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Vecchio 03-10-2012, 22:15   #1
Esperto
L'avatar di Josef K.
 

Gli spunti di riflessione offerti dalle nostre problematiche sono moltissimi, e spesso capita di ritrovarli sviluppati in opere di ogni genere. Mi piacerebbe che questo topic diventasse uno spazio per menzionare, descrivere o linkare quei prodotti - musicali, letterari, cinematografici, videoludici e così via - che, secondo il vostro parere, hanno a che fare con la nostra tipologia di problemi. Che l'argomento venga da queste esplicitamente trattato, o sia solo suggerito; che si tratti di un prodotto strettamente artistico, o più in generale intellettualmente stimolante; che sia legato alla sociofobia, o riguardi altre patologie chiamate in causa nel forum; che se ne voglia fornire una analisi, o semplicemente postare un link; questo è il luogo adatto per condividere quei frammenti della nostra realtà che meritano di essere diffusi. Inizio mettendo in evidenza un film, "Le conseguenze dell'amore" di Paolo Sorrentino, che oltre ad essere molto bello penso sia un must per utenti di un forum come questo. Di seguito, il link per un trailer:


Ultima modifica di Josef K.; 04-10-2012 a 16:06.
Vecchio 03-10-2012, 22:22   #2
Esperto
L'avatar di VyCanisMajoris
 

"Il Mondo si divide in due categorie: i vincenti e i perdenti. Dentro ognuno di voi, nessuno escluso, alla radice stessa del vostro essere, c'è un vincente che aspetta di essere svegliato e sguinzagliato per il mondo. Mai più indecisione, mai più commiserarsi, mai più scuse: riappropriatevi della vostra vita."


Ultima modifica di VyCanisMajoris; 03-10-2012 a 22:24.
Vecchio 04-10-2012, 17:26   #3
Banned
 



La terra... è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.
Non scenderò dalla nave.
Al massimo, posso scendere dalla mia vita.

Ultima modifica di Baloordo; 04-10-2012 a 17:29.
Vecchio 04-10-2012, 18:28   #4
Esperto
L'avatar di Josef K.
 

"Io non avevo mai pensato, da ragazzo, che nessuno mi volesse bene. Tu da ragazzo non pensavi che un giorno avresti trovato chi ti avrebbe amato molto? Io non ho fatto male a nessuno, io sono innocente. Quasi mi dispiace di non aver fatto male, e di essere, ora, come un bambino. C'è chi nasce così, che non può fare il male e non riceve il bene. Io ho sbagliata tutta la mia vita, e se mi dovessi confessare non saprei che cosa dire. Quando sono lontano da un luogo, so che cosa vi avrei potuto fare; quando ci sto, non so più, e vorrei tornare là di dove sono partito. Io certe volte penso alle persone che ho incontrato nella mia vita. C'era una ragazza che forse mi avrebbe voluto bene, ma io non sapevo cosa dirle. Che cosa credi che fosse questa ragazza? Io non mi ricordo più se fosse piccola o grande, e vorrei tornare indietro per vederla com'era. Mi ricordo soltanto come mi guardava. Quando siamo sul posto, non sappiamo mai come sono le cose, e poi da lontano ce ne facciamo un'idea tutta diversa. Come è la mia casa? Io me la ricordo grande, e quando ci vado la trovo piccola. Anche mia moglie in casa mi sembra grande e quando la vedo per la strada la trovo piccola. E la strada dove giocavo? Quando sono in un posto mi dico che me ne voglio ricordare e cerco di mettermi bene nella memoria come stanno le cose. Poi tutto è diverso nel ricordo. Mi sembra di aver sempre sognato. Certe volte mi domando se sono proprio io che vivo di qua e di là, che ieri ero in un posto e oggi in un altro. Certe mattine, quando ho dormito poco, mi sembra di essermi lasciato a casa. Non vi succede anche a voi? E intanto uno cammina, fa qualche cosa, e magari non sa se è sveglio o se è morto". "Smettila, smettila!", gridarono a una voce il Borriello e il Ferro cui questa parola era nella mente, ma pronunciarla era stata come metterla loro davanti agli occhi. Ecco che intorno a questa parola i loro pensieri ondeggiavano pericolosamente, e da un momento all'altro perdevano l'equilibrio. "Non vi succede a voialtri", aggiunse il Mandorla, "non vi succede, pensando a qualche cosa della vostra vita, che vi si intromettono persone che non ci hanno niente a che fare? A me in questo momento viene in testa uno che gli bruciarono la mula, al mio paese, per dispetto. Gliela bruciarono dando fuoco alla stalla, e lui poveraccio le voleva più bene che a sua moglie. Io lo vedo che passa davanti ai miei occhi, col suo passo incerto e incespicante di uomo che cammina troppo, e mi ricordo, curioso, la sua faccia come la vidi in diversi periodi della sua vita, me lo ricordo distintamente, perchè gli vidi cambiare età, proprio cambiare età. Non è vero che è difficile notare questa cosa nelle persone che si vedono tutti i giorni? Io mi domando se vale la pena viaggiare tanto, quando poi quello che vediamo è sempre la stessa cosa, quello che vedemmo nell'infanzia. Io ho veduto come è fatto l'elefante; eppure quello che mi ricordo sempre sono le lucertole al sole d'estate, quando si incantano su una pietra che brucia, e qui sotto la bocca, sul collo biancastro, batte loro qualche cosa come una vena. Io ho traversato il mare e ho vedute tante cose; eppure mi ricordo precisamente soltanto l'orto che facevamo da ragazzi, presso il ruscello, e l'ombra che una piantina di cece appena nata faceva quando vi batteva il sole. Mai cipresso ha fatta tanta ombra come quella, nel mio ricordo".

Corrado Alvaro- Gente in Aspromonte- dal racconto Ventiquattr'ore

Ultima modifica di Josef K.; 26-11-2015 a 19:48.
Vecchio 26-11-2015, 02:11   #5
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L'avatar di Josef K.
 

UN MEDICO DI CAMPAGNA


Mi trovavo in grande imbarazzo: ero nell'imminenza di partire per un viaggio urgente; in una borgata distante circa dieci miglia mi aspettava un malato grave; una violenta bufera di neve riempiva l'ampio spazio tra me e lui; la carrozza ce l'avevo, leggera, alta di ruote, di quelle fatte apposta per le nostre strade campestri; chiuso nella pelliccia, la borsa dei ferri in mano, stavo pronto alla partenza in cortile; ma il cavallo mancava, il cavallo. Il mio era morto la notte prima, a causa delle eccessive fatiche di quel gelido inverno; la mia fantesca stava correndo per tutto il villaggio cercandone uno a prestito; ma era impresa disperata, lo sapevo, e rimanevo lì impotente, sempre più coperto dalla neve, sempre più incapace di muovermi. Al portone apparve la servetta, sola, agitando la lanterna; si capisce, chi presterebbe il suo cavallo per un simile viaggio? Ancora una volta attraversai tutto il cortile: non trovavo soluzione; smarrito, angosciato, diedi un calcio alla porticina tarlata del porcile, rimasto inutilizzato da anni. La porta si aprì sbattendo ripetutamente sui cardini, e fai investito da una folata calda, odorosa di cavalli. Nell'interno, un fioco lume da stalla oscillava appeso ad una fune. Un uomo se ne stava raggomitolato nel basso bugigattolo; alzò il volto scoprendo i suoi occhi azzurri. «Devo attaccare?» domandò, strisciando avanti a quattro gambe. Non seppi cosa rispondergli e mi chinai per vedere che altro c'era lì dentro. La fantesca mi stava accanto. «Uno non sa mai quante cose ha in casa,» disse, e ridemmo insieme. «Ehi fratello, ehi sorellina,» chiamò lo stalliere, e due cavalli, splendide bestie dai fianchi possenti, si spinsero avanti uno dietro l'altro, le gambe strette al corpo, le teste ben fatte inclinate alla guisa dei cammelli, e con la sola forza dei tronchi guizzanti superarono lo stretto pertugio d'ingresso, riempiendolo totalmente. Quindi si fermarono, ritti sulle lunghe zampe, i corpi fumiganti di fitto sudore «Aiutalo,» dissi, e la solerte ragazza si affrettò a porgere al servo i finimenti. Ma ecco che appena gli è vicino, il servo l'abbranca e affonda il viso in quello di lei. Essa dà un grido e si rifugia da me; nella sua guancia scorgo l'impronta rossa di due file di denti. «Bestiaccia,» grido furibondo, «vuoi una frustata?» ma subito mi viene in mente che è un estraneo, uno che non so di dove venga e che mi aiuta spontaneamente, mentre tutti si eclissano. Lui, quasi leggesse nei miei pensieri, non dà peso alla minaccia, ma si limita a gettarmi un'occhiata, sempre affaccendato dietro ai cavalli. «Salga,» mi dice poi, e in effetti tutto è pronto. Con una muta così bella, lo vedo bene non ho viaggiato mai; e salgo tutto allegro. «Lascia però che guidi io, tu non conosci la strada,» gli dico. «Certo,» risponde, «io non vengo, resto qui con Rosa.» «No,» urla Rosa e corre in casa, ben presaga dell'inevitabile suo destino; la sento tirare il catenaccio all'uscio, ne odo il tintinnio, lo scatto della serratura; vedo che essa spegne pure la luce sul pianerottolo, poi in tutte le altre stanze, sempre correndo a precipizio per non farsi trovare. «Tu vieni con me,» dico allo stalliere, «altrimenti, con tutta l'urgenza, faccio a meno di partire. Levati dalla testa che ti lasci in mano la ragazza come prezzo del viaggio.» «Via!» fa lui, e batte le mani; la carrozza sfreccia come un legno nella corrente; faccio ancora in tempo a sentire che la mia porta di casa si schianta e va in frantumi sotto la furia dello stalliere, poi negli occhi e negli orecchi non ho più che un mugghio, e tutti i miei sensi ne sono ugualmente penetrati. Ma solo per un breve istante; infatti, come se il cortile del malato si schiudesse immediatamente davanti al mio portone, eccomi, ci sono già; i cavalli si fermano quieti; non nevica più; la luna risplende; i genitori del malato escono di corsa; li segue la sorella; quasi di peso mi tolgono dalla carrozza; non riesco ad intendere i loro discorsi confusi; l'aria nella stanza del malato è pressoché irrespirabile; la stufa, non accudita, manda fumo; spalancherò la finestra; ma prima voglio vedere il malato. Magro, senza febbre, nè freddo nè caldo, gli occhi spenti, senza camicia, il giovane si tira su di sotto al piumino, mi si appende al collo, mi sussurra all'orecchio: «Dottore, lasciami morire.» Mi guardo intorno: nessuno ha udito; i genitori, curvi in avanti, attendono muti il mio responso; la sorella ha accostato una sedia per la mia borsa dei ferri. La apro e cerco tra gli strumenti; il giovane, dal letto, continua ad annaspare alla mia volta per ricordarmi la sua preghiera; afferro una pinzetta, la esamino alla luce della candela, poi la rimetto giù. «Sì,» penso imprecando, «in simili casi vengono in aiuto gli dèi, ti mandano il cavallo che manca, vista l'urgenza ne aggiungono un secondo e ti danno anche lo stalliere per soprappiù...» Di colpo mi viene in mente Rosa che fare, come salvarla, come strapparla a quello stalliere, a dieci miglia di distanza, con due cavalli indomiti legati alla carrozza? Questi cavalli che, non so come, hanno allentato le redini, sono inspiegabilmente riusciti ad aprire le finestre dall'esterno, e ora, ciascuno da una finestra, incuranti del clamore dei familiari, sporgono le teste a contemplare il malato. «Torno subito indietro,» penso, come se i cavalli mi ingiungessero di ripartire, ma invece lascio che la sorella, che mi crede stordito dal caldo, mi tolga la pelliccia. Mi versano un bicchiere di rum, il vecchio mi batte sulla spalla: l'avermi fatto parte del suo tesoro giustifica tale confidenza. Scuoto il capo: nell'angusta cerchia di pensieri del vecchio mi sentirei venir meno, e solo per questo motivo rifiuto di bere. La madre, accanto al letto, mi fa cenno di avvicinarmi; obbedisco e, mentre il mio cavallo nitrisce forte verso il soffitto, appoggio la testa sul petto del giovane, il quale al contatto della mia barba bagnata rabbrividisce. Ho la conferma di quel che già sapevo: il ragazzo è sano; un po' anemico, rimpinzato di caffè dalla trepida madre, ma sano; buttarlo giù dal letto con uno spintone sarebbe la miglior cura. Poiché il mio mestiere non è quello del riformatore, lo lascio dove sta. Sono un funzionario distrettuale e faccio il mio dovere fino all'ultimo, fino al punto in cui rischia di esorbitare. Mi pagano male, ma sono generoso e aiuto la povera gente. Anche di Rosa ho da preoccuparmi, e questo giovane può darsi che abbia ragione, e anch'io voglio morire. Che sto facendo qui, in quest'inverno infinito? Il mio cavallo è morto e in paese non c'è nessuno che voglia prestarmene un altro. Mi tocca andare a cercarmi una muta nel porcile: se per buona sorte non fossero stati cavalli, dovevo servirmi di maiali. Proprio così. E accennò col capo verso i familiari. Loro non ne sanno nulla, se lo sapessero non ci crederebbero.Scrivere ricette è facile, ma, quanto al resto, intendersi con la gente è difficile. Be', con questo la mia visita sarebbe finita, ancora una volta mi hanno disturbato senza scopo: ci sono avvezzo, tutto il distretto si serve del mio campanello notturno per tormentarmi, ma che stavolta sia stato costretto a perdere anche Rosa, quella bella figliola che da anni mi viveva in casa quasi inosservata - questo è un sacrificio troppo grave, e posso farmene una ragione solo appigliandomi ad ogni capziosità che mi passa per la testa; altrimenti mi sfogherei contro questa famiglia che, con la migliore volontà, non potrà mai rendermi Rosa. Ma quando richiudo la borsa e faccio un cenno perché mi si porti la pelliccia, e la famiglia mi sta di fronte riunita - il padre fiutando l'odore del bicchiere di rum, la madre, che probabilmente ho deluso (va' a sapere cosa s'aspetta il popolo!), mordendosi in lagrime le labbra, la sorella agitando un asciugamano zuppo di sangue - chissà perché mi sento disposto ad ammettere, in un certo senso, che il giovane forse è malato. Mi avvicino, egli mi sorride, quasi gli porgessi la più sostanziosa delle minestre... ah, ecco, i due cavalli nitriscono: è un rumore forse preordinato in alto luogo per facilitare il mio compito... e adesso, sì, me ne accorgo, il giovane è malato. Nel suo fianco destro, all'altezza dell'anca, si è aperta una ferita grande come il palmo d'una mano. Di color rosa, ricca di sfumature, più scura al centro, via via più chiara sugli orli, leggermente granulosa, con grumi di sangue irregolarmente sparsi, aperta verso l'alto come una miniera: tale appare vista di lontano. Ma più dappresso si nota un'altra complicazione; e chi può guardarla senza un lieve sibilo di stupore? La piaga pullula di vermi, lunghi e grossi come il mio dito mignolo, rosei e per di più intrisi di sangue; come fossero radicati al fondo, agitano verso la luce le testine bianche e le innumeri zampette. Povero ragazzo, sei spacciato. Ho scoperto la tua grande ferita: questo fiore che hai nel fianco significa morte. La famiglia, che mi vede in piena attività, è felice. La sorella lo dice alla madre, la madre al padre, il padre ad alcuni estranei che in punta di piedi, bilanciandosi sulle braccia divaricate, entrano dalla porta piena di luna. «Mi salverai?» sussurra il giovane in un singhiozzo, abbagliato dalla vita che palpita nella sua piaga. Così è la gente dalle mie parti: sempre chiedono al medico l'impossibile. Hanno perso l'antica fede; il parroco se ne sta a casa e disfa una ad una le sue pianete, ma il medico, con la sua mano morbida di chirurgo, deve essere capace di tutto. Sia come volete; non sono stato io ad offrirmi; se avete bisogno di me per un santo fine, non mi rifiuterò certo; che potrebbe desiderare di meglio un vecchio medico di campagna, privato della sua servetta? Ed eccoli che vengono, la famiglia e gli anziani del borgo, e mi svestono, mentre davanti alla casa un coro di scolari col maestro in testa canta una melodia semplicissima sulle parole:

Ultima modifica di Josef K.; 26-11-2015 a 02:15.
Vecchio 26-11-2015, 02:12   #6
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L'avatar di Josef K.
 

Svestitelo e lui saprà guarire,
e se non sa guarire uccidetelo!
È solo un medico, solo un medico!

Sono svestito, e tranquillo, le dita immerse nella barba, li osservo col capo reclino. Mi sento perfettamente a mio agio e superiore a tutti, e tale rimango anche se non mi giova a nulla, perché ora mi pigliano per la testa e per i piedi e mi portano sul letto. Mi mettono contro il muro, dalla parte della ferita, poi tutti escono; la porta viene chiusa; il canto si spegne; nuvole celano la luna; sento le coperte calde intorno al corpo; le teste dei cavalli tentennano indistinte nei vani delle finestre. «Sai,» mi sento bisbigliare all'orecchio, «ho ben poca fiducia in te. Ti hanno buttato qui chissà di dove, non sei venuto di tua libera scelta. Invece di soccorrermi, mi togli spazio nel mio letto di morte. Avrei voglia di cavarti gli occhi.» «Hai ragione,» dico, «è una vergogna. Ma io sono un medico: che altro potrei fare? Credimi, anche per me la vita non è facile.» «E pensi che queste scuse mi bastino? Eppure devo per forza accontentarmene. Sempre devo accontentarmi. Sono venuto al mondo con una bella ferita, e questo era tutto il mio corredo.» «Mio giovane amico,» gli rispondo, «il tuo sbaglio e di non guardare alle cose nel loro insieme. Io, che di camere di malati ne ho vedute a bizzeffe, posso assicurarti che la tua ferita non è tanto brutta. Due colpi di accetta ad angolo acuto. Molti sono quelli che offrono il fianco e non fanno caso al rumore dell'accetta nel bosco; tanto meno poi s'accorgono che si sta avvicinando.» «È proprio così, o vuoi darmela a intendere perché no la febbre?» «È proprio così, e portati pure lassù la parola d'onore di un medico condotto.» Ed egli la accolse e non parlò più. Ma era ora di provvedere alla mia salvezza. I fidi cavalli erano sempre ai loro posti. Raccattai in fretta vestiti, pelliccia e borsa; non volli perdere tempo a rivestirmi; se i cavalli correvano come nel viaggio d'andata, sarei per così dire balzato da quel letto nel mio. Docile, un cavallo si ritrasse dalla finestra; gettai il fardello nella carrozza; la pelliccia, caduta troppo lontano, restò appesa a un gancio per una manica. Pazienza. Saltai sul cavallo. Redini lente ciondoloni, un cavallo malamente legato all'altro, la carrozza arrancante dietro, e la pelliccia nella neve a chiudere il corteo. «Via!» dissi, ma c'era poco da dir via; lenti, a passo di vecchiaia, avanzavano nel deserto di neve, mentre lungamente echeggiava dietro di noi il nuovo ma fallace canto dei fanciulli:

Siate lieti, o pazienti,
nel vostro letto ora c'è il medico!

Di questo passo non arriverò più a casa; la mia brillante posizione è perduta, un successore mi saccheggia, ma senza trarne vantaggio, perché non riuscirà mai a soppiantarmi; in casa mia imperversa il ripugnante stalliere, e Rosa è la sua vittima; non ci voglio neppure pensare. Nudo, esposto al gelo di quest'infausta età, con una carrozza terrena, con due cavalli non terreni, non son più che un vecchio ramingo. La mia pelliccia penzola dietro il cocchio, ma non riesco a raggiungerla, e della mutevole marmaglia dei pazienti nessuno muoverà un dito. Inganno! Inganno! Se una volta dai retta al menzognero squillo del campanello notturno, non c'è più rimedio possibile.

Franz Kafka
Vecchio 26-11-2015, 02:14   #7
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Nel Cantuccio Natio

Sarebbe bello diventare meccanico, giudice, comandante di un piroscafo, scienziato, fare qualcosa che assorba tutte le forze; fisiche e morali, per stancarsi e poi, la notte, dormire sodo; dare la propria vita a qualcosa che ti permetta di diventare una persona interessante, di piacere alle persone interessanti, di amare, di avere una vera famiglia... E allora cosa fare? Da dove incominciare?

L'uomo nell'astuccio

La realtà lo sgomentava, lo urtava, lo teneva in una perpetua emozione; e forse era per giustificare il suo sgomento o disgusto del reale, che instancabilmente vantava ciò ch'è passato ed inesistente.



Anton Cechov

Ultima modifica di Varano; 26-11-2015 a 02:16.
Ringraziamenti da
Josef K. (26-11-2015)
Vecchio 26-11-2015, 02:21   #8
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L'avatar di Josef K.
 

Il peccato non è un'azione piuttosto che un'altra, ma tutta un'esistenza mal congegnata. C'è chi pecca e chi no. Le stesse cose (odiare, fottere, oziare, maltrattare, umiliarsi, insuperbirsi) in uno sono peccati, in altri no.
Aver peccato vuol dire restar convinto che quell'azione è in un modo misterioso creatrice d'infelicità propria per l'avvenire, che essa ha offeso qualche legge misteriosa d'armonia e non è che un anello in una catena di disarmonie precedenti e future. Vivere è come fare una lunga addizione, in cui basta aver sbagliato il totale dei primi due addendi per non uscirne più.



Perché la gente abbia pietà di noi occorre che ci presentiamo bene (keep smiling), che non siamo troppo sporchi, che rappresentiamo un vantaggio per chi si occupa di noi. Ma quello che veramente chiederebbe la pietà e il sacrificio - l'umiliato, l'ossesso, l'impotente, il tarlato; sudicio e malparlante; disperato e assetato - chi vorrebbe dedicargli la vita? Intendo la vita assolutamente, come sarebbe di una donna che se lo sposasse, senza riserve. Molti per carità lo sfamerebbero, lo ragionerebbero, gli laverebbero il pus, ma chi gli aggiogherebbe la sua vita?
C'è mai stato un santo che ha salvato una sola persona? Tutti ne hanno salvato molte, hanno svolto una missione, hanno cercato gli infelici, ma qualcuno si è mai fermato a un infelice, chiudendosi in questa tomba? E persino chi ha sacrificato la vita, offrendo il suo sangue per un altro, avrebbe saputo trascorrere tutti i suoi giorni aggiogato a quest'altro, a questo solo?


Cesare Pavese- Il mestiere di vivere

Ultima modifica di Josef K.; 26-11-2015 a 02:30.
Vecchio 26-11-2015, 02:23   #9
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Viaggio al termine della notte


Ero un bambino allora, mi faceva paura la prigione. E che non conoscevo ancora gli uomini. Non crederò più a quello che dicono, a quello che pensano. E degli uomini e di loro soltanto che bisogna aver paura, sempre.

La grande sconfitta, in tutto, è dimenticare, e soprattutto quel che ti ha fatto crepare, e crepare senza capire mai fino a qual punto gli uomini sono carogne.

La maggior parte della gente non muore che all’ultimo momento; altri cominciano e si prendono vent’anni d’anticipo e qualche volta anche di più. Sono gli infelici della terra.

Allora mi sono ammalato, febbricitante, diventato matto, hanno spiegato loro all’ospedale, per la paura. Era possibile. La miglior cosa che puoi fare, no?, quando sei a ‘sto mondo, è di uscirne. Matto o no, paura o no.


Loro in alto con Musyne, io in basso, con niente. Musyne pensava seriamente al suo avvenire; allora preferiva farlo con un dio. Anch’io di certo pensavo all’avvenire, ma in una sorta di delirio, perché per tutto il tempo avevo, in sordina, la paura di essere ammazzato in guerra e anche la paura di morir di fame in pace. Ero in rinvio di morte e innamorato.


Poiché tutto era Teatro bisognava recitare e aveva proprio ragione Branledore; nulla ha l’aria più idiota ed è più irritante, è vero, di uno spettatore inerte salito per caso sulle scene. Quando si è lì sopra, si sa, bisogna prendere il tono, animarsi, recitare, decidersi o sparire. Le donne soprattutto chiedevano spettacolo ed erano impietose, le streghe, con i dilettanti imbambolati.

Anche a masturbarsi in quei casi lì non si prova né conforto, né distrazione. Allora è la vera disperazione.

Sempre avevo temuto d’essere pressoché vuoto, di non avere insomma alcuna seria ragione per esistere. Adesso davanti ai fatti ero proprio certo del mio nulla individuale. In quell’ambiente troppo diverso da quello in cui coltivavo le mie meschine abitudini, mi ero come dissolto all’istante. Mi sentivo vicinissimo alla non esistenza, semplicemente.


LF Céline
Ringraziamenti da
Lilhium (27-11-2015)
Vecchio 26-11-2015, 02:40   #10
Esperto
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Dei piaceri e delle passioni


«Fratello mio, se tu possiedi una virtù, e questa è tua veramente, tu non l'hai in comune con nessun altro.
Ma tu vuoi chiamarla per nome e vagheggiarla; tu vuoi prenderla per le orecchie e trastullarti con lei.
Ed ecco: ora hai in comune con gli altri il suo nome e sei divenuto plebe e gregge per essa.
Meglio faresti a dire: senza nome è ciò che forma la dolcezza e la pena dell’anima mia, la fame dei miei visceri.
Sia la tua virtù troppo elevata per la volgarità dei nomi: e se devi parlare di lei non ti vergognare che il tuo labbro balbetti.
Parla dunque e balbetta: "Questo è il mio bene, è ciò che amo, ciò che mi piace. Tale voglio che sia il mio bene: non quale la legge d'un Dio, o uno statuto, o una necessità degli uomini: non quale una guida al di là della terra ed al paradiso.
Una virtù terrena è quella ch'io amo: c’è poco di prudenza in essa e meno ancora di senso comune.
Ma questo uccello fabbricò in me il suo nido e per ciò lo amo e lo tengo caro — e ora siede in me covando le uova dorate".
Così tu devi balbettare esaltando la tua virtù.
Una volta tu possedevi delle passioni e le chiamavi cattive: ora non possiedi che le tue virtù; le quali ebbero origine dalle tue passioni. Tu collocasti il tuo più sublime intento in quelle passioni, ed esse allora divennero le tue virtù e la gioia.
E quando tu pure fossi della razza degli irosi o dei voluttuosi o dei maniaci religiosi o dei vendicativi, tutte queste tue passioni si sarebbero or mutate in virtù ed i tuoi demoni in angeli.
Una volta tu possedevi dei cani selvaggi ne' tuoi sotterranei: ma ora si tramutarono in uccelli ed in vezzose cantatrici.
E dai tuoi veleni tu stillasti il tuo balsamo. Tu hai munto la tua vacca — la cura — ed ora tu bevi il dolce latte delle sue poppe. E nulla di cattivo crescerà più da te, fuorché il male che nasce dalla lotta delle tue virtù.
Mio fratello, se tu sei avventurato, tu possederai una sola virtù e non oltre: così varcherai più leggero il ponte.
E' grande dignità il possedere molte virtù, ma è pur una sorte molto pesante; e più d'uno sì recò nel deserto e s'uccise perché stanco di dover esser campo di battaglia a troppe virtù.
Fratello mio, è un male la guerra e la battaglia? Ma è un male necessario: necessario è dunque anche, tra le tue virtù, l’invidia, e la diffidenza, e la calunnia.
Vedi come ciascuna di esse anela a ciò che v'ha di più eccelso; essa pretende per sé tutto il tuo spirito; e affinché questo sia il suo araldo essa domanda per sé tutta la tua forza nella collera, nell'odio e nell'amore.
Ogni virtù è gelosa delle altre, e la gelosia è una cosa terribile. Anche le virtù possono perire per la gelosia.
Chi è circondato dalla fiamma della gelosia, rivolge finalmente, come lo scorpione, contro sé stesso l’aculeo avvelenato.
Ah, fratello mio, hai tu mai veduto una virtù calunniare e trafiggere sé stessa?
L'uomo è cosa che dev'essere superata: perciò tu devi amare le tue virtù: — perché tu perirai in causa di esse».

Nietzsche- Cosi parlo Zarathustra

Ultima modifica di Josef K.; 26-11-2015 a 02:44.
Ringraziamenti da
Lilhium (27-11-2015)
Vecchio 26-11-2015, 07:25   #11
Esperto
 

Una versione alternativa dell'Eterno Capolavoro

Vecchio 26-11-2015, 11:38   #12
Esperto
L'avatar di Josef K.
 

Quote:
Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
Una versione alternativa dell'Eterno Capolavoro

https://www.youtube.com/watch?v=byzMFJR3BT8
Esauriti i "ringrazia".
Vecchio 26-11-2015, 13:00   #13
Avanzato
L'avatar di Bernardo Soares
 

46.
L’isolamento mi ha conformato a sua immagine e somiglianza. La presenza di un’altra persona – di un’unica persona – mi fa immediatamente rallentare il pensiero; così, se nell’uomo normale il contatto con l’altro è una sollecitazione all’espressione e alla parola, in me tale contatto è un contro-stimolo, concesso che tale parola composta sia possibile dal punto di vista linguistico. Sono capace, da solo con me stesso, di inventare quanti motti di spirito, risposte pronte a cose mai dette, folgorazioni di una socialità intelligente con alcuna persona; ma tutto questo svanisce se mi trovo di fronte ad un altro in carne ed ossa, perdo l’intelligenza, rinuncio alla possibilità di esprimermi e, dopo qualche quarto d’ora, sono solo preso dal sonno. Sì, parlare con le persone mi fa venire voglia di dormire. Solo i miei amici spettrali e immaginati, solo le mie conversazioni che si svolgono in sogno, hanno una vera realtà e un giusto rilievo, e con loro il mio spirito è presente come una immagine allo specchio.

Del resto, mi pesa solo l’idea di essere costretto a stare in contatto con qualcun altro. Un semplice invito a cena con un amico mi provoca un’angoscia difficile da definire. L’idea di un qualsivoglia obbligo sociale – andare ad un funerale, trattare insieme a qualcuno una questione d’ufficio, andare alla stazione ad attendere una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta – solo l’idea mi sconvolge i pensieri per un’intera giornata, e a volte comincio a preoccuparmi il giorno prima, e dormo male, e il caso nella sua dimensione reale, quando si verifica, è assolutamente insignificante, e non giustifica nulla. Tuttavia, la cosa si ripete e io non imparo mai ad imparare.

«Le mie abitudini sono attinenti alla solitudine e non agli uomini»; non so se sia stato Rousseau o Senancour a dire questo. Ma certo è stato qualche spirito della mia specie – potrei forse dire della mia razza.

Da Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, scritto da Fernando Pessoa

Ultima modifica di Bernardo Soares; 26-11-2015 a 13:02.
Vecchio 26-11-2015, 15:47   #14
Esperto
L'avatar di Josef K.
 

E tutti i ricordi a poco a poco gli si rifanno vita, gli ridanno le ansie, i fremiti, gli affanni, le gioie, i dolori, le rabbie d'allora. Ansa, sbuffa, sbarra gli occhi o li aggrotta, arriccia il naso, s'ilara in volto tutt'a un tratto con la bocca schiusa a un sorriso beato, e una lagrima gli sgocciola lenta da un occhio. Perché? Ma per niente! È entrato, di sera, in una casa di campagna in val di Ledro. Il focolare monumentale è in mezzo alla stanza rustica, sotto la cappa, che è come una tramoggia enorme capovolta, tutta affumicata dentro. Il vento geme continuo dalla gola nera del camino, dalla quale pende una catena, al cui gancio è sospeso un calderotto fumante. Attorno, nelle nicchie sotto la cappa, stan seduti i contadini della casa, che parlano gravi in quella voce continua del vento tenebroso... Ebbene, piange per questo? No: è quell'angoscia di rimpianto che, a chi passa precario per un luogo, dà la stabile vita degli altri in quel luogo, una vita intraveduta e assaporata per un momento, così intensamente, che tutta l'anima per sempre se ne impregna e nel ricordo può tornare a viverla, a riassaporarla, a chiudersi in essa, come se fuori più non ci fossero le tante vicende di prima e di poi, le incertezze e le difficoltà del cammino, i desiderii, i pensieri che non hanno requie!

Pirandello- Frammento di cronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della grande guerra europea
Vecchio 27-11-2015, 05:58   #15
Esperto
L'avatar di Josef K.
 

Le osservazioni e gli incontri di chi va attorno in silente solitudine sono al tempo stesso più sfumati e più netti di quelli dell'uomo socievole, i suoi pensieri sono più gravi, più bizzarri, e mai esenti da un'ombra di tristezza.
Impressioni e immagini, che si potrebbero facilmente scrollar via con un'occhiata, un sorriso, uno scambio d'opinioni, lo preoccupano oltre misura, s'approfondiscono nel silenzio, diventano importanti, si trasformano in avventura, episodio, sentimento. La solitudine fa maturare l'originalità, la bellezza strana e inquietante, la poesia. Ma genera anche il contrario, lo sproporzionato, l'assurdo e l'illecito.


Thomas Mann- Morte a Venezia
Vecchio 27-11-2015, 06:22   #16
Esperto
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Ringraziamenti da
Lilhium (27-11-2015)
Vecchio 27-11-2015, 10:48   #17
Esperto
L'avatar di Varano
 

Sommario di decomposizione

Ma dov'è l'antidoto alla disperazione chiara,
infinitamente articolata, fiera e sicura? Tutti gli esseri sono
infelici; ma quanti lo sanno? La coscienza dell'infelicità è una
malattia troppo grave per figurare in un'aritmetica delle
agonie o nei registri dell'Incurabile. Essa sminuisce il
prestigio dell'inferno e trasforma i mattatoi dei tempi in idilli.
Quale peccato hai commesso per nascere, quale colpa per
esistere? Il tuo dolore, al pari del tuo destino, è senza motivo.
Soffrire davvero significa accettare l'invasione dei mali senza
la scusa della causalità, come un favore della natura demente,
come un miracolo negativo...
Nella frase del Tempo gli uomini si inseriscono come le
virgole, mentre tu, per arrestarlo, ti sei immobilizzato in
punto.


Dove andare, quando non si può più vivere se non
nella città pur non avendone gli istinti, e quando non si è né
tanto intraprendenti da mendicare né tanto equilibrati da
dedicarsi alla saggezza?
Ringraziamenti da
Lilhium (27-11-2015)
Vecchio 27-11-2015, 14:56   #18
Intermedio
 

Depersonalizzazione.

Mi rendo conto di (ri)presentare un autore conosciuto, ma mi piacerebbe offrire a coloro che non l'avessero già scoperta per proprio conto, la galleria (suppongo) più completa online delle opere di Giger.

http://www.art-wallpaper.net/galleri...iger/index.htm

(Chissà come si chiama quel disturbo che impedisce al soggetto di percepire un proprio arto come, appunto, proprio. Non credo si tratti propriamente -perdonate le ripetizioni - di depersonalizzazione... Comunque, anche questo potrebbe essere riscontrato nei lavori dell'autore.)

Segnalo anche L'arcobaleno della Gravità, di Pychon. Vi sono trattati diversi disturbi, a cominciare dalla paranoia.
Vecchio 27-11-2015, 15:02   #19
Esperto
L'avatar di feaanor
 

Bellissimo topic.
Propongo il quadro di Edward Hopper "i nottambuli" che rappresenta la solitudine dell'uomo moderno. Ogni tanto girando per strada, anche quando sono in compagnia, mi capita di fermarmi un attimo e percepire la lontananza delle altre persone, che pure sono là a pochi passi da me.
http://www.arteworld.it/wp-content/u...hawks-1942.jpg

Da notare l'abilità di Hopper: prima lo sguardo è attratto dalle figure sedute al bar, poi ci si rende conto che c'è una vetrata tra noi e loro e lo sguardo viene naturalmente "respinto" all'esterno, dove c'è un incrocio anonimo di una strada anonima. Sublime.

Ultima modifica di feaanor; 27-11-2015 a 15:14.
Ringraziamenti da
Josef K. (27-11-2015), minunmaailmass (27-11-2015), Vale90 (28-11-2015), Varano (27-11-2015)
Vecchio 27-11-2015, 15:39   #20
Esperto
L'avatar di Varano
 

Quote:
Originariamente inviata da Lilhium Visualizza il messaggio
Depersonalizzazione.


(Chissà come si chiama quel disturbo che impedisce al soggetto di percepire un proprio arto come, appunto, proprio. Non credo si tratti propriamente -perdonate le ripetizioni - di depersonalizzazione... Comunque, anche questo potrebbe essere riscontrato nei lavori dell'autore.)
Autore suggestivo . Non so perché mi è venuto in mente questo passo della Nausea di Sartre
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