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30-11-2015, 15:55
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#41
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Esperto
Qui dal: Oct 2013
Messaggi: 13,523
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Diari, Franz Kafka
Che cosa ti lega a questi corpi delimitati, parlanti, lampeggianti dagli occhi, più strettamente che a qualunque altra cosa, diciamo, al portapenne che hai in mano? Forse il fatto che sei della loro specie? Ma non sei della loro specie, perciò appunto hai formulato questa domanda.
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30-11-2015, 15:57
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#42
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Esperto
Qui dal: Sep 2012
Ubicazione: I'll remain unperturbed by the joy and the madness that I encounter everywhere I turn.
Messaggi: 1,966
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Quote:
Originariamente inviata da Varano
Diari, Franz Kafka
Che cosa ti lega a questi corpi delimitati, parlanti, lampeggianti dagli occhi, più strettamente che a qualunque altra cosa, diciamo, al portapenne che hai in mano? Forse il fatto che sei della loro specie? Ma non sei della loro specie, perciò appunto hai formulato questa domanda.
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Ovviamente quando ci sarebbe da ammirare io ho finito i ringrazia. -____-
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30-11-2015, 16:26
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#43
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Esperto
Qui dal: Sep 2012
Ubicazione: I'll remain unperturbed by the joy and the madness that I encounter everywhere I turn.
Messaggi: 1,966
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Ecco, sarà perché io propriamente non ho mai capito che gusto ci sia a rivolgere domande agli altri per sapere le cose come sono. Ve le dicono come le sanno loro, come pajono a loro. Voi ve ne contentate? Grazie tante! Io voglio saperle per me, e voglio che entrino in me come a me pajono. È ben per questo vedere che ormai tutte le cose ci stanno sopra, sotto intorno, col modo d'essere, il senso, il valore che da secoli e secoli gli uomini hanno dato ad esse. Così e così il cielo, così e così le stelle: e il mare e i monti così e così, e la campagna, la città, le strade, le case... Dio mio, che ne volete più? Ci opprimono ormai per forza col fastidio infinito di questa immutabile realtà convenuta e convenzionale da tutti subita passivamente. Le fracasserei. Vi dico che sedere su una seggiola è divenuto per me un supplizio intollerabile. Per alleviarlo un poco, bisognerebbe per lo meno - permettete? - che la mettessi così, ecco, per lungo, e mi ci mettessi a cavallo. Tanto per dire! Ma quanti si sforzano di rompere la crosta di questa comune rappresentazione delle cose? di sottrarsi all'orribile noja dei consueti aspetti? di spogliare le cose delle vecchie apparenze che ormai per abitudine, per pigrizia di spirito, ponderosamente si sono imposte a tutti? Eppure è raro che almeno una volta, in un momento felice, non sia avvenuto a ciascuno di vedere all'improvviso il mondo, la vita, con occhi nuovi; d'intravedere in una sùbita luce un senso nuovo delle cose; d'intuire in un lampo che relazioni insolite, nuove, impensate, si possono forse stabilire con esse, sicché la vita acquisti agli occhi nostri rinfrescati un valore meraviglioso, diverso, mutevole. Ahimè, si ricasca subito nell'uniformità degli aspetti consueti, nell'abitudine delle consuete relazioni; si riaccetta il consueto valore dell'esistenza quotidiana; il cielo col solito azzurro vi guarda poi la sera con le solite stelle; il mare v'addormenta col solito brontolio; le case vi sbadigliano di qua e di là con le finestre delle solite facciate, e col solito lastricato vi s'allungano sotto i piedi le vie. E io passo per pazzo perché voglio vivere là, in quello che per voi è stato un momento, uno sbarbàglio, un fresco breve stupore di sogno vivo, luminoso; là, fuori d’ogni traccia solita, d'ogni consuetudine, libero di tutte le vecchie apparenze, col respiro sempre nuovo e largo tra cose sempre nuove e vive.
La mano del malato povero- Luigi Pirandello
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Ultima modifica di Josef K.; 30-11-2015 a 16:44.
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30-11-2015, 17:27
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#44
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Qui dal: Jul 2009
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Entrò nel parco e, dopo una decina di passi, la luce dei lampioni sulla strada non bastò più a distinguere il vialetto di ghiaia. I rami spogli degli alberi dove aveva lasciato Michela erano soltanto dei graffi un po' più scuri contro il cielo nero. Vedendoli da lontano, Mattia ebbe la certezza, limpida e inspiegabile, che sua sorella non fosse più lì.
Si fermò a pochi metri dalla panca dove Michela era seduta fino a qualche ora prima, tutta intenta a rovinare il suo cappotto. Restò fermo, in ascolto, finché il fiatone non gli fu passato, come se da un momento all'altro sua sorella dovesse sbucare da dietro un albero facendogli cucù e poi corrergli incontro, svolazzando con la sua andatura sbilenca.
Mattia chiamò Michi e si spaventò della propria voce. Lo ripeté più piano. Si avvicinò ai tavoli di legno e poggiò una mano nel punto in cui Michela era seduta. Era freddo come tutto il resto.
Si sarà stufata e sarà andata a casa, pensò.
Ma se non la sa neppure, la strada. E poi non può attraversare il corso da sola.
Mattia guardò il parco, che si perdeva nel buio davanti a lui. Non sapeva nemmeno dove finiva.
Pensò che non voleva proseguire e che non aveva altra scelta.
Camminava in punta di piedi per non far scricchiolare le foglie sotto le suole, girando la testa da una parte all'altra, nella speranza di scorgere Michela accucciata dietro un albero, a fare la posta a uno scarabeo o a chissacché.
Entrò nel recinto delle giostrine. Si sforzò di ricordare i colori che aveva lo scivolo nella luce della domenica pomeriggio, quando la mamma cedeva alle urla di Michela e le faceva fare un paio di giri, anche se lei per lo scivolo era già troppo grande.
Costeggiò la siepe fino ai bagni pubblici, ma non ebbe il coraggio di entrarci. Ritrovò il sentiero, che in quel punto del parco era solo una striscia sottile di terriccio segnata dall'andirivieni delle famiglie a passeggio. Lo seguì per dieci minuti buoni, finché non seppe più dov'era. Allora gli venne da piangere e da tossire insieme.
«Sei proprio una stupida, Michi» disse a mezza voce. «Una stupida ritardata. Te l'ha spiegato mille volte mamma che quando ti perdi devi fermarti dove sei...ma tu non capisci mai niente...niente di niente.»
Risalì un lieve pendio e si trovò di fronte al fiume che tagliava in due il parco. Suo padre gli aveva detto il nome un sacco di volte, ma Mattia non riuscì a ricordarselo. L'acqua rifletteva un po' di luce presa da chissà dove e la faceva tremolare nei suoi occhi umidi.
Si avvicinò alla sponda del fiume e sentì che Michela doveva essere vicina. L'acqua le piaceva. [...]
L'immagine di Michela che con un ramoscello giocava a scomporre il proprio riflesso nell'acqua e poi ci scivolava dentro come un sacco di patate attraversò la testa di Mattia con la violenza di una scarica elettrica.
Si sedette a mezzo metro dalla riva, stanco. Si voltò per guardare dietro di sé e vide il buio che sarebbe durato ancora molte ore.
Prese a fissare la superficie nera e lucida del fiume. Di nuovo cercò di ricordarsene il nome, ma non ci riuscì neppure stavolta. Affondò le mani nella terra fredda. Sulla riva l'umidità la rendeva più morbida. Vi trovò un pezzo di bottiglia, il rimasuglio tagliente di qualche festeggiamento notturno.
Quando se lo conficcò la prima volta nella mano non sentì male, forse non se ne accorse neppure.
Poi cominciò a rigirarlo nella carne per piantarlo più a fondo, senza staccare gli occhi dall'acqua.
Aspettava che da un momento all'altro Michela affiorasse alla superficie e nel frattempo si chiedeva perché certe cose stanno a galla e certe altre invece no.
(La solitudine dei numeri primi; Paolo Giordano)
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Ultima modifica di Nothing87; 01-12-2015 a 19:49.
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03-12-2015, 14:35
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#45
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Qui dal: Jul 2009
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Quote:
Originariamente inviata da Josef K.
http://www.larici.it/culturadellest/...hov_monaco.pdf
Questo è il link a Il monaco nero di Anton Cechov, racconto di media lunghezza di uno dei grandi della letteratura russa dell''800, nonché uno dei miei autori preferiti. La rappresentazione perfetta, spietata, scientifica del cammino di disperazioni e lusinghe di un uomo che non ha alternative al vivere per il proprio talento, e della scelta di campo che tutti siamo chiamati a fare quando le circostanze contrappongano il Sè a tutto il resto. Terribile e bellissimo.
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L'ho letto.
Originale la rappresentazione dell'egoismo di Egor (cioè della maggiorparte dell'umanità secondo Cechov) tramite la bellezza e la serenità del paesaggio bucolico. è quasi un ossimoro. Ciò la rende incisiva.
Kovrin, il protagonista, usa invece le sue grandi doti a fine altruistico con grande ottimismo e vitalità.
Io però dò ai due la stessa dignità. La passione di Kovrin è la filosofia mentre quella di Egor è la frutticoltura (che non è paragonabile a un bisogno animalesco). Se gli altri li intralciano nella loro espressione personale diventano loro nemici. Le restanti differenze tra i due che affiorano (teoria/pratica, transitorità/eternità, altruismo/egoismo) per me sono solo dettagli dal valore arbitrario.
Consiglio la lettura de Il profumo di Patrick Süskind.
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06-12-2015, 12:46
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#46
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06-12-2015, 22:51
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#47
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Tuttavia non era la rimarchevole mancanza di emozioni di Lisbeth Salander a disturbarlo maggiormente. Fin lì si trattava di immagine. L’immagine della Milton era stabilità conservativa e la signorina Salander era altrettanto credibile in quel contesto come una ruspa a una fiera nautica.
Armanskij aveva difficoltà ad accettare che la sua ricercatrice migliore fosse una ragazza pallida, di una magrezza da anoressica, con i capelli cortissimi e il piercing a naso e*sopracciglia. Sul collo aveva tatuata una vespa lunga due centimetri e intorno al bicipite del braccio sinistro una serpentina. Nelle occasioni in cui aveva indossato indumenti leggeri, Armanskij aveva anche potuto constatare che aveva un grande tatuaggio raffigurante un drago sulla schiena. Per natura aveva i capelli rossi, ma li tingeva di un nero corvino. Sembrava sempre che si fosse appena svegliata dopo un’orgia durata una settimana in compagnia di un gruppo hard rock.
La ragazza — di questo Armanskij era pienamente convinto — non soffriva di nessun disturbo alimentare vero e proprio; al contrario, sembrava consumare ogni genere di porcheria. Semplicemente era magra di costituzione, con un’ossatura minuta che le dava un’aria da eterna adolescente, mani piccole, caviglie sottili e seni che si distinguevano appena sotto i vestiti. Aveva ventiquattro anni ma pareva una quattordicenne.
Aveva bocca larga, naso piccolo e zigomi alti che le conferivano un che di orientale. Si muoveva rapida e leggera come un ragno, e quando lavorava al computer le sue dita volavano furiose sui tasti. Il suo corpo sarebbe stato del tutto inadatto a una carriera da modella, ma con il makeup adatto un primo piano del suo viso avrebbe potuto benissimo comparire in qualsiasi cartellone pubblicitario. Sotto il trucco — certe volte si metteva perfino un ripugnante rossetto nero — e i tatuaggi e il naso e le sopracciglia col piercing, era… mm… attraente. In un modo affatto incomprensibile. [...]
La ragazza non sembrava solo problematica — ai suoi occhi era l’incarnazione stessa del concetto. Aveva trascurato le ultime classi delle medie, non aveva mai messo piede al liceo e mancava di qualsiasi forma di istruzione superiore.
I primi mesi aveva lavorato a tempo pieno, be’, quasi a tempo pieno; a ogni modo, era comparsa di quando in quando sul posto di lavoro. Preparava il caffè, ritirava la posta e si occupava delle fotocopie. Il problema era che non gliene importava un fico secco dei normali orari d’ufficio o delle normali procedure di lavoro.
Ma possedeva un grande talento per irritare i collaboratori della società. Presto fu nota a tutti come la ragazza con due cellule cerebrali, una per respirare e una per stare eretta. Non parlava mai di se stessa. I collaboratori che cercavano di parlare con lei ricevevano raramente una risposta e ben presto si arrendevano. I tentativi di scherzare non cadevano mai su un terreno fertile — o ti guardava con grandi occhi privi di espressione, oppure reagiva con palese irritazione.
Inoltre si era fatta la nomea di essere capace di improvvisi quanto drastici cambiamenti d’umore se si metteva in testa che qualcuno la stava prendendo in giro, il che non era un elemento del tutto sconosciuto nel gergo generale del posto*di lavoro. Il suo atteggiamento non stimolava né la confidenza né l’amicizia, e Lisbeth divenne presto un bizzarro fenomeno che si aggirava come un gatto randagio per i corridoi della Milton. Ormai la consideravano un caso senza speranza.
Dopo un mese di questo andazzo, Armanskij l’aveva convocata nel suo ufficio con tutte le intenzioni di metterla alla porta. Lei aveva ascoltato passivamente l’elenco delle sue pecche, senza sollevare obiezioni e senza battere ciglio. Solo quando lui aveva finito di spiegare che lei non aveva l’atteggiamento giusto e stava per suggerire che probabilmente sarebbe stata una buona idea se si fosse cercata un posto presso qualche altra azienda che sapesse meglio sfruttare la sua competenza, Lisbeth l’aveva interrotto nel bel mezzo di una frase. Per la prima volta, aveva parlato usando più che singole parole.
«Senti, se vuoi un usciere puoi andartelo a prendere all’ufficio di collocamento. Io sono capace di raccogliere qualsiasi genere d’informazione su chiunque, e se tu non mi sai sfruttare in altro modo che per smistare la posta, allora sei un perfetto idiota.»
(Uomini che odiano le donne; Stieg Larsson)
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Ultima modifica di Nothing87; 06-12-2015 a 22:54.
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07-12-2015, 11:51
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#48
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Qui dal: Jul 2009
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L'arte contemporanea è più individuale rispetto a quella dei precedenti periodi storici, sia nella forma che nel contenuto. Spesso è attenta a questioni intimistiche. Per questo le sto dando un posto privilegiato in questa discussione.
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07-12-2015, 15:18
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#49
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Esperto
Qui dal: Sep 2012
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07-12-2015, 16:26
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#50
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Esperto
Qui dal: Sep 2012
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<<Tutto 'sto parlare col culo aveva una specie di frequenza intestinale. Ti colpiva laggiù come se dovessi farla. Sai, no, quando il colon ti dà una gomitata e dentro senti freddo, e capisci che devi correre a farla? Be', ti colpiva proprio laggiù, un rumore come di bollicine, denso e stagnante, un rumore del quale sentivi l'odore. Quell'uomo lavorava in un luna park, capisci, e a prima vista sembrava il nuovo numero di un ventriloquo. Divertentissimo, tra l'altro, all'inizio. Il suo numero si chiamava il buco migliore, roba da urlo, giuro. L'ho quasi scordato del tutto ma non era male. Tipo... "Ehi, dico, sei ancora lì, vecchio mio?"."No! Dovevo andare di corpo!".
Dopo un po' il culo s'è messo a parlare da solo. Lui cominciava senza essersi preparato niente e il suo culo improvvisava e ogni volta rilanciava le battute. Poi gli sono spuntati degli uncini curvi che raspavano come denti e ha cominciato a mangiare. Lui all'inizio pensava che fosse una figata e ci ha costruito attorno il suo numero, ma il buco del culo si è mangiato i calzoni e ha cominciato a parlare per la strada, gridava che voleva la parità dei diritti. Si sbronzava pure e si prendeva certe sbornie tristi della madonna frignando che nessuno gli voleva bene e poi voleva essere baciato come qualsiasi altra bocca. Alla fine parlava sempre, giorno e notte, lo si sentiva a isolati di distanza, lui gli gridava di chiudere il becco, lo prendeva a pugni, ci ficcava dentro le candele, ma non serviva a un tubo e il buco del culo gli diceva: "Alla fine sarai tu a chiudere il becco, non io. Perché non c'è più bisogno di te. Adesso posso parlare, mangiare e cagare".
Poi ha cominciato a svegliarsi al mattino con una gelatina trasparente simile alla coda di un girino sulla bocca. Gli scienziati lo chiamano T.n-D., Tessuto non-Differenziato, e può crescere ovunque nel corpo umano. Lui se la strappava dalla bocca, dei lembi gli rimanevano appiccicati alle mani come nafta che ha preso fuoco e lì cresceva, cresceva dappertutto finché non ne cadeva qualche goccia. Così alla fine la bocca rimase completamente sigillata, e la testa si sarebbe staccata spontaneamente (lo sapevi che c'è una malattia in certe parti dell'Africa, e solo tra i neri, per effetto della quale il mignolo del piede si stacca spontaneamente?) a eccezione degli occhi. L'unica cosa che il buco del culo non poteva fare era vedere. Per farlo aveva bisogno degli occhi. Ma le connessioni nervose erano bloccate, infiltrate e atrofizzate così il cervello non riusciva più a impartire ordini. Era intrappolato nel cranio, sigillato. Per un po' dietro gli occhi si riusciva a vedere la silenziosa, disperata sofferenza del cervello, poi finalmente deve essere subentrata la morte cerebrale perché gli occhi si sono spenti, e non erano più sensibili dell'occhio di un granchio in cima a una antenna>>
Burroughs- Naked Lunch
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Ultima modifica di Josef K.; 07-12-2015 a 16:28.
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08-12-2015, 16:11
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#51
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Banned
Qui dal: Jul 2009
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Il Padiglione d'oro di Mishima a mio parere è un libro molto profondo e senza tempo sul tema della timidezza (soprattutto maschile). L'avevo anche recensito: http://www.fobiasociale.com/sezione-...8/#post1587753
Verso alcune persone, come i timidi, la natura e/o la società sono state avare; li hanno brutalmente privati di certi mezzi che avrebbero permesso di soddisfare alcuni loro bisogni. Si parla con tanta indignazione del problema della fame nei Paesi del Terzo Mondo ma si è insensibili all'estrema difficoltà delle persone timide di avere esperienze di vita e avere così la possibilità di ricevere affetto e serenità mentale. Non si dà serietà al problema. Eppure l'interiorità è il vero motore dell'individuo e della società e se non viene sfamata anche il fisico ne risente. Dovrebbe essere tutelata con priorità assoluta. Con ciò intendo che i suoi bisogni dovrebbero essere soddisfatti per quello che sono e non sublimati attraverso l'arte, il patriottismo e la religione!
Nel frattempo, la maggior parte delle persone che può appagare quei certi bisogni fisici e mentali, senza ovviamente averne merito, schernisce i disadattati infelici.
Per gli scherzi della natura o della società l'unico modo per trovare pace è tramite la distruzione di ciò che anela e non può avere.
Ecco la suggestiva conclusione del romanzo:
[...]
Corsi, non si può immaginare quanto, senza fermarmi. Non ricordo neppure quali luoghi attraversai. Dovetti probabilmente fuggire dal cancello posteriore, a nord, vicino alla torre Kyohoku, poi passare forse per l’aula Myoo, e quindi affannarmi su per il sentiero montano fiancheggiato da bambù ed azalee, fino a raggiungere la cima del monte Hidari Daimonji. Sì, fu certamente in cima a quel monte che mi gettai supino nella macchia di bambù vicino ai pini rossi, e lì attesi che il mio cuore in tumulto si quietasse. Quella montagna, a nord, faceva da riparo al Padiglione d’oro. Lo strepito di qualche uccello allarmato mi fece tornare in me. Uno svolazzò accosto al mio volto in un vigoroso sbattere d’ali. I miei occhi guardavano in alto verso il cielo notturno. Stridendo, gli uccelli si erano alzati in gran numero oltre le cime degli alberi; sporadiche faville di fuoco già vagavano per l’aria al di sopra di me. Mi alzai a sedere e aguzzai lo sguardo in direzione del Padiglione, giù nella valle. Ne giungeva un’eco strana. Come uno scoppio di petardi. Come se le giunture di uomini innumerevoli schioccassero tutte insieme. Da dove stavo, il Padiglione d’oro non si scorgeva. Vedevo soltanto volute di fumo e un gran fuoco levarsi al cielo. Miriadi di faville vagavano tra gli alberi, e sembravano spruzzare di polvere d’oro il cielo al di sopra del Padiglione. Incrociai le gambe e rimasi a lungo a contemplare la scena. Quando mi riebbi del tutto, scoprii che avevo il corpo cosparso di ustioni e di graffi, e sanguinavo copiosamente. Anche le mie dita erano insanguinate, evidentemente si erano ferite nel gran picchiare contro la porta del Kukyocho. Lambii con la lingua le mie ferite, come un animale scampato ai suoi braccatori. Frugai in tasca e ne cavai il flacone dell’arsenico, avvolto nel fazzoletto, e il coltello. Li gettai entrambi in fondo alla valle. Nell’altra tasca le mie dita urtarono contro le sigarette. Ne presi una e l’accesi. Mi sentivo come chi, ultimato un lavoro, si siede a tirare una meritata boccata di fumo. Volevo vivere.
Fine
( Il padiglione d'oro; Yukio Mishima)
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Ultima modifica di Nothing87; 08-12-2015 a 18:57.
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31-12-2015, 18:49
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#52
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Esperto
Qui dal: Sep 2012
Ubicazione: I'll remain unperturbed by the joy and the madness that I encounter everywhere I turn.
Messaggi: 1,966
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http://www.igiornielenotti.it/?p=12979
Anche questa è arte e ha il pregio di essere al contempo vita, nella sua forma più vera e disinteressata, regalata da un fobico che stava per morire ad una sconosciuta, per di più una bambina, per il semplice desiderio di alleviarle la sofferenza di aver perso la sua bambola.
Spero che sia accaduto veramente.
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03-01-2016, 00:57
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#53
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Esperto
Qui dal: Oct 2012
Ubicazione: Nel tempo
Messaggi: 1,191
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<<Per un momento realizzò che quella comprensione che desiderava tanto era una cosa sospesa tra di loro, inviolata e solitaria, non detta e misconosciuta. E pensò per un momento di aver scoperto il segreto.
Ecco che cosa univa gli uomini e le donne: non l'incontro delle loro menti e delle loro anime, non la congiunzione dei corpi nell'oscura follia della copula. Niente di tutto ciò. Era il bisogno sottile di creare un vincolo, un legame più fragile del merletto più delicato. Era per questo che lottavano incessantemente - e sempre, in fondo, da soli; era per questo che si amavano e si odiavano, si avvicinavano e si separavano. Soltanto per quel piccolo filo, che non potevano mai misurare, per paura di distruggerlo; soltanto per quel filo delicato, che non potevano mai annodare, per paura di spezzarlo in due>>.
(Nulla, solo la notte; John Williams)
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06-01-2016, 17:10
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#54
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Banned
Qui dal: Jan 1970
Messaggi: 103
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15-01-2016, 22:29
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#55
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Esperto
Qui dal: Oct 2012
Ubicazione: Nel tempo
Messaggi: 1,191
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<<Il fondamento della vergogna non è un nostro sbaglio personale ma l'oltraggio, l'umiliazione che proviamo per essere costretti ad essere ciò che siamo senza averlo scelto, e l'insopportabile sensazione che questa umiliazione sia visibile da ogni parte>>.
(L'immortalità; Milan Kundera)
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16-01-2016, 16:27
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#56
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Esperto
Qui dal: Sep 2012
Ubicazione: I'll remain unperturbed by the joy and the madness that I encounter everywhere I turn.
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Da Le cosmicomiche di Italo Calvino, il racconto Gli anni - luce a pagina 85, che oltre ad essere secondo me il migliore dell'intera raccolta (anche quella integrale, Tutte le cosmicomiche) aderisce a questo spazio in modo molto piacevole e inconsueto.
http://www.marconibari.it/73107129-C...smicomiche.pdf
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Ultima modifica di Josef K.; 16-01-2016 a 17:02.
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16-01-2016, 17:20
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#57
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Esperto
Qui dal: Dec 2014
Ubicazione: Lombardia
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Quote:
Originariamente inviata da Josef K.
Da Le cosmicomiche di Italo Calvino, il racconto Gli anni - luce a pagina 85, che oltre ad essere secondo me il migliore dell'intera raccolta (anche quella integrale, Tutte le cosmicomiche) aderisce a questo spazio in modo molto piacevole e inconsueto.
http://www.marconibari.it/73107129-C...smicomiche.pdf
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Azzeccatissimo.
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17-01-2016, 01:35
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#58
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Esperto
Qui dal: Sep 2012
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Le mie domande servono ormai a ossessionare solo me stesso, a farmi spronare dal silenzio che intorno a me è l’unica risposta. Quanto sopporterai ancora che il genere canino, come le tue indagini ti portano a riconoscere con sempre maggiore consapevolezza, taccia e continui per sempre a tacere? Quanto lo sopporterai ancora: è questa, al di sopra di tutte le singole domande, la vera e propria questione vitale, essa è rivolta solo a me e non affligge nessun altro. Purtroppo è una domanda a cui posso rispondere più facilmente che a tutte le altre: è presumibile che io resista fino alla mia fine naturale, all'inquietudine del domandare si oppone sempre più la calma della vecchiaia. Probabilmente morirò in silenzio, circondato dal silenzio, quasi pacificato, e a questa attesa vado incontro preparato. Noi cani abbiamo ricevuto quasi per cattiveria un cuore mirabilmente forte e dei polmoni che non si logorano anzitempo, resistiamo a tutte le domande, anche alle nostre, bastioni del silenzio quali siamo.
Sempre più spesso in questi ultimi tempi ripenso alla mia vita, cercando l’errore decisivo causa di tutto, che forse ho commesso e che non riesco a individuare. Eppure devo averlo commesso, giacché se non l’avessi commesso e ciononostante non avessi raggiunto in seguito all'onesto lavoro di una lunga vita ciò che desideravo, avrei la prova che ciò che desideravo era impossibile e la conseguenza sarebbe la perdita di ogni speranza.
Franz Kafka, Indagini di un cane
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Ultima modifica di Josef K.; 17-01-2016 a 01:43.
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24-01-2016, 15:53
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#59
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Esperto
Qui dal: Oct 2012
Ubicazione: Nel tempo
Messaggi: 1,191
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<<[...] Talvolta desidererei che questa estraneità si trasformasse in dimestichezza, ma ne sono ben lontana. Estraneo e cattivo, per me continuano ad essere la stessa cosa. E vedo che neppure gli animali ne vanno esenti. Durante questo autunno è apparsa una cornacchia bianca. Vola sempre a un certa distanza dalle altre e si posa solo su un albero che le sue compagne evitano. Non riesco a capire perché le altre la detestino. A me sembra un uccello particolarmente bello, eppure alle sue consorelle risulta ripugnante. La vedo tutta sola, appollaiata su sul suo abete, che fissa qualcosa al di là del prato, un povero mostro che non dovrebbe esistere, una cornacchia bianca. Resta sull'abete, fin quando il grande stormo è volato via, e allora le porto un po' di cibo. E' talmente docile che mi permette di avvicinarmi. Qualche volta salta per terra, appena mi vede arrivare. Non può sapere perché è stata ripudiata, non conosce vita diversa da quella. Sarà sempre un animale ripudiato e solitario, al punto da temere meno l'uomo dei suoi fratelli corvini. Forse la ripugnanza che provoca è tale che non vogliono neppure beccarla a morte. Ogni giorno aspetto la cornacchia bianca e la chiamo, e lei mi osserva attentamente con i suoi occhi rossicci. Posso fare ben poco per lei. Forse i miei rifiuti prolungano una vita che non andrebbe prolungata. Eppure, io voglio che la cornacchia bianca viva, e ogni tanto sogno che nel bosco ne esista un'altra, perché possano infine incontrarsi. Non lo credo, ma lo desidero ardentemente [...]>>
<<[...] Solo noi siamo condannati a inseguire un significato che non può esistere. Non so se riuscirò mai ad accettare questa rivelazione. E' difficile abbandonare un'atavica megalomania profondamente radicata. Compiango gli animali, e compiango gli uomini perché vengono gettati in questa vita senza averlo mai richiesto. Gli uomini forse meritano maggiore commiserazione perché posseggono giusto quel tanto di giudizio per opporsi al naturale corso delle cose. Ciò li ha resi disperati e cattivi, e poco amabili. Eppure, sarebbe stato possibile vivere diversamente. Non esiste impulso più ragionevole dell'amore. Rende la vita più sopportabile sia all'amante che all'amato. Solo, avremmo dovuto riconoscere che si trattava della nostra unica possibilità, della nostra sola speranza in una vita migliore. Per un esercito infinito di morti, l'unica possibilità dell'essere umano è perduta per sempre. Non riesco a capire perché dovremmo imboccare la strada sbagliata. So solo che è troppo tardi.>>
(La parete; Marlen Haushofer)
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31-01-2016, 23:36
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#60
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Avanzato
Qui dal: Oct 2015
Messaggi: 378
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Anche se non si tratta di arte, mi ha colpito questa considerazione di Schopenhauer che sembra proprio riferirsi alla fobia sociale:
In realtà il valore che noi attribuiamo all'opinione degli altri e la nostra preoccupazione costante al riguardo oltrepassano di regola ogni ragionevole giustificazione, tanto da poter sembrare una specie di mania generalmente diffusa, o piuttosto innata. In tutto ciò che noi facciamo o non facciamo si prende in considerazione l'opinione altrui quasi prima di ogni altra cosa, e con un'attenta analisi vediamo che da tale preoccupazione nasce quasi la metà di tutte le afflizioni e le ansie da noi provate.
(da L'arte di insultare)
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