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Vecchio 12-12-2015, 17:46   #1
Esperto
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Raccontare è una presa di posizione attorno a noi e alla vita. Presuppone una scelta di campo, alla quale è impossibile sottrarsi per illustrare un fatto, una riflessione, un sentimento: l'adozione di un punto di vista. Il punto di vista è la prima e irrinunciabile ideologia che guida quelli che abbiano qualcosa di cui parlare, e non solo; nella coscienza è il punto di vista, come soggettività e suo abito, come abitudine, come fine che è anche meta di quanto è nella nostra capacità percepire. Il punto di vista di una lettera è quella che la precede ma anche la successiva; i periodi adottano un punto di vista trasversale, che passa per quanto la volontà rappresentativa dell'autore abbia collocato entro un certo orizzonte, nell'atmosfera soffusa e stanca del suo studio, all'occhieggiare di finestre che scandiscono il tempo, e arriva nelle coscienze altrui, e lì muore o si insidia come il virus adottato dal sangue. Poi c'è l'uomo comune, ci sono io. C'è il mio punto di vista: una finestra su una striscia di terra, il rettangolo di un cielo, la simmetria liscia di tre pareti che scorrono verso l'alto e verso il basso contro il mio sguardo carezzevole; perché questo è il mio mondo, e devo averne cura.

Ultima modifica di Josef K.; 12-12-2015 a 18:39.
Vecchio 12-12-2015, 18:02   #2
Esperto
 

Forse dovresti prendere in considerazione l'idea di scrivere un libro, un romanzo o un saggio, perché scrivi bene
Ringraziamenti da
Josef K. (12-12-2015)
Vecchio 12-12-2015, 18:05   #3
Esperto
L'avatar di Josef K.
 

Me ne stavo un giorno su una spiaggia, una comunissima spiaggia di fine estate, nell'aria e nell'acqua una corrente di desideri insoddisfatti e di attese trascorse. Ascoltavo una vecchia canzone che non diceva nulla di speciale, su un uomo nato un secolo prima, vissuto e morto nella dimenticanza di sé legata ai tempi, al caso e all'indifferenza. L'autore ne parlava con evidente affetto, si sentiva nella voce che quello era il suo personalissimo modo di ricordare una persona speciale, forse il padre o magari suo nonno. Era sì una realtà individuale, ma aveva pur in sé qualcosa di storico e collettivo, come accade per il fatto che riposa in un articolo di giornale e quando leggi torna a vivere, e ti colpisce come stesse accadendo in quel momento. Non si trattava semplicemente di una mia impressione o dell'eco di una qualche malinconia, ci avrei giurato; era il modo stesso del disporsi delle parole, l'esattezza così naturale che risponde ad una logica precisa ma indischiusa, simile a quella che guida il vento nello scolpire un volto nella pietra. E di fronte a questa ostinazione, quella della morte che ha scolpito tutti, e ci vedrà coperti di terra e putridi e poi ossa e polvere nelle viscere della Terra che invecchia e che un giorno morirà; all'idea di quell'uomo che cercava di trattenere alla vita in una canzone quest'altro uomo, padre, nonno o quel che fosse - sospesi entrambi in una giornata di fine agosto, nei pensieri di un tizio comune qualsiasi, cioè io - non ce l'ho fatta più, ed ho pianto. Ma erano lacrime false, perché speravo che mi assolvessero dalla mia indifferenza per il mondo, quello vero, fatto della gente attorno a me, di chi mi vuole bene, e piangere me negli altri mi riusciva così fresco e naturale. "Tu non stai soffrendo veramente", mi avrebbe detto il taglio preciso dell'orizzonte sul pelo dell'acqua; e il mio riflesso sulla superficie, nel quale mi setacciavo - seppur in modo del tutto automatico - nella speranza di trovare qualcosa che fosse degno di ammirazione, anche solo un briciolo di bellezza, lo confermava. Era tutta qui la mia sensibilità, la mia partecipazione alle sorti degli altri, al destino comune che ci lega ai nostri limiti? Una ricerca di bellezza e di scopo. Il bambino che sorride nello specchio perché ha un vestito nuovo, e chiede al mondo cosa offra in cambio alla sua voglia di vivere.

Ultima modifica di Josef K.; 12-12-2015 a 18:44.
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