Arnaud D’Argembeau e i suoi colleghi hanno condotto un’esperimento così concepito: 17 fobici sociali e 17 individui sani sono stati invitati a ricordare la propria esperienza soggettiva di 2 eventi “sociali” (uno negativo e uno positivo) e di 2 eventi “non sociali” (uno negativo e uno positivo) avvenuti nell’ultimo anno.
Nel primo caso è stato verificato che le esperienze soggettive presenti nel ricordo dei soggetti fobici avevano delle precise caratteristiche: contenevano minori dettagli sensoriali, ma un maggior numero di informazioni autoreferenziali.
I soggetti fobici sembrano ricordare gli eventi sociali (sia quelli positivi che quelli negativi) come se fossero osservatori esterni di se stessi, come se si vedessero dal di fuori. Ricordano con più vividezza i propri pensieri, i propri comportamenti e non quelli di coloro con cui stavano interagendo.
Al contrario, nel ricordo di eventi non sociali (sia positivi che negativi) le caratteristiche fenomenologiche e soggettive del ricordo non erano differenti da un gruppo all’altro.
E’ possibile ipotizzare che, come nella memoria autobiografica, anche nel qui ed ora del vivere, il soggetto fobico focalizzi la sua attenzione su sé stesso come se si stesse guardando da fuori e che per questo motivo venga assalito da irragionevoli preoccupazioni su come “appare agli altri”.
Una tale ansia da osservazione altrui lo porta effettivamente ad arrossire, a tremare e a balbettare innescando un processo inarrestabile di anticipazioni e conferme, il famoso circolo vizioso.
La continuativa codifica di tali informazioni autoreferenziali nel corso della vita del soggetto ne consolida la struttura a livello cognitivo impedendo al soggetto di liberarsene.
E’ qui che uno psicoterapeuta cognitivo-comportamentale può dare una mano: aiutando il paziente a prendere consapevolezza della sua eccessiva introcezione, incoraggiandolo a ricordare le sue esperienze sociali in una maniera più bilanciata, focalizzandosi meno su se stesso e di più sugli altri e sui loro comportamenti.
Questo aiuta il paziente a reinterpretare e a riplasmare il suo ricordo e a predisporsi a un nuovo appuntamento sociale con minori aspettative negative.
In poche parole gli si insegna a non avere più paura degli "occhi degli altri", abituando alla pigrizia e, in fondo, all'indulgenza il proprio occhio "esterno".