Visualizza i risultati del sondaggio: Ti riconosci più in Smurov, Amélie o Bartleby?
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Smurov
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9 |
25.00% |
Amélie
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21 |
58.33% |
Bartleby
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6 |
16.67% |
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29-07-2011, 09:45
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#1
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Esperto
Qui dal: Nov 2008
Ubicazione: Jupiter and Beyond the Infinite
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Smurov o del sé estraneo. Smurov è il personaggio di un romanzo breve di Nabokov: è una "spia", un emigrato nella Berlino del periodo della rivoluzione russa; è un uomo inconsistente, sembra un fantasma. Esistono evitanti, come Smurov, capaci di assumere un atteggiamento di estraneità nei rapporti e di viverli con doloroso distacco ma apparente indifferenza. Tali soggetti sono incapaci di avere una buona rappresentazione della mente altrui ed hanno difficoltà a riconoscere i propri pensieri, emozioni, sensazioni quando vivono le relazioni interpersonali. Gli altri li osservano a loro volta o entrano in contatto con molta diffidenza, colpiti dalla sensazione di distacco che emanano. Ma l'evitante non coglie negli altri questa difficoltà, piuttosto deduce una conferma all'impossibilità di vivere una vita relazionale; si crede allontanato dagli altri e lui per primo si distacca. La sua diversità diventa un'evidenza provata. Il deficit metarappresentativo è fondamentale nell'evitante/Smurov: i fallimenti nel monitoraggio non aiutano a capire che è il proprio impaccio, misconosciuto, che peggiora la relazione con gli altri, inducendo cicli interpersonali di distanziamento reciproco. Il modo di padroneggiare il distacco è la ricerca del sollievo attraverso l'allontanamento e la ricerca della solitudine. Questa dinamica è spesso favorita ed accompagnata dalla mancanza di abilità sociali, dovuta alla mancanza di esperienza nel vivere e comunicare insieme agli altri, ma, principalmente, è collegata ai fallimenti metarappresentazionali legati alla comunicazione: Smurov non comprende di cosa parlano gli altri e non sa interagire. La solitudine è la soluzione apparente ai problemi di estraneità/distacco (che sono quelli predominanti in questo tipo, ndr), ma solo parzialmente e per un periodo di tempo limitato. Infatti, lo spazio mentale della solitudine l'evitante lo colma di attività mentali (fantasticherie, rimuginii) che corrispondono a immagini di realtà possibili o sostitutive della dolorosa evidenza; altre volte si dedica a coltivare attività o interesse en solitaire, quali estenuanti pomeriggi a vedere film o a dedicarsi alla raccolta di oggetti, libri, ecc. Questo, però, nel tempo non solo perde il significato piacevole che aveva inizialmente, ma conferma la diversità ed estraneità da realtà sociali e relazionali vissute con gli altri, riportandolo alla sensazione di impossibilità a condividere o ad appartenere. A questo punto l'evitante Smurov cade in depressione. Smurov, verso la fine del romanzo, ci appare per quello che è: diafano, inconsistente, capace solo di vivere rappresentandosi personaggi a lui vicini senza incarnarli veramente, ci chiediamo quasi che testimonianza o traccia ha lasciato.
Amélie o del sé inadeguato. Amélie è una ragazza introversa, sensibile, attenta agli altri. Incapace di comunicare per imbarazzo e facilità alla vergogna, tende a fantasticare e a rimanere sola, limita i rapporti con gli altri allo stretto necessario. La sua difficoltà risiede nella necessità, per stare con altre persone, di superare vari ostacoli. Spesso il punto di partenza riguarda l'autoimmagine di inadeguatezza che li porta a sentirsi esclusi dagli altri. Le prove ricevute anche in età infantile fissano ricordi di episodi relazionali legate ad esperienza di umiliazione e rifiuto. Questo atteggiamento già di per sé allontana l'evitante dall'avere rapporti ravvicinati. Il tipico dilemma è tra il desiderio di avere relazioni umane e la difficoltà ad avviarle o, peggio, approfondire. Quando questo avviene lo stato psicologico sarà di timore di perdita di controllo, impaccio o ansia, e timore di vedere concretizzata la propria e definitiva esclusione da parte degli altri. La situazione sentimentale non potrà che ricalcare questo schema, magari intrisa di maggiore sofferenza emotiva. In una scena del film Amélie riesce, dopo rocambolesche vicende, a dare un appuntamento (tramite delle comunicazioni scritte) a un ragazzo che l'ha colpita. Quando finalmente lui si presenta nel bistrot dove lei lavora da cameriera, Amélie, emozionata allo spasimo, nega di essere la ragazza che ha mandato i bigliettini, nega di essere se stessa. Il vetro che la separa dal ragazzo ben rappresenta la barriera che li divide: lui da una parte la guarda e le chiede delle cose. Lei dall'altra parte, in silenzio, abbassa lo sguardo per evitare di rispondergli e finge di essere impegnata nel proprio lavoro, sfuggente ed impacciata. Questi incontri desiderati e poi mancati provocano sentimenti di vuoto e di solitudine dolorosi. L'uso di sostanza o alcool può essere un tentativo di alleviare tale dolore ma allo stesso tempo una conferma della propria debolezza. Altre volte la fantasia porta ad immaginare scene opposte dove l'evitante, pieno di iniziativa, realizza incontri fruttuosi; nella realtà l'evitante per viverle deve entrare nello stato di rivalsa narcisistica, sentendosi potente, capace di tutto e sprezzante. Entrambe le soluzioni ai problemi relazionali non durano più di tanto: l'evitante permane in una sensazione di non appartenenza/esclusione e di incapacità ad avere relazioni intime, e questo gli conferma la propria inadeguatezza e la condizione di chi vive una vita assumendo una prospettiva di osservatore piuttosto che di attore della propria esistenza. L'elemento centrale nel mantenimento del disturbo è il ciclo di inadeguatezza/rifiuto (ndr). I disturbi di questi evitanti, così come le dinamiche descritte, sono anche qui favoriti da alcuni fallimenti metarappresentazionali: l'evitante è fortemente autocentrato nel monitorare i propri stati interni, soprattutto nell'identificare le emozioni di ansia e imbarazzo e nel cercare di padroneggiarle (deficit di decentramento). L'evitante cerca solo smentite della propria inadeguatezza che sistematicamente non ottiene. A causa di questo si allontana dalle relazioni. Le abilità sociali, che pure esistono, sono fortemente inibite dall'evitamento sociale e dal rifuggire le situazioni relazionali. L'evitante saprebbe raccontare al suo diario i propri sentimenti, ma non comunicare a parole la dolorosa difficoltà del vivere con gli altri.
Bartleby o del sé costretto. Talvolta gli evitanti sono in situazioni relazionali o sociali avviate da anni in cui però mantengono una posizione distaccata o di parziale coinvolgimento. La presenza degli altri, che pure è utile nel formulare decisioni o essere presenti nel mondo sociale (soprattutto del lavoro), è vissuta come un'ingerenza da cui proteggersi. Ci aiuta il protagonista del romanzo di Melville, Bartleby lo scrivano. Bartleby è uno scrivano newyorkese assunto da un famoso avvocato; è dedito al lavoro, solitario, silenzioso, non ha interessi o vizi particolati, vive nell'ufficio dove lavora, non dà informazioni su di sé di nessun tipo; ma soprattutto, se sollecitato a prendere un'iniziativa o a fornire informazioni personali, risponde sempre: "Preferirei di no". La presenza degli altri, le regole e le incombenze della vita sociale diventano un obbligo da cui difendersi. Vive questa coercizione con rabbia e senso di ingiustizia alla quale ribellarsi. Bartleby rifiuterà di muoversi anche quando l'ufficio verrà smantellato. Le forze dell'ordine lo inviteranno a sgomberare. "Preferirei di no", risponde. Finisce in carcere. L'evitamento ha a questo punto lo scopo duplice di sottrarsi da tale peso ma anche di proteggersi da eventuali rischi di una reazione rabbiosa. Il sottrarsi rabbiosamente, se avviene, ha inoltre il risultato di sottoporlo al giudizio degli altri, aumentandone il senso di esclusione e di inadeguatezza. Bartleby rappresenta una metaofora della possibile mediazione che alcuni evitanti tentano con la vita sociale: non con te ma nemmeno senza di te. Finché la nicchia ecologica che l'evitante si scava rimane in piedi, egli vive in un precario equilibrio che non permette a nessuno di cambiare. L'esito è però il senso di solitudine e noia, le relazioni mancano di fornire stimoli e vitalità. In questo tipo è predominante il ciclo di costrizione/evitamento: adeguandosi al contesto, lo subiranno e, sentendo gli altri costrittivi, si allontaneranno dalla relazione. L'altro, a sua volta ferito dal mancato coinvolgimento nella relazione, giudicherà negativamente o aumenterà le richieste che accresceranno nell'evitante il senso di costrizione e la tendenza alla rottura della relazione.
(tratto da I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali)
In quale di questi tre tipi vi ritrovate maggiormente?
Potete rispondere anche se non siete Evitanti ma solo Timidi, visto che in fondo ogni Timido che si rispetti è almeno un po' evitante . Vabbè, insomma, le dinamiche sono abbastanza analoghe.
Nel testo dove ho trovato questo brano, ci sono anche gli schemi dei tre tipi, se ho voglia poi magari li scannerizzo e li posto.
EDIT cmq mi sono dimenticato di mettere la spunta per inserire il sondaggio non anonimo... -_-
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Ultima modifica di Moonwatcher; 25-01-2012 a 16:55.
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29-07-2011, 11:17
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#2
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Esperto
Qui dal: Nov 2008
Ubicazione: Jupiter and Beyond the Infinite
Messaggi: 19,199
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Io invece mi sento una via di mezzo tra Smurov e Amélie, anche a seconda delle situazioni e dei contesti.
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29-07-2011, 11:40
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#3
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Esperto
Qui dal: Apr 2011
Messaggi: 1,068
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Decisamente Amélie.
Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
ragazza introversa, sensibile, attenta agli altri. [...] imbarazzo e facilità alla vergogna, tende a fantasticare e a rimanere sola, limita i rapporti con gli altri allo stretto necessario. La sua difficoltà risiede nella necessità, per stare con altre persone, di superare vari ostacoli.
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
[...] l'autoimmagine di inadeguatezza che li porta a sentirsi esclusi dagli altri. Le prove ricevute anche in età infantile fissano ricordi di episodi relazionali legate ad esperienza di umiliazione e rifiuto.
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Mi succede spesso prima di un incontro con persone nuove di voler scappare via a gambe levate
Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
In una scena del film Amélie, riesce dopo rocambolesche vicende, a dare un appuntamento (tramite delle comunicazioni scritte) a un ragazzo che l'ha colpita. Quando finalmente lui si presenta nel bistrot dove lei lavora da cameriera, Amélie, emozionata allo spasimo, nega di essere la ragazza che ha mandato i bigliettini, nega di essere se stessa. Questi incontri desiderati e poi mancati provocano sentimenti di vuoto e di solitudine dolorosi.
Altre volte la fantasia porta ad immaginare scene opposte dove l'evitante, pieno di iniziativa, realizza incontri fruttuosi.
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Però non credo di avere il disturbo evitante di personalità, il mio è più un senso di disagio interiore caratterizzato da tutto quello citato sopra.
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Ultima modifica di nymphe; 29-07-2011 a 11:56.
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29-07-2011, 12:06
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#4
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Esperto
Qui dal: Apr 2011
Ubicazione: Lombardia
Messaggi: 836
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Non mi ritrovo precisamente in nessuno dei tre personaggi, diciamo piuttosto che sento di avere alcune caratteristiche di Amélie ed altre di Bartleby.
Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
Incapace di comunicare per imbarazzo e facilità alla vergogna, tende a fantasticare e a rimanere sola, limita i rapporti con gli altri allo stretto necessario.
Spesso il punto di partenza riguarda l'autoimmagine di inadeguatezza che li porta a sentirsi esclusi dagli altri. Questo atteggiamento già di per sé allontana l'evitante dall'avere rapporti ravvicinati. Il tipico dilemma è tra il desiderio di avere relazioni umane e la difficoltà ad avviarle o, peggio, approfondire.
L'evitante permane in una sensazione di non appartenenza/esclusione e di incapacità ad avere relazioni intime, e questo gli conferma la propria inadeguatezza e la condizione di chi vive una vita assumendo una prospettiva di osservatore piuttosto che di attore della propria esistenza.
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
dedito al lavoro, solitario, silenzioso, non ha interessi o vizi particolati, non dà informazioni su di sé di nessun tipo; ma soprattutto, se sollecitato a prendere un'iniziativa o a fornire informazioni personali, risponde sempre: "Preferirei di no". La presenza degli altri, le regole e le incombenze della vita sociale diventano un obbligo da cui difendersi. .
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29-07-2011, 12:09
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#5
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Esperto
Qui dal: Oct 2007
Messaggi: 6,117
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Ma questa Amélie sarebbe...? una tua amica? tua cuggina?
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29-07-2011, 12:12
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#6
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Esperto
Qui dal: Nov 2008
Ubicazione: Jupiter and Beyond the Infinite
Messaggi: 19,199
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Ah sì, giusto, non ho nemmeno specificato per lei perché ho dato per scontato che tutti conoscano il film Il favoloso mondo di Amélie.
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29-07-2011, 12:34
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#7
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Esperto
Qui dal: Oct 2007
Messaggi: 6,117
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Da Intro/Timido (ché evitante forse non ho chiarissimo cosa significhi), ho letto... Mah, non saprei, non mi identifico con nessuno di quei personaggi in particolare.
Per esempio, credo di avere una più che buona capacità di autoanalisi mentre Smurov, secondo chi scrive, avrebbe difficoltà ad esaminare e riconoscere le proprie emozioni.
Amélie ha solo sentimenti "buoni" verso il prossimo e scarica (psicologicamente) l'aggressività solo verso se stessa.
Mettere una di queste nelle mani di Amélie non sarebbe pericoloso; metterla in mano a me in certi frangenti potrebbe esserlo
Bartleby è il prototipo di evitante "integrato", e non credo di esserlo.
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Ultima modifica di Who_by_fire; 29-07-2011 a 12:37.
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29-07-2011, 12:59
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#8
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Banned
Qui dal: Jan 2010
Messaggi: 2,056
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
Nel testo dove ho trovato questo brano, ci sono anche gli schemi dei tre tipi, se ho voglia poi magari li scannerizzo e li posto.
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{{Citation needed}}
Cmq io sono abbastanza Amélie-tipo...
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29-07-2011, 13:13
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#9
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Esperto
Qui dal: Nov 2008
Ubicazione: Jupiter and Beyond the Infinite
Messaggi: 19,199
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Quote:
Originariamente inviata da anonimo
{{Citation needed}}
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Aggiunto.
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29-07-2011, 13:16
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#10
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Banned
Qui dal: Dec 2010
Messaggi: 2,132
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Interessante, finalmente un post coi controchezzi...
Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
Smurov o del sé estraneo. Gli altri li osservano a loro volta o entrano in contatto con molta diffidenza, colpiti dalla sensazione di distacco che emanano. Ma l'evitante non coglie negli altri questa difficoltà, piuttosto deduce una conferma all'impossibilità di vivere una vita relazionale; si crede allontanato dagli altri e lui per primo si distacca.
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Si, mi sento come se a volte "emani negatività"
Quote:
Amélie o del sé inadeguato. Spesso il punto di partenza riguarda l'autoimmagine di inadeguatezza che li porta a sentirsi esclusi dagli altri. Le prove ricevute anche in età infantile fissano ricordi di episodi relazionali legate ad esperienza di umiliazione e rifiuto.
Il tipico dilemma è tra il desiderio di avere relazioni umane e la difficoltà ad avviarle o, peggio, approfondire. Quando questo avviene lo stato psicologico sarà di timore di perdita di controllo, impaccio o ansia, e timore di vedere concretizzata la propria e definitva esclusione da parte degli altri.
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Le parti sottolineate, si si :/
Quote:
nella realtà l'evitante per viverle deve entrare nello stato di rivalsa narcisistica, sentendosi potente, capace di tutto e sprezzante.
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Mi è capitato di rado, ma mi è capitato :/
Quote:
Entrambe le soluzioni ai problemi relazionali non durano più di tanto: l'evitante permane in una sensazione di non appartenenza/esclusione e di incapacità ad avere relazioni intime, e questo gli conferma la propria inadeguatezza e la condizione di chi vive una vita assumendo una prospettiva di osservatore piuttosto che di attore della propria esistenza. L'elemento centrale nel mantenimento del disturbo è il ciclo di inadeguatezza/rifiuto (ndr). I disturbi di questi evitanti, così come le dinamiche descritte, sono anche qui favoriti da alcuni fallimenti metarappresentazionali: l'evitante è fortemente autocentrato nel monitorare i propri stati interni, soprattutto nell'identificare le emozioni di ansia e imbarazzo e nel cercare di padroneggiarle (deficit di decentramento). L'evitante cerca solo smentite della propria inadeguatezza che sistematicamente non ottiene. A causa di questo si allontana dalle relazioni. Le abilità sociali, che pure esistono, sono fortemente inibite dall'evitamento sociale e dal rifuggire le situazioni relazionali. L'evitante saprebbe raccontare al suo diario i propri sentimenti, ma non comunicare a parole la dolorosa difficoltà del vivere con gli altri.
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Quote:
Bartleby o del sé costretto. Talvolta gli evitanti sono in situazioni relazionali o sociali avviate da anni in cui però mantengono una posizione distaccata o di parziale coinvolgimento. La presenza degli altri, che pure è utile nel formulare decisioni o essere presenti nel mondo sociale (soprattutto del lavoro), è vissuta come un'ingerenza da cui proteggersi. La presenza degli altri, le regole e le incombenze della vita sociale diventano un obbligo da cui difendersi. Vive questa coercizione con rabbia e senso di ingiustizia alla quale ribellarsi. L'esito è però il senso di solitudine e noia, le relazioni mancano di fornire stimoli e vitalità. In questo tipo è predominante il ciclo di costrizione/evitamento: adeguandosi al contesto, lo subiranno e, sentendo gli altri costrittivi, si allontaneranno dalla relazione. L'altro, a sua volta ferito dal mancato coinvolgimento nella relazione, giudicherà negativamente o aumenterà le richieste che accresceranno nell'evitante il senso di costrizione e la tendenza alla rottura della relazione.
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Mi ci ritrovo parecchio in parte in tutte e tre sti protagonisti...sarò evitante???...booo
Fatto sta che probabilmente per questi motivi che continuo a star solo, soprattutto la difficoltà di non voler approfondire i rapporti e quella sensazione di costrizione ad andare oltre un certo livello di coinvolgimento.
E mo?
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Ultima modifica di PriccoPracco; 29-07-2011 a 13:19.
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29-07-2011, 13:32
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#11
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Esperto
Qui dal: Jul 2010
Ubicazione: qui vicino
Messaggi: 31,205
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
Ah sì, giusto, non ho nemmeno specificato per lei perché ho dato per scontato che tutti conoscano il film Il favoloso mondo di Amélie.
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Da quando uscì anni fa quel film ho eletto Amelie quasi mia fidanzata immaginaria ufficiale (il quasi è legato all' imperdonabile errore di tenere i capelli corti)
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29-07-2011, 15:42
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#12
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Esperto
Qui dal: May 2011
Messaggi: 1,628
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In realtà mi sento pericolosamente simile a Zeno Cosini.
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29-07-2011, 17:21
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#13
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Intermedio
Qui dal: Aug 2010
Messaggi: 247
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In amore Amelie, per tutto il resto Smurov (probabilmente finirò come lui ...)
Quote:
Originariamente inviata da chomsky
In realtà mi sento pericolosamente simile a Zeno Cosini.
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Alle superiori era il mio idolo (che culo eh , però alla fine diventa un boss)
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01-08-2011, 22:41
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#14
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Esperto
Qui dal: Nov 2008
Ubicazione: Jupiter and Beyond the Infinite
Messaggi: 19,199
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Ma Smurov vi sta proprio sul cazzo? A me piaceva meno Bartleby.
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02-08-2011, 02:16
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#15
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Banned
Qui dal: Oct 2010
Messaggi: 2,862
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
Il modo di padroneggiare il distacco è la ricerca del sollievo attraverso l'allontanamento e la ricerca della solitudine. Questa dinamica è spesso favorita ed accompagnata dalla mancanza di abilità sociali, dovuta alla mancanza di esperienza nel vivere e comunicare insieme agli altri, La solitudine è la soluzione apparente ai problemi di estraneità/distacco (che sono quelli predominanti in questo tipo, ndr), capace solo di vivere rappresentandosi personaggi a lui vicini senza incarnarli veramente, ci chiediamo quasi che testimonianza o traccia ha lasciato.
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
Amélie è una ragazza introversa, sensibile, attenta agli altri. Incapace di comunicare per imbarazzo e facilità alla vergogna, tende a fantasticare e a rimanere sola, limita i rapporti con gli altri allo stretto necessario. La sua difficoltà risiede nella necessità, per stare con altre persone, di superare vari ostacoli. Spesso il punto di partenza riguarda l'autoimmagine di inadeguatezza che li porta a sentirsi esclusi dagli altri. Le prove ricevute anche in età infantile fissano ricordi di episodi relazionali legate ad esperienza di umiliazione e rifiuto. Questo atteggiamento già di per sé allontana l'evitante dall'avere rapporti ravvicinati. Il tipico dilemma è tra il desiderio di avere relazioni umane e la difficoltà ad avviarle o, peggio, approfondire. Quando questo avviene lo stato psicologico sarà di timore di perdita di controllo, impaccio o ansia, e timore di vedere concretizzata la propria e definitva esclusione da parte degli altri. La situazione sentimentale non potrà che ricalcare questo schema, magari intrisa di maggiore sofferenza emotiva. Questi incontri desiderati e poi mancati provocano sentimenti di vuoto e di solitudine dolorosi. Altre volte la fantasia porta ad immaginare scene opposte dove l'evitante, pieno di iniziativa, realizza incontri fruttuosi; nella realtà l'evitante per viverle deve entrare nello stato di rivalsa narcisistica, sentendosi potente, capace di tutto e sprezzante. Entrambe le soluzioni ai problemi relazionali non durano più di tanto: l'evitante permane in una sensazione di non appartenenza/esclusione e di incapacità ad avere relazioni intime, e questo gli conferma la propria inadeguatezza e la condizione di chi vive una vita assumendo una prospettiva di osservatore piuttosto che di attore della propria esistenza. L'elemento centrale nel mantenimento del disturbo è il ciclo di inadeguatezza/rifiuto (ndr). L'evitante saprebbe raccontare al suo diario i propri sentimenti, ma non comunicare a parole la dolorosa difficoltà del vivere con gli altri.
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcher
Talvolta gli evitanti sono in situazioni relazionali o sociali avviate da anni in cui però mantengono una posizione distaccata o di parziale coinvolgimento. La presenza degli altri, che pure è utile nel formulare decisioni o essere presenti nel mondo sociale (soprattutto del lavoro), è vissuta come un'ingerenza da cui proteggersi. solitario, silenzioso, non ha interessi La presenza degli altri, le regole e le incombenze della vita sociale diventano un obbligo da cui difendersi. Vive questa coercizione con rabbia e senso di ingiustizia alla quale ribellarsi. L'evitamento ha a questo punto lo scopo duplice di sottrarsi da tale peso ma anche di proteggersi da eventuali rischi di una reazione rabbiosa. Il sottrarsi rabbiosamente, se avviene, ha inoltre il risultato di sottoporlo al giudizio degli altri, aumentandone il senso di esclusione e di inadeguatezza.
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Grosso modo ho cercato di estrapolare le caratteristiche che ho sentito miei dei tre personaggi.
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02-08-2011, 03:04
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#16
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Intermedio
Qui dal: Dec 2010
Ubicazione: Madrid.
Messaggi: 107
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Non ho letto il thread, preferirei non farlo.
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02-08-2011, 08:56
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#17
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Esperto
Qui dal: Nov 2008
Ubicazione: Jupiter and Beyond the Infinite
Messaggi: 19,199
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Quote:
Originariamente inviata da Hamelech
Non ho letto il thread, preferirei non farlo.
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Come vuoi, nessuno ti obbliga!
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02-08-2011, 11:48
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#18
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Banned
Qui dal: Jul 2011
Messaggi: 272
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Mi riconosco in tutto sia in Smurov sia in Amélie
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21-08-2011, 12:50
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#19
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Intermedio
Qui dal: Mar 2008
Messaggi: 128
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Io sono di certo Ameliè. Molto spesso non riesco a rapportarmi agli altri proprio perché mi sento estranea da loro... Per non parlare di quante cose in comune abbia con il personaggio di Ameliè, fra cui la testa fra le nuvole.
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21-08-2011, 21:35
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#20
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Banned
Qui dal: Jul 2011
Ubicazione: Cosmopolita
Messaggi: 947
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Terribile.
"Il favoloso mondo di Amélie" è da sempre uno dei miei film preferiti (tanto che pensavo di imparare a suonare la colonna sonora al piano ) e ho sempre trovato certe somiglianze tra me e Amélie. Poi ho letto il post di moon e mi sono reso conto che siamo praticamente uguali. In tutto.
Dalle fantasie di realtà distorte alla sensazione di rifiuto permanente (degli amici hanno passato un anno invitandomi ad uscire con loro ma io, a causa della sensazione di non piacere agli altri invitati, non sono mai andato) e alla schermatura dell'ansia e della paura. Mi ha colpito notare anche che ho vissuto una situazione simile a quella del bar e che mi sono comportato nello stesso modo: negando tutto preso dall'ansia.
Può sembrare strano, ma in un certo senso mi ha colpito molto questo topic.
Ci sono rimasto male
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