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Vecchio 28-11-2007, 07:22   #1
Principiante
L'avatar di quasar
 

Ciao a tutti,
sono un recente utente e proprio questa sera ho realizzato che la mia esperienza rientra in una casistica diffusa che prende il nome di fobia sociale,o perlomeno è possibile definire una molteplicità di esperienze uniche e differenti tra loro secondo alcuni macro parametri di un certo tipo di disagio.
Preciso che ciononostante non ritengo sia il caso di dovermi ritenere afflitto da Fobia Sociale,inteso come fenomeno di deviazione o disagio psichico scientificamente identificato,e credo che nessuno di voi debba commettere questo errore:la malattia inizia a sussistere quando ha un nome di cui iniziamo a riconoscerne e accettarne esistenza e significato.
questo astratto e semplice gesto che avviene nei nostri pensieri e nella nostra coscienza,l'accettazione,dà origine a una serie di conseguenze,tra cui il sentirsi parte di una minoranza passiva e differente,fatalmente sottomessa alla realtà ultima di un destino spietato.(..aaahhhahmmm,sono affetto da fobia sociale....e ora cosa faccioum?....)

Non mi unisco a tutti voi altri utenti nell'ottica del lebbroso esule dalla città dei sani e robusti che arranca stancamente per le campagne giungendo alle porte della città dei suoi simili,anzi sono ben contento che tanti altri come me condividono un certo modo di concepire la realtà e ad essa reagiscono con una continuità perfettamente razionale(dove per razionale intendo ciò che è lecito dedurre dalle esperienze in funzione di ciò che ognuno di noi crede,non ciò che ognuno di noi DEVE credere)
Contento quindi perchè,guarda caso,proprio a livello SOCIALE,mi trovo a poter discutere con chi può capire perchè SA di cosa parlo,e questo RAFFORZA la coscienza di chi ne fa parte,una comunità(facile rischio di scadere in un'idea di ghettizzazione,ma se essa sussiste è solo per via della prevaricazione che caratterizza gran parte degli altrui atteggiamenti con cui mi misuro, e che a mio modo restituisco)


1.secondo me è questione di ESPERIENZA e SENSIBILITA' di una persona.
l'esperienza(le cui dinamiche non possiamo sottomettere allanostra volontà,se non fino a un certo punto) determina l'evoluzione della sensibilità di una persona,la influenza profondamente,e quest'ultima determina man mano l'aspetto delle esperienze a venire.
Sensibilità questa che io ritengo MAGGIORE rispetto al dosaggio consigliato dal dottore di una ipotetica NORMAlità,ma dettata da esperienze,quindi LEGITTIMA.

2.il disagio di cui si va lamentandosi un pò ovunque in questo portale si manifesta nel confronto sociale,un conflitto(e filosoficamente il confronto lo è,a riprova della spiccata sensibilità di chi lo concepisce...) che ,esauritosi,vediamo bene di portarci diligentemente appresso anche a casa da smaltire in solitudine come postumo di una cara vecchia sbronza.
E' un disagio che viviamo come vittime,che concepiamo UNILATERALMENTE,che assumiamo nel suo senso comune,guarda caso quello di studiosi/scienziati/intellettuali della mente che NON possono definire questo stato d'esistenza e di pensiero se non in funzione di un contesto sociale estraneo a questo fenomeno(e che magari ne è causa),coesistente e indipendente da esso e che soprattutto DEVE funzionare:in altre parole il vittimismo sta nell'accettare che il MIO caso sia territorializzato in un contesto semantico imposto dall'esterno(vi prego,non odiatemi per il linguaggio che uso...)accettiamo una definizione alle nostre condizioni d'esistenza imposta dall'esterno,una definizione che dobbiamo invece darci da noi,il cosiddetto diritto all'AUTODETERMINAZIONE: io so che cosa vivo,io so cosa significa per me assistere a determinate situazioni del reale,io conosco il mio punto di vista,io devo dirti cosa ho,cosa provo,CHI SONO:TU (causa)DEVI dirmi cosa hai fatto perchè tutto questo fosse possibile.


Mi scuso preventivamente se mi sono arrogato il diritto di parlare usando il NOI,ma l'ho fatto con l'intenzione di rivolgermi esplicitamente a tutti coloro che in diverse misure spinti(fuori) dalla vita si sono raccolti in questo portale mogi mogi con la coda tra le gambe.
Così mi scuso anche per il lessico utilizzato,forse non proprio immediato(leggete gilles deleuze e felix guattari a proposito di schizofrenia e desiderio,ne vale la pena)

PSn1:leggendo alcuni topic mi ha colpito la straordinaria correttezza con cui gli utenti di questo sito si confrontano,anche quando ravvisano opinioni diverse c'è un attenzione stupenda al non urtare la sensibilità dell'altro...è enormemente significativo.

PS2:ho 25 anni,un percorso universitario mutilato(uhhh che brutta espressione) in attesa di trapianto,una tendenza all'isolamento che si acuisce progressivamente nl tempo,se non sempre a livello di esperienza, sempre e cmq a livello di COSCIENZA(inesorabilmente)
Ho intenzione di risolvere questa cosa solo se la proposta della mente supera la prova del cuore,così superfluo per avere tanti conoscenti.

Un abbraccio a tutti,

Attendo vostre risposte.
Vecchio 28-11-2007, 13:27   #2
Esperto
L'avatar di Vento_del_Sud
 

Innanzitutto ciao e benvenuto quasar!
Butto giù qualche idea che mi è sopraggiunta dopo la non agevole lettura del tuo topic...
Io non credo che questo forum sia una sorta di ghetto, un refugium peccatorum dove tutti sono accomunati da una medesima caratteristica che li rende inequivocabilmente diversi dagli altri...Ho imparato a mie spese che le generalizzazioni, le categorie rigide di definizione del comportamento umano non esistono, ma la realtà è infinitamente complessa e variegata, e soprattutto è impossibile definire un concetto univoco di normalità...Penso che ognuno di noi qui abbia una sua vita, un contesto sociale in cui agisce per cui, seppure percepisca una diversità, sarà portato a tutelare i suoi diritti, a portare acqua al suo mulino, etc...Il vittimismo per me nasce quando (erroneamente) aspettiamo che qualcun'altro, senza giudicarci, comprenda la nostra situazione ma questo è difficile che avvenga perchè gli altri, a loro volta, sono inseriti in un loro contesto, hanno i loro problemi, ma, se ho ben capito il tuo pensiero, concordo anch'io sul fatto che esiste una società molto forte che, con i suoi valori, determina le gerarchie del successo e dell'insuccesso
Vecchio 29-11-2007, 04:09   #3
Principiante
L'avatar di quasar
 

Ti ringrazio per essere intervenuto,

quando ho menzionato la ghettizzazione non volevo riferirmi al portale in sè,ma all'atteggiamento di fondo che traspare ,inevitabilmente,certo,dalle parole che aprono i diversi topic,si respira ovunque la sofferenza e il dolore di aver perso(definitivamente) una sfida con se stessi,o del disperato bisogno di voler vincere una guerra senza fine.

Tutto questo è vero,
tutto questo succede.


Nondimeno però il portale è in sè un bacino collettore per tutti coloro che vivono questa esperienza ,nelle sue molteplici forme e sfumature,e sono convinto che gran parte degli utenti ritiene di esser maggiormente compresa/o dai frequentatori senza volto di questa virtuale babele delle solitudini ,piuttosto che dalla maggiorparte delle persone che incontra nella vita di tutti i giorni.

anche questo (almeno per me )è vero.

Una differenza in effetti c'è;una distinzione,a prescindere dalle differenze particolari,la propria coscienza (soggetto)la elabora per riassumere la problematica di questo inquieto vivere.

L'ennesima sconfitta ha lo stesso sapore di tante altre,scenari confusi e confondibili in quanto riconducibili ad uno stesso modello di situazione che poco pare intenzionato a concedersi qualche diversivo:la mediocrità di tante persone insensibili e avide di prevaricazione azzera le singole differenze individuali di questi,perchè è su questa barriera che impattiamo ogni volta come volatili su finestre a specchio,perchè èquesto che li uniforma.(effettivamente anche a me spaventa una categorizzazione così imponente,potessi negarla...)
penso ognuno di noi inevitabilmente autorizzi una categorizzazione delle persone,chi merita di essere considerato individualmente è colui ch eper sua natura ha intessuto con noi un rapporto fondato sulla propria individualità,mettendo la propria solitudine a confronto.

la differenza profonda che intuisco sta nel concepire il tessere rapporti sociali,in termini di qualità più che di quantità, e critico,denotandolo come vittimismo,l'atteggiamento di riprovazione morale che abbiamo con noi stessi quando il contesto in cui le nostre esistenze si consumano funziona con tutt'altra logica.

Vedo quella che tutti qui riconosciamo come debolezza una forza del cui significato non ci siamo mai interrogati .
Vecchio 29-11-2007, 18:37   #4
Esperto
L'avatar di Vento_del_Sud
 

Quote:
Originariamente inviata da quasar
la differenza profonda che intuisco sta nel concepire il tessere rapporti sociali,in termini di qualità più che di quantità, e critico,denotandolo come vittimismo,l'atteggiamento di riprovazione morale che abbiamo con noi stessi quando il contesto in cui le nostre esistenze si consumano funziona con tutt'altra logica.
Questa differenza di cui tu parli per me nasce dall'assenza, o perlomeno dall'enorme carenza di rapporti sociali che abbiamo sperimentato nel cammin di nostra vita: questo vuoto fa sì che poi ci creiamo un modello ideale, quasi perfetto di amicizia (o anche di amore, perchè no) che inevitabilmente si scontra con la realtà concreta di cui facciamo parte.
Io però sarei più cauto nel definire questa situazione come una forza perchè, come scrivi anche tu, può essere compresa solo da chi vive nelle stesse condizioni.L'uomo, per sua natura, è un animale sociale che non può rinchiudersi a vita nella sua torre d'avorio: se riscontra una non-comprensione da parte della massa, cosa che a tanti altri non succede, evidentemente il problema è in lui, non negli altri. Certo, questa sensibilità del tutto particolare può essere messa ottimamente a frutto nelle arti come la musica o la letteratura (Leopardi e Pavese, ad esempio) ma ciò che conta alla fine non è la soddisfazione postuma, ma quella terrena, da realizzarsi nell'amicizia e nell'amore (è sempre una mia personalissima opinione!)

P.S.: non so se te ne sei già accorto, ma molti utenti si sono incontrati "dal vivo"...chissà che prima o poi non capiti un raduno anche nella tua città!
Vecchio 30-11-2007, 03:32   #5
Principiante
L'avatar di quasar
 

Quello che dici apre a infinite altre questioni:

sicuramente l'esperienza detta il significato con cui noi ora rivestiamo la situazione attuale,cosìccome se ci consideriamo sociali (non più di quanto lo debbano essere gli animali,del resto:forse siamo animali verbali e dissociati) è logico concludere che il problema siamo noi per una schiacciante proporzione uno/totalità .

Ma cosa detta il reale significato di alcuni apetti dell'esperienza a cui devo credere?
posto che sono io il problema,desidero comprendere il motivoper cui tutto questo succede e stabilendo una continuità con il mio pensiero precedente realizzare qual è il mio errore.comprenderlo.
Ma deve essere una spiegazione che viene da di dentro,non sganciata dall'aereo umanitario del senso comune.
Non posso obbedire ciecamente a quello che altrimenti sarebbe un dogma:se gli altri sono così,non è giusto che io sia cosà.

quanto la mia esperienza singola deve essere messa in questione dall'esperienza di un esercito di persone?
Vecchio 30-11-2007, 17:15   #6
Esperto
L'avatar di Vento_del_Sud
 

Quote:
Originariamente inviata da quasar
Ma cosa detta il reale significato di alcuni apetti dell'esperienza a cui devo credere?
posto che sono io il problema,desidero comprendere il motivoper cui tutto questo succede e stabilendo una continuità con il mio pensiero precedente realizzare qual è il mio errore.comprenderlo.
Ma deve essere una spiegazione che viene da di dentro,non sganciata dall'aereo umanitario del senso comune.
Non posso obbedire ciecamente a quello che altrimenti sarebbe un dogma:se gli altri sono così,non è giusto che io sia cosà.

quanto la mia esperienza singola deve essere messa in questione dall'esperienza di un esercito di persone?
Questa è ormai una discussione di filosofia pura…
Anche tu poni delle belle questioni…Se cerchi una spiegazione che venga dal di dentro, provo ad esprimere ciò che penso io…Io credo che tutti gli uomini posseggano dei desideri, delle aspirazioni comuni, come essere felici, essere sani, essere toccati il meno possibile dalle malvagità e, soprattutto, riuscire un giorno a formarsi una famiglia, avere dei figli…Questa è la struttura base dell’umanità…Poi, ovviamente, ci sono le “sovrastrutture”, come la nazione d’appartenenza, l’organizzazione del lavoro, il denaro, le ideologie politiche (escludo la religione da questo elenco) etc…Ritornando alla questione che poni tu, se io vedo che il raggiungimento delle legittime aspirazioni dell’uomo è veicolato da certe forme di rapporti fra i sessi, di organizzazione del divertimento, chiaramente sarò meno propenso ad etichettarle come concentrato di insensibilità e di avidità…Proprio perché non vedo quali siano altri modi per realizzare i miei desideri più profondi…Certo, alcuni ambienti saranno più “totalizzanti” di altri (ad esempio, le discoteche), bisogna scegliersi gli ambienti giusti, ma in ogni caso una mossa bisogna darsela da sé…Ma questa è un’altra storia
In definitiva non penso che calarsi nella vita sociale sia un atto di “obbedienza”, se è una cosa che nasce dalla profondità dell’animo umano
Vecchio 01-12-2007, 02:42   #7
Esperto
L'avatar di muttley
 

Interessante il concetto del percepire se stessi come vittime e dell'unilateralità del disagio. Tante volte, ripensando al mio passato e a tutte quelle situazioni in cui mi sono sentito ingiustamente attaccato, provo a immedesimarmi nello stato mentale del mio "aggressore". Procedo dunque con il domandarmi se quella persona in quel dato momento si autoqualificava come il "carnefice" dato che io ero la "vittima". Semplicemente certe persone hanno un modo particolare di interfacciarsi col prossimo, un modo che contempla sovente un atteggiamento che gli ipersensibili potrebbero percepire come scorretto, indelicato e, appunto, aggressore. E se invece codesti carnefici stessero soltanto palesando la loro più intima natura sociale senza alcun intento "persecutorio" e derisore? Siamo noi probabilmente, con la nostra debolezza caratteriale, a trasformare un normale atteggiamento in uno spietato attacco all'arma bianca.
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