolto i problemi che ho sollevato nelle mie numerose iscussioni. Ma è cambiato il mio modo di pormi di fronte ad essi. Non è cambiato praticaente niente, eppure è cambiato tutto.
Inizio a smettere di bramare il cmbiamento, eppure non rinuncio ad esso.
Bramare, voler ottenere, riuscire.
Sembrerà banale, ma buona parte della sofferenza deriva da questo. Il che non significa rinunciare, cosa che porteebbe con sè un sacco di sofferenza non diversa dalla prima.
Significa imparare a volere in un altro modo.
La fortuna in questo periodo non mi è mancata.
Parlo di donne e lavoro, i due grandi crucci che affliggono un po' tutti (i maschietti).
Ho avuto occsione con una ragazza, anzi, potenzialmente due.
Ma l'ho voluto troppo; stava succedendo e ho precipitato le cose per lavoglia di ottenere.
Lo sforzo è stato talmente grande che ha portato con se una grande angoscia. Non si tratta quì di una questione esclusivamente "tecnica" del tipo "ho avuto fretta". C'è qualcosa di più che non so se riesco ad esprimere, ma ci provo: ho voluto "fare" invece di "lasciar essere". In quel fare bramoso si è spento tutto. Credo che molti potranno riconoscersi in questa formula, che appunto non riescono ad ottenere ciò che vogliono, ma parimenti, a ben vedere, non hanno il coraggio di lasciar essere.
E forse il dover fare è proprio determinato dall'incapacità di lasciar essere.
Lasciar essere non significa non agire, non prendere l'iniziativa e starsene seduti a guardare il muro (cosa in cui sono maestro!).
Semplicemente smettere di voler determinare con la propria rude volontà. Significa desiderare senza bramare. Mettere in atto azioni, ma nel rispetto del destino, o della natura se preferite(nostra e altrui).
Non è una cosa che può essere compresa solo razionalmente, deve essere intuita con il cuore.
Io stesso che scrivo la perdo spesso, è una cosa che va ad intermittenza (per ora).
E' una cosa che si presenta anche in piccole cose, per esempio anche nello scrivere queste righe: posso avere l'intenzione di scrivere una cosa che funzioni per il lettore, che abbia per il lettore un effetto che io voglio abbia, e allora sto li a pensare che forma dare alle frasi e come strutturare il discorso per "ottenere successo". Oppure posso lasciar fluire, far fluire me stesso nella penna.
Poi si tratta di far si che la vita sia la penna.
Anche nello scrivere queste poche righe la cosa va ad intermittenza, è veramente difficile da mettere in pratica.
Se scrivo e voglio che ne esca una cosa ben fatta, c'è subito la voglia che sia così, voglia che porta con se l'ansia di riuscire.
Se scrivo di getto l'ansia non c'è...
Non vuol dire che uno non possa lavorare per riuscire a scrivere meglio. Lo può fare ma deve in un certo senso farlo "a parte" e poi lasciar fluire l'eventuale miglioramento senza quasi rendersene conto.
L'atto che ha successo deve essere spontaneo, la spontaneità può essere arricchita, ma se lo si vuol fare mentre la spontaneità è in atto questa smette di essere tale e quindi non ha effetto.
Volendola mettere in mdo più spirituale, si tratta di dirsi che la propria persona ha già tutto quello che di base le serve, nel rispetto di tutti i propri difetti, per poter fare tutto ciò che fa per lei(ora non lapidatemi), che probabilmente è molto pi di ciò che immaginiamo e magari non c'entra nulla con ciò che ci siamo sforzati di fare.
Anche quì non si tratta di un ragionamento razionale, ma più che altro di una presa di coscenza, di una sorta di autofiducia.
Riporto quì alcune righe di una parte dell'Iking che ho trovato estremamente significative e che ritengo racchiudano in parte il senso di ciò che ho scritto e sicuramente molto di più:
"Diritto, rettangolare, grande.
Senza intenzione pur nulla rimane trascurato.
Il cielo ha come simbolo il cerchio, la terra il quadrato, con i suoi angoli retti. Così dunque il rettangolare è una qualità originaria della terra. Invece il rettilineo è una qualità originaria del Creativo, come anche la grandezza. Ma ogni cosa rettangolare ha la sua radice nella linea retta e forma a sua volta, di nuovo, delle grandezze solide. Se nella matematica si distinguono linee, pani e solidi, dalle linee rette risultano piani rettangolari, e dai piani rettangolari grandezze cubiche. Il Ricettivo si orienta secondo le qualità del Creativo e le fa sue. Così da una retta nasce un quadrato e da un quadrato un cubo. Questa è la semplice devozione alle leggi del Creativo, senza aggiungervi o togliervi alcunchè. Perciò il ricettivo non ha bisogno di nessuna particolare intenzione o sforzo, e tutto riesce rettamente.
La natura genera gli esseri senza deviare mai, in questo è rettilinea; essa è tranquilla e silenziosa, in questo è rettangolare; essa non si rifiuta di sostenere qualunque essere, in questo è la sua grandezza. Perciò senza gesti esteriori e senza intenzioni particolari, essa compie ciò che è retto per tutti. Per l'uomo significa suprema saggezza diventare nel proprio operare così spontaneo come la natura".