Me ne stavo un giorno su una spiaggia, una comunissima spiaggia di fine estate, nell'aria e nell'acqua una corrente di desideri insoddisfatti e di attese trascorse. Ascoltavo una vecchia canzone che non diceva nulla di speciale, su un uomo nato un secolo prima, vissuto e morto nella dimenticanza di sé legata ai tempi, al caso e all'indifferenza. L'autore ne parlava con evidente affetto, si sentiva nella voce che quello era il suo personalissimo modo di ricordare una persona speciale, forse il padre o magari suo nonno. Era sì una realtà individuale, ma aveva pur in sé qualcosa di storico e collettivo, come accade per il fatto che riposa in un articolo di giornale e quando leggi torna a vivere, e ti colpisce come stesse accadendo in quel momento. Non si trattava semplicemente di una mia impressione o dell'eco di una qualche malinconia, ci avrei giurato; era il modo stesso del disporsi delle parole, l'esattezza così naturale che risponde ad una logica precisa ma indischiusa, simile a quella che guida il vento nello scolpire un volto nella pietra. E di fronte a questa ostinazione, quella della morte che ha scolpito tutti, e ci vedrà coperti di terra e putridi e poi ossa e polvere nelle viscere della Terra che invecchia e che un giorno morirà; all'idea di quell'uomo che cercava di trattenere alla vita in una canzone quest'altro uomo, padre, nonno o quel che fosse - sospesi entrambi in una giornata di fine agosto, nei pensieri di un tizio comune qualsiasi, cioè io - non ce l'ho fatta più, ed ho pianto. Ma erano lacrime false, perché speravo che mi assolvessero dalla mia indifferenza per il mondo, quello vero, fatto della gente attorno a me, di chi mi vuole bene, e piangere me negli altri mi riusciva così fresco e naturale. "Tu non stai soffrendo veramente", mi avrebbe detto il taglio preciso dell'orizzonte sul pelo dell'acqua; e il mio riflesso sulla superficie, nel quale mi setacciavo - seppur in modo del tutto automatico - nella speranza di trovare qualcosa che fosse degno di ammirazione, anche solo un briciolo di bellezza, lo confermava. Era tutta qui la mia sensibilità, la mia partecipazione alle sorti degli altri, al destino comune che ci lega ai nostri limiti? Una ricerca di bellezza e di scopo. Il bambino che sorride nello specchio perché ha un vestito nuovo, e chiede al mondo cosa offra in cambio alla sua voglia di vivere.
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